Sentenza n. 291

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SENTENZA N. 291

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 97, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), promossi con n. 11 ordinanze emesse il 15 marzo (n. 7 ordinanze) ed il 5 luglio 1996 (n. 4 ordinanze) dalla Commissione tributaria di primo grado di Macerata, rispettivamente iscritte ai nn. 502, 503, 504, 505, 506, 507 e 508 del registro ordinanze 1996 ed ai nn. 23, 24, 25 e 26 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1996 e n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 maggio 1997 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto in fatto

1.- La Commissione tributaria di primo grado di Macerata - con undici ordinanze di identico contenuto emesse il 15 marzo 1996 (r.o. nn. 502, 503, 504, 505, 506, 507 e 508 del 1996) e il 5 luglio 1996 (r.o. nn. 23, 24, 25 e 26 del 1997) - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 97, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), che prevede l'irrogazione della pena pecuniaria da lire 300.000 a lire 1.800.000, nel caso di mancato pagamento di tutte o dell'unica rata di un medesimo ruolo, quando il relativo ammontare é superiore alle lire 500.000.

Considerato che la sanzione prevista si va a sommare alla sanzione già irrogata ed iscritta a ruolo in conseguenza del mancato pagamento dell'imposta originaria, il giudice a quo denuncia, anzitutto, contrasto con il principio di proporzionalità della sanzione alla offesa arrecata al bene protetto (art. 27 della Costituzione) nonchè con quello di uguaglianza (art. 3 della Costituzione), dal momento che il contribuente si trova "sanzionato una seconda volta in virtù della stessa circostanza (mancato pagamento di una imposta)".

Secondo l'ordinanza il principio di proporzionalità sarebbe violato anche perchè "il criterio della plurima sanzione potrebbe astrattamente portare ad adottare ancora ulteriori sanzioni per il mancato pagamento in sede di avviso di mora e poi in sede di pignoramento e così via".

Inoltre, il criterio della sanzione, collegata al reiterato mancato pagamento in sede di riscossione coattiva, sarebbe "del tutto estraneo a qualsiasi principio vigente nel sistema processuale civile italiano"; stessa ingiustificata disparità di trattamento sussisterebbe anche "tra coloro che subiscono la riscossione fiscale ai sensi del d.P.R. n. 602 del 1973 e coloro a cui carico la riscossione segue altre procedure, prive di sanzioni in itinere".

Osservato, altresì, che la sanzione ex art. 97, "rischia di produrre un assurdo ed ingiustificato circolo vizioso", essendo anche essa irrogata "con apposito avviso, e messa in riscossione con ulteriore cartella esattoriale", sì da determinare, in caso di mancato pagamento, un nuovo avviso di irrogazione di sanzione, lo stesso giudice denuncia altresí il contrasto della disposizione con gli stessi artt. 27 e 3 della Costituzione, anche sotto l'ulteriore profilo della determinazione della pena pecuniaria in un importo "pressochè fisso" (da lire 300.000 a lire 1.800.000), onde "il mancato pagamento di una somma minima viene sanzionato allo stesso modo (o comunque con una differenza inapprezzabile) rispetto al mancato pagamento di una somma ingente". Inoltre il mancato pagamento di un ruolo appena superiore al minimo sanzionabile (lire 500.000), comporta il rischio di una sanzione di lire 1.800.000, pari al massimo edittale, "in violazione dei criteri di proporzionalità della pena e progressività fiscale".

2.- E' intervenuto, per i giudizi relativi alle ordinanze di cui al r.o. n. 502 del 1996 e nn. 23, 24, 25 e 26 del 1997, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione venga dichiarata infondata.

La difesa erariale, premesso che l'art. 97 é volto a rendere rigorosa la riscossione delle entrate, la cui tempestività e regolarità é condizione per la stessa sopravvivenza della collettività statuale, ritiene che in tale ottica si giustifichino anche le norme, inserite nello stesso testo legislativo sulla riscossione, relative alla non sospendibilità degli atti esecutivi (artt. 54 e seguenti) e, sul versante sanzionatorio, alla previsione di una fattispecie penale specifica (l'insolvenza fraudolenta fiscale ex art. 97, sesto comma) e al fallimento fiscale (art. 97, terzo comma).

Secondo la difesa erariale, la sanzione in discussione si caratterizza in modo assai diverso da quella ordinariamente prevista per l'inadempimento o il ritardo nel pagamento del tributo prima dell'emissione della cartella esattoriale, che é proporzionata all'entità del credito, tanto che si giustifica l'eventuale suo sovrapporsi a quella già subita, ad es. a norma dell'art. 92 dello stesso d.P.R..

Sanzionare due volte la stessa violazione non sarebbe perciò illegittimo, in quanto l'infrazione relativa all'omesso o ritardato versamento nella fase anteriore alla formazione del ruolo é ragionevolmente repressa con la sua specifica sanzione, mentre, nel caso in cui dovesse imporsi la suddetta formazione e l'avvio della procedura coattiva, sarebbe giustificata l'irrogazione di altra sanzione, essendosi verificata una ulteriore diversa violazione.

D'altra parte la sanzione dell'art. 97, che colpisce non l'inadempimento ma il rifiuto verso l'Autorità, non viene applicata se v'é la prova della impossibilità economica quale fatto causativo del mancato pagamento del tributo da parte del contribuente.

Per tale ragione - conclude l'Avvocatura - diventa irrilevante verificare se e come la sanzione dell'art. 97 si aggiunga, nei diversi tipi di imposta e nelle diverse procedure di riscossione, ad altre sanzioni ed é, per le stesse considerazioni, ragionevole che la sanzione dell'art. 97 citato non sia rapportata all'entità dell'inadempimento.

Considerato in diritto

1.- La Commissione tributaria di primo grado di Macerata, con le varie ordinanze di cui in epigrafe, tutte di identico contenuto, solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 97, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), che prevede l'irrogazione della pena pecuniaria da lire 300.000 a lire 1.800.000 nel caso di mancato pagamento di tutte o dell'unica rata di un medesimo ruolo, quando il relativo ammontare é superiore alle lire 500.000.

2.- Secondo il rimettente la disposizione censurata si pone in contrasto con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 e con il principio di proporzionalità della sanzione all'offesa recata al bene protetto, di cui all'art. 27 della Costituzione, in quanto:

- la sanzione contemplata nella norma denunciata si va a sommare a quella già irrogata ed iscritta a ruolo in conseguenza del mancato pagamento dell'imposta originaria;

- il criterio della sanzione plurima potrebbe astrattamente portare ad adottare ancora ulteriori sanzioni per il mancato pagamento in sede di avviso di mora e, poi, in sede di pignoramento;

- il criterio della sanzione, collegata al reiterato mancato pagamento in sede di riscossione coattiva, appare "del tutto estraneo a qualsiasi principio vigente nel sistema processuale civile italiano, là dove il debitore non é chiamato a sopportare, in pendenza di esecuzione, oneri diversi dagli interessi e dalle spese di procedura"; mentre analoga ingiustificata disparità di trattamento sussiste anche tra coloro che subiscono la riscossione fiscale ex d.P.R. n. 602 del 1973 e coloro a cui carico la riscossione segue altre procedure, prive di sanzioni in itinere;

- la sanzione, essendo connessa al mancato pagamento della cartella esattoriale, "rischia di produrre un circolo vizioso", dal momento che la stessa viene irrogata con apposito avviso e messa in riscossione con ulteriore cartella esattoriale, sì da determinare, in caso di mancato adempimento, un nuovo avviso di irrogazione di sanzione.

Ulteriori censure, sempre in riferimento al principio di proporzionalità della pena desumibile dall'art. 27 della Costituzione e al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, vengono prospettate in ragione dell'importo "pressochè fisso" della pena pecuniaria prevista dalla disposizione denunciata, che porta a sanzionare "il mancato pagamento di una somma minima alla stessa stregua del mancato pagamento di una somma ingente". Si rileva che, in contrasto con il principio di proporzionalità della pena e progressività fiscale, il mancato pagamento di un ruolo di minima entità (appena lire 501.000) comporta il rischio per il contribuente di subire una sanzione nella misura edittale massima (di lire 1.800.000).

3.- Poichè le ordinanze di rimessione hanno ad oggetto la medesima questione, i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.

4.- La questione non é fondata per quanto si dirà.

Anzitutto, la Corte non può non rilevare, in via del tutto generale, l'improprietà dell'evocazione, a comune parametro di pressochè tutti i profili denunciati, dell'art. 27 della Costituzione, trattandosi di disposizione estranea, secondo la giurisprudenza costituzionale, al campo delle sanzioni amministrative (sentenza n. 487 del 1989), come pure dell'evocazione dell'art. 53, da ritenere, del pari, estraneo alla materia sanzionatoria (sentenze nn. 119 del 1980 e 109 del 1973; ordinanza n. 95 del 1993).

Quanto, poi, al parametro dell'art. 3, evocato sotto il profilo del principio di eguaglianza, appare evidente, dalla prospettazione delle varie censure, che il rimettente intende sollecitare un vaglio della disposizione denunciata da apprezzare non solo e non tanto sotto il profilo della disparità di trattamento, quanto piuttosto sotto quello della ragionevolezza.

5.- Ciò posto, occorre osservare, in ordine alla prima delle prospettate censure, che allo stesso rimettente non sfugge che, "mentre la sanzione prevista dalla legge di imposta é conseguente alla violazione 'sostanziale' dell'obbligo fiscale, ed é quindi il corollario di un comportamento evasivo", diversa é la sanzione di cui all'art. 97 che é connessa agli atti propri della procedura di riscossione coattiva. Pur cogliendo tali differenze, l'ordinanza non ne trae, tuttavia, le dovute conseguenze, non avvedendosi che sono proprio le accennate diversità a giustificare una disciplina legislativa volta a sanzionare sia la violazione qui in esame sia le violazioni concernenti l'omesso o ritardato versamento nella fase anteriore alla formazione del ruolo (segnatamente quelle di cui agli artt. 92 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, 69 e seguenti del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131; 46 e seguenti del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; 41 e seguenti del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) che hanno per oggetto inadempienze che incidono sulle basi del rapporto tributario e che assumono una portata evasiva, rispetto agli scopi di immediato soddisfacimento del credito fiscale.

6.- Ugualmente non fondato é l'altro profilo dedotto, attinente alla asserita disparità di trattamento fra i contribuenti assoggettati alla riscossione mediante ruolo e quelli assoggettati a procedure diverse. Detta censura, se riferita alle obbligazioni tributarie, non considera che il d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, ha provveduto alla unificazione delle forme di riscossione coattiva fiscale, a seguito dell'estensione a pressochè tutti i tributi della riscossione mediante ruolo e alla conseguente abolizione della riscossione mediante ingiunzione di pagamento (v. artt. 67, comma 1, 68, comma 1, 69, commi 1 e 2 e 130, comma 2, del d.P.R. n. 43 del 1988). Se riferita, invece, alle obbligazioni pecuniarie di diritto comune, non é fondata in quanto, come questa Corte ha già avuto occasione di porre in risalto, non é possibile una piena equiparazione tra l'inadempimento delle stesse e quello delle obbligazioni tributarie, oggetto, per la particolarità dei presupposti e dei fini, di disciplina diversa da quella civilistica (sentenze nn. 109 del 1973 e 157 del 1996).

7.- Neanche le ulteriori censure meritano accoglimento. Non quella relativa alla prospettata possibilità di reiterazione della sanzione ex art. 97 del d.P.R. n. 602 del 1973 (sia in fase di avviso di mora che di pignoramento), giacchè tale evenienza non trova riscontro nel dettato della norma, la quale collega la sanzione esclusivamente al mancato pagamento della somma iscritta a ruolo o, per meglio dire, risultante dalla cartella esattoriale. Nè quella concernente l'asserito circolo vizioso di reazioni a catena che la disposizione denunciata sarebbe in grado di provocare, in quanto la sanzione appare circoscritta - alla luce di una interpretazione non controversa del dettato normativo che, a quel che risulta, viene condivisa dalla stessa amministrazione finanziaria - alla sola ipotesi di morosità del contribuente nel pagamento del tributo erariale, e non nel pagamento di pene pecuniarie.

La censura, infine, concernente il trattamento sanzionatorio, riservato alle varie ipotesi di mancato pagamento della cartella esattoriale - a parte l'opinabilità dell'assunto dal quale muove, e cioé che le sanzioni siano stabilite dalla disposizione censurata in importo "pressochè fisso" - non considera che si tratta di materia nella quale il legislatore gode di ampia discrezionalità, con il solo limite della non arbitrarietà o palese irragionevolezza delle scelte.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 97, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) sollevata, in riferimento agli artt. 3, 27 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Macerata con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Massimo VARI

Depositata in cancelleria il 30 luglio 1997.