Ordinanza n. 304/97

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ORDINANZA N 304

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4-septies, della legge 18 gennaio 1992, n. 16, recante "Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali" (recte: dell’art. 15, comma 4-septies, della legge 19 marzo 1990, n. 55, recante "Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale", introdotto dall’art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16), promosso con ordinanza emessa il 6 giugno 1996 dal Pretore di Bari, nel procedimento civile vertente tra Bagnato Ettore e Azienda Municipalizzata Trasporti Autofiloviari di Bari - A.M.T.A., iscritta al n. 1209 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 1996.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 2 luglio 1997 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 6 giugno 1996, pervenuta a questa Corte il 4 ottobre 1996, il Pretore di Bari, adìto in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 4, 35, 36, 97 e 98 della Costituzione, dell’art. 1, comma 4-septies, della legge 18 gennaio 1992, n. 16, recante "Norme in materia di elezioni e nomine presso le Regioni e gli enti locali" (recte: dell’art. 15, comma 4-septies, della legge 19 marzo 1990, n. 55, recante "Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale", introdotto dall’art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16);

che il remittente ritiene anzitutto la propria legittimazione a sollevare questioni di legittimità costituzionale nell’ambito della fase cautelare del procedimento – che si arguisce instaurato ai sensi degli articoli 669-bis e seguenti e dell’art. 700 del codice di procedura civile, per contestare la sospensione dall’ufficio di un direttore di azienda municipalizzata – essendo tale fase non ancora esaurita dopo l’emanazione, inaudita altera parte, di un provvedimento d’urgenza, e in vista delle decisioni di conferma, modifica o revoca dello stesso, da adottarsi ai sensi dell’art. 669-sexies, secondo comma, dello stesso codice di procedura civile;

che, ciò premesso, il giudice a quo afferma, in punto di non manifesta infondatezza della questione, che, "ove si ritenga possibile l’applicazione della sospensione automatica nell’ipotesi di un direttore di azienda municipalizzata, il quale é titolare di un rapporto di lavoro del tutto particolare ed a tempo determinato (come tale riconducibile più alla prestazione d’opera professionale che ad un rapporto d’impiego), in presenza di una sentenza penale di condanna non passata in giudicato si pregiudicherebbe in maniera irreparabile il lavoratore il quale, a differenza di altri dipendenti che usufruiscono nel periodo di sospensione di un assegno a carattere alimentare, verrebbe privato di ogni emolumento";

che il remittente richiama altresì la giurisprudenza di questa Corte che avrebbe, "anche nell’ipotesi di sentenza passata in giudicato", previsto "un sistema di garanzie molto più rigoroso di quello precedentemente ritenuto attuabile";

che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile, in quanto l’ordinanza non dà conto della fattispecie controversa, nè della sua rilevanza, nè delle ragioni della non manifesta infondatezza; ovvero manifestamente infondata, in quanto la lamentata privazione dell’assegno alimentare non dipenderebbe dalla norma censurata bensì da quelle che regolano il rapporto di impiego dell’interessato.

Considerato che l’ordinanza di rimessione non dà alcun conto della fattispecie sottoposta al giudizio, nè motiva sulla rilevanza della questione sollevata, al di là della mera asserzione di sussistenza della rilevanza medesima;

che, infatti, il remittente non si pronuncia sulla natura del rapporto in essere fra il ricorrente e l’azienda municipalizzata resistente, limitandosi a qualificarlo come "un rapporto di lavoro del tutto particolare (...) riconducibile più alla prestazione d’opera professionale che ad un rapporto di impiego", col che viene messo in dubbio lo stesso presupposto perchè si possa parlare di sospensione dalla funzione o dall’ufficio di un dipendente di amministrazione pubblica, in forza dell’applicazione della norma denunciata; nè si pone il problema dei possibili rapporti fra sospensione "dalla funzione o dall’ufficio ricoperti" – prevista dalla norma censurata – e vicende del rapporto di lavoro di diritto privato;

che lo stesso remittente non si pronuncia sulla effettiva applicabilità della norma censurata alla fattispecie concreta, limitandosi ad affermare che, "ove si ritenga possibile l’applicazione della sospensione automatica nell’ipotesi di un direttore di azienda municipalizzata", si verificherebbe il pregiudizio da cui discenderebbe la lesione dei principi costituzionali invocati: così configurando la medesima questione di legittimità costituzionale in termini perplessi o meramente ipotetici;

che, inoltre, il giudice a quo non motiva in alcun modo circa la asserita violazione di alcuni dei parametri costituzionali invocati (gli articoli 4, 35, 97 e 98 della Costituzione), mentre – quanto al denunciato contrasto con gli articoli 3 e 36 della Costituzione – non dimostra che la lamentata privazione anche di un assegno alimentare, che colpirebbe il ricorrente a seguito della sospensione ex lege, sia riconducibile, ove esistente, alla disposizione censurata, piuttosto che ad altre norme che disciplinano il rapporto in questione;

che, pertanto, la questione deve essere ritenuta manifestamente inammissibile;

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 4-septies, della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), introdotto dall’art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 4, 35, 36, 97 e 98 della Costituzione, dal Pretore di Bari con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Valerio ONIDA

Depositata in cancelleria il 30 luglio 1997.