Ordinanza n. 315/97

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ORDINANZA N.315

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 10 giugno 1996 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catanzaro nel procedimento penale a carico di Catanzaro Carmine, iscritta al n. 1268 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 1996.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 18 giugno 1997 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto che con ordinanza del 10 giugno 1996 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catanzaro ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio « nella forma della declaratoria con sentenza dell’estinzione del reato per intervenuta oblazione» il giudice per le indagini preliminari che abbia in precedenza provveduto sia in ordine alla convalida del fermo sia in ordine alla richiesta di adozione di una misura cautelare personale da parte del pubblico ministero;

che, richiamando le sentenze n. 432 del 1995 e nn. 131 e 155 del 1996 di questa Corte, il giudice rimettente osserva che, come nei casi in esse affrontati, anche in quello ora prospettato si delinea la possibile menomazione dell’imparzialità del giudice che, dopo aver valutato i profili indiziari e cautelari, è chiamato alla pronuncia di estinzione del reato per oblazione; pronuncia che, pur non implicando la piena verifica della fondatezza dell’accusa, involge pur sempre un apprezzamento sulla inapplicabilità di più favorevoli formule di proscioglimento nel merito, secondo la regola dettata dall’art. 129 cod. proc. pen.;

che, inoltre, il giudice rimettente prospetta, in forma ipotetica, ulteriori possibili rilievi di incostituzionalità della norma denunciata con riguardo ad altre ipotesi - non riferibili al giudizio a quo - accomunabili, in sintesi, nelle numerose diverse interrelazioni che possono essere ravvisabili tra una funzione, pregiudicata, di "giudizio" (comprensivo delle varie forme in cui si estrinseca: dibattimento, giudizio abbreviato, patteggiamento, emissione del decreto penale di condanna) e una precedente valutazione sul profilo della libertà personale (pronunce de libertate nella fase predibattimentale, giudizio di riesame o appello ex artt. 309 e 310 cod. proc. pen., decisione sulla convalida del fermo o dell’arresto);

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza delle questioni sollevate.

Considerato che, relativamente alla questione di costituzionalità posta con riguardo alla dedotta incompatibilità tra una precedente valutazione in ordine a una misura cautelare personale e una successiva funzione di definizione del processo attraverso la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta oblazione, risulta, dall’ordinanza di rinvio, che, a seguito di opposizione a decreto penale di condanna e contestuale richiesta ex art. 162 cod. pen., il giudice rimettente ha ammesso l’imputato all’oblazione, ed è stato "ritualmente" effettuato il deposito della somma dovuta a tal fine, cosicché sussistono tutti i presupposti per l’adozione della declaratoria di intervenuta estinzione del reato;

che, in tale quadro, assume puntuale rilievo l’eccezione, formulata dall’Avvocatura dello Stato, di inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, poiché, una volta esercitato da parte del giudice il potere di verifica delle condizioni legali e dei presupposti di ammissione all’istituto, e una volta intervenuto altresì il versamento dell’importo stabilito dalla legge, l’ambito valutativo che si assume potenzialmente "pregiudicato" - dalla precedente determinazione sul tema cautelare - è in realtà già consumato, residuando solo la limitata cognitio dell’adozione di una pronuncia dichiarativa dell’estinzione del reato, già verificatasi a norma dell’art. 162, secondo comma, cod. pen., per effetto del pagamento della somma a titolo di oblazione;

che l’affermazione della rilevanza della questione da parte del giudice a quo, nell’assunto della possibilità di revocare in ogni tempo l’ordinanza ammissiva dell’oblazione, non risulta pertanto plausibile, perché essa si riferisce all’ipotesi di una pronuncia giurisprudenziale resa in tema di oblazione "discrezionale" ex art. 162-bis cod. pen. e dunque relativa a un istituto, diverso da quello di cui è stata fatta applicazione, che prevede ipotesi ostative soggettive e oggettive e che inoltre affida al giudice ambiti di valutazione ampi e non predeterminati (come l’incidenza della "gravità del fatto"); elementi, questi, che non figurano nella disciplina dell’oblazione "comune" regolata dall’art. 162 cod. pen., che è quella che viene in rilievo nel giudizio a quo;

che neppure è ravvisabile un ipotetico e residuo ambito delibativo concernente l’esattezza della qualificazione giuridica del fatto, stante l’espressa indicazione dell’ordinanza di rinvio nel senso della globale legittimità della procedura di oblazione esperita;

che pertanto la questione in esame, in quanto concernente profili che non sono più ricompresi nella cognizione del giudice a quo, risulta sollevata in via astratta ed è priva del necessario requisito della pregiudizialità, cosicché essa deve essere dichiarata manifestamente inammissibile;

che alla medesima conclusione si deve pervenire relativamente alle ulteriori questioni indicate in narrativa, sollevate in termini ipotetici, palesemente estranee alla concreta vicenda processuale e perciò - del resto dichiaratamente - manifestamente irrilevanti rispetto ad essa.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catanzaro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 ottobre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Relatore: Gustavo ZAGREBELSKY

Depositata in cancelleria il 22 ottobre 1997.