Sentenza n. 290

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SENTENZA N. 290

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 2, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), promosso con ordinanza emessa il 7 marzo 1995 dalla Commissione tributaria di primo grado di Padova, sul ricorso proposto da Trevisan Giancarlo contro l'Ufficio IVA di Padova, iscritta al n. 391 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 maggio 1997 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto in fatto

1.- La Commissione tributaria di primo grado di Padova - con ordinanza emessa il 7 marzo 1995 (r.o. n. 391 del 1996), nell'ambito di un giudizio avente ad oggetto un atto con il quale l'Ufficio tributario aveva negato al contribuente il beneficio della detrazione dell'IVA in misura forfettizzata, ex art. 34, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione (quanto a quest'ultimo, anche alla luce dell'art. 2), questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 2, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), che limita l'applicazione della disposizione antielusiva contenuta nel precedente comma alle sole operazioni effettuate "a decorrere dal periodo di imposta che inizia successivamente al 30 settembre 1994".

2.- Premette l'ordinanza che il ricorrente, già titolare di una società commerciale avente come oggetto sociale la compravendita di bestiame, nel corso del 1991, e precisamente in data 7 luglio, aveva creato un nuovo soggetto fiscale, con la denominazione Trevisan Giancarlo, sotto la forma dell'imprenditore agricolo e, successivamente, in data 19 luglio, si era reso cessionario del ramo d'azienda della società Commerciale Agraria s.a.s. di Pilotta Alfonso, avente come unica attività n. 605 bovini.

Che, successivamente, entro il medesimo periodo d'imposta:

a) il ricorrente vendeva tutti i bovini acquistati tramite l'atto di cessione di ramo d'azienda, operazione non soggetta ad IVA, fatturando un imponibile di lire 1.271.131.980 con relativa IVA di lire 127.113.198, imposta incassata ma non versata all'erario, avvalendosi, quale produttore agricolo, del regime speciale previsto dall'art. 34 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che consente agli agricoltori di portare in detrazione un importo di tributo forfettizzato per legge in misura pari a quella dell'ammontare liquidato ed introitato sulle vendite;

b) sempre nel corso del 1991, cessava l'attività dell'impresa individuale appena costituita.

3.- Ad avviso del giudice a quo, dalla illustrata sequenza fattuale si ricava che l'operazione di acquisto del ramo d'azienda e la successiva vendita di bovini sarebbero state poste in essere dal contribuente allo scopo esclusivo di usufruire del vantaggio fiscale offerto dal primo comma dell'art. 34 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, sì da concretare una fattispecie inquadrabile nella previsione della norma antielusiva, di cui all'art. 10, comma 1, della legge 29 dicembre 1990, n. 408, quale modificato dall'art. 28 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, laddove vengono presi in considerazione (e disapplicati) i vantaggi fiscali derivanti da cessioni di beni mobili (nella specie, la cessione di azienda), se poste in essere senza valide ragioni economiche allo scopo esclusivo di ottenere un risparmio di imposta.

Poichè l'art. 28, comma 2, della citata legge n. 724 del 1994, circoscrive il potere dell'amministrazione finanziaria di disconoscere tali vantaggi, limitandolo alle operazioni verificatesi nei periodi di imposta successivi al 30 settembre 1994, il rimettente dubita della legittimità costituzionale della norma, per contrasto con:

- l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della coerenza, non potendosi consentire che gli stessi comportamenti abbiano riconoscimento giuridico, se posti in essere prima di una certa data, e disconoscimento, se posti in essere dopo;

- gli artt. 3 e 53 della Costituzione, in quanto la norma suddetta non solo consente che l'artefatta creazione dei presupposti per l'agevolazione tributaria (ante 1994) escluda il concorso alle spese pubbliche pur in presenza di reale capacità contributiva, ma viola il principio di eguaglianza tributaria, in ragione del trattamento diversificato secondo la data di entrata in vigore del provvedimento legislativo.

4.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha dedotto l'inammissibilità della questione, in quanto "diretta all'emanazione di una sentenza additiva di ampliamento degli effetti previsti dal legislatore attraverso l'inconsueta affermazione della necessità della retroattività"; e comunque la sua infondatezza, dal momento che "la creazione di situazioni diverse dalle antecedenti é connaturale all'evoluzione dell'ordinamento", mentre attiene alla discrezionalità del legislatore la eventuale estensione (e la misura temporale di tale estensione) della efficacia retroattiva di ogni innovazione legislativa.

Considerato in diritto

1.- Con l'ordinanza in epigrafe, la Commissione tributaria di primo grado di Padova ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione (quanto a quest'ultimo, anche alla luce dell'art. 2), questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 2, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica). Tale articolo, dopo aver previsto, al comma 1, la facoltà per l'amministrazione finanziaria di "disconoscere i vantaggi tributari conseguiti in operazioni di concentrazione, trasformazione, scorporo, riduzione di capitale, liquidazione, valutazione di partecipazioni, cessione di crediti e cessione o valutazione di valori mobiliari poste in essere senza valide ragioni economiche allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio di imposta", dispone, al comma 2, oggetto qui di denuncia, che, per una serie di operazioni, tra cui la cessione di valori mobiliari, la disposizione antielusiva si applica "alle operazioni effettuate a decorrere dal periodo di imposta che inizia successivamente al 30 settembre 1994".

2.- Quest'ultima disposizione, ad avviso della Commissione rimettente, si porrebbe in contrasto:

- con l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della coerenza, non potendosi consentire che gli stessi comportamenti abbiano riconoscimento giuridico, se posti in essere prima di una certa data, e disconoscimento se posti in essere dopo;

- con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, in quanto la norma suddetta non solo consente che l'artefatta creazione dei presupposti dell'agevolazione tributaria (ante 1994), pur in presenza di reale capacità contributiva, escluda il concorso alle spese pubbliche (l'IVA pur riscossa dal contribuente non é stata, infatti, versata allo Stato), ma viola il principio di eguaglianza tributaria, per il diversificato trattamento in base alla data di entrata in vigore del provvedimento legislativo.

3.- La questione é inammissibile.

Come é dato evincere dall'ordinanza di rimessione, la fattispecie in riferimento alla quale il giudice a quo ha ritenuto di sollevare l'accennata questione di costituzionalità della norma antielusione contenuta nell'art. 28, comma 2, della legge n. 724 del 1994, riguarda un caso di controversa applicazione dell'art. 34 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il quale dispone, per le cessioni di prodotti agricoli ed ittici effettuate dai produttori agricoli, la forfettizzazione del diritto di detrazione dell'IVA assolta a monte, previsto dal precedente art. 19, in misura pari all'importo risultante dalla applicazione, all'ammontare imponibile delle cessioni stesse, delle aliquote di imposta dovuta su tali operazioni attive. Orbene, considerato l'oggetto del giudizio innanzi a lui pendente, spettava al giudice a quo approfondire la questione se l'art. 34 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, potesse essere fondatamente interpretato nel senso di consentire l'accesso alla detrazione forfettizzata relativa agli acquisti di beni e servizi anche quando risultasse dimostrato, come nel caso, che non erano stati posti in essere acquisti soggetti ad IVA, sì da consentire che il tributo sulle vendite, pur riscosso dall'operatore economico, non venisse versato allo Stato.

E' noto che, nel sistema accolto dal nostro legislatore, uno dei presupposti generali del diritto alla detrazione dell'imposta "assolta o dovuta dal contribuente o a lui addebitata a titolo di rivalsa" é costituito proprio dall'esistenza di acquisti o importazioni di beni e servizi mediante operazioni passive soggette ad imposta, secondo quanto é dato desumere dall'art. 19, primo comma, della legge istitutiva dell'imposta sul valore aggiunto, richiamato espressamente anche dall'art. 34 succitato. La peculiare disciplina, prevista per i produttori agricoli, la quale consente di quantificare la detrazione con il criterio forfettario ivi previsto, anche se gli acquisti e le importazioni sono stati posti in essere con aliquota zero, pone, dunque, il problema della sua applicabilità nel caso di acquisto di beni e servizi che siano addirittura fuori del campo di applicazione dell'IVA, potendosi dubitare che sussista, in tale evenienza, il diritto alla detrazione e quindi alla correlata forfettizzazione, alla luce anche del criterio di esclusione espressamente stabilito, sia pure in epoca successiva ai fatti di causa, dall'art. 14, comma 8, lettera e) della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica).

A tale proposito va considerato che la normativa comunitaria, dopo aver disposto (art. 25, paragrafo 1, della sesta direttiva Cee, n. 77/388, del 17 maggio 1977), che il regime forfettario per i produttori agricoli é "inteso a compensare l'onere dell'imposta sul valore aggiunto pagata sugli acquisti di beni e servizi degli agricoltori forfettari", precisa (paragrafo 3 del medesimo articolo) che le percentuali forfettarie di compensazione del tributo, applicabili ai prodotti ceduti da tali contribuenti (e trattenute dagli stessi in forza del regime forfettario), "non possono avere l'effetto di procurare agli agricoltori forfettari rimborsi superiori agli oneri dell'imposta sul valore aggiunto a monte".

Conclusivamente alla stregua di un ben noto canone della giurisprudenza costituzionale, il giudice, prima di rimettere la questione a questa Corte, avrebbe dovuto approfondire il problema relativo alla applicabilità dell'art. 34 alla fattispecie oggetto del giudizio a quo, valutando, in particolare, la praticabilità di interpretazioni suscettibili di escludere un risultato ermeneutico che, nella linea argomentativa sviluppata dall'ordinanza, rappresenta la premessa del sollevato dubbio di costituzionalità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 2, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Padova, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Massimo VARI

Depositata in cancelleria il 30 luglio 1997.