Sentenza n. 284

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SENTENZA N.284

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 81, quarto comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 21 giugno 1995 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Lombardia, sul ricorso proposto da Guidarelli Alessandra contro la Direzione provinciale del tesoro di Milano iscritta al n. 1231 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Udito nella camera di consiglio del 18 giugno 1997 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto in fatto

1.-- Nel corso di un giudizio in materia pensionistica promosso dalla moglie di un ex dipendente pubblico, separata per colpa dal coniuge defunto, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Lombardia, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 81, quarto comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione.

Ad avviso del giudice a quo la norma impugnata, escludendo dal diritto alla pensione di riversibilità il coniuge del dipendente separato per colpa con sentenza passata in giudicato, contiene una previsione del tutto analoga a quella di numerose altre norme, già dichiarate costituzionalmente illegittime da questa Corte in precedenti sentenze. A tale proposito il giudice contabile ha richiamato le sentenze n. 286 del 1987, n. 1009 del 1988, n. 450 del 1989 e n. 346 del 1993.

Il rimettente sostiene che la questione é rilevante perchè dal suo accoglimento dipende la decisione del ricorso, ed ha evidenziato, sotto il profilo della non manifesta infondatezza, che la ratio ispiratrice della norma impugnata é del tutto analoga a quella delle sentenze sopra indicate, sicchè sarebbe palese la violazione degli artt. 3 e 38 della Costituzione.

2.-- La parte privata non si é costituita, nè ha prestato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1.-- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Lombardia, dubita che l'art. 81, quarto comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, nella parte in cui esclude dal godimento della pensione di riversibilità la vedova separata per colpa con sentenza passata in giudicato, sia in contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione.

A sostegno della prospettata questione il giudice contabile richiama, a titolo di precedenti specifici, le sentenze n. 286 del 1987, n. 1009 del 1988, n. 450 del 1989 e n. 346 del 1993 di questa Corte.

2.-- La questione é fondata.

La giurisprudenza costituzionale ha già sottoposto a scrutinio il rapporto tra la pensione di riversibilità e la separazione per colpa.

In un primo tempo la Corte, con sentenza n. 14 del 1980, aveva ritenuto l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 24 della legge 30 aprile 1969, n. 153, che sanciva il divieto di fruire della pensione di riversibilità per il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato. Tale divieto trovava una razionale giustificazione, secondo quella sentenza, soprattutto nella disaffezione ed estraneità del coniuge superstite rispetto al coniuge defunto, al quale non era stata addebitata la colpa della separazione. Osservava, in proposito, la sentenza che la riforma del diritto di famiglia, istituendo la nuova figura della separazione con addebito, ha mostrato di voler ancora considerare rilevante che in certi casi il fallimento del rapporto matrimoniale sia da ricondurre alla responsabilità di uno dei coniugi, e quindi giustificava i relativi effetti patrimoniali negativi. L'orientamento di questa Corte era stato all'epoca condiviso anche dalla Corte di cassazione.

A partire, però, dalla sentenza n. 286 del 1987, la Corte costituzionale ha sottoposto a "rimeditazione" il proprio punto di vista, specie sulla base della legge 6 marzo 1987, n. 74, che, modificando varie norme della legge n. 898 del 1970 in materia di divorzio, ha riconosciuto il diritto del coniuge divorziato, semprechè titolare di assegno e non passato a nuove nozze, alla pensione di riversibilità. Questa Corte, dando anche per pacifica la natura previdenziale della pensione in questione, é pervenuta alla conclusione che il divieto fosse divenuto ormai ingiustificato, ed ha ritenuto illegittime due norme relative a lavoratori del settore privato che impedivano al coniuge separato per colpa di conseguire la pensione di riversibilità.

Tale nuovo orientamento é stato ribadito con le sentenze n. 1009 del 1988 e n. 450 del 1989, nelle quali la Corte ha eliminato dal sistema altre norme analoghe a quella odierna, ma sempre riguardanti lavoratori del settore privato.

Più di recente, poi, con la sentenza n. 346 del 1993, é stata presa in esame anche la normativa del settore pubblico, essendo stata sottoposta a scrutinio la legge relativa alla Cassa di previdenza per le pensioni degli impiegati degli enti locali. La particolarità di questa disciplina risiedeva nel fatto che la norma impugnata, pur escludendo il coniuge separato per colpa dal diritto alla pensione di riversibilità, faceva salva la possibilità, qualora fosse provato lo stato di bisogno, di corrispondere al coniuge superstite un assegno alimentare, sia pure nella limitata percentuale del venti per cento della pensione diretta. In quell'occasione la Corte, rilevando l'elemento di diversità di tale normativa rispetto a quelle già colpite con le sentenze sopra citate, ha ciò nonostante ritenuto opportuno "accordare prevalenza ai consistenti aspetti di assimilazione" in rapporto a quelli di differenziazione, pervenendo ad un'ulteriore pronuncia di accoglimento.

3.-- Non può essere posto in dubbio che anche la norma oggi impugnata sia ispirata ad una ratio identica a quella sulla quale si basava la normativa esaminata nella sentenza n. 346 del 1993 ora richiamata; il testo unico sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato, infatti, prevede la possibilità della corresponsione dell'assegno alimentare, in caso di stato di bisogno del coniuge superstite, nella misura del venti per cento della pensione diretta (art. 88 del d.P.R. n. 1092 del 1973). Ed é perciò evidente che, per le ragioni in passato già esposte, anche la norma sottoposta al presente giudizio debba essere dichiarata costituzionalmente illegittima.

Occorre peraltro riaffermare che la possibilità riconosciuta al coniuge separato per colpa o con addebito di essere ammesso a fruire del trattamento di riversibilità é da collegarsi necessariamente al pregresso godimento del diritto agli alimenti a carico del defunto. Tale presupposto, che é indice dello stato di bisogno del coniuge titolare dell'assegno, pone la normativa sulla separazione in sintonia con quella sul divorzio (art. 9 della legge n. 898 del 1970, novellato dalla legge 6 marzo 1987, n. 74) e segna il limite della pretesa economica dell'avente diritto (v. sentenza n. 777 del 1988).

Parimenti, nel caso in cui il coniuge superstite, già separato o divorziato, sia passato a nuove nozze, si verifica la cessazione dell'erogazione della pensione di riversibilità e dell'assegno alimentare, così come stabilito dall'art. 81, settimo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973.

4.-- A seguito delle argomentazioni ora esposte e del corrispondente dispositivo la Corte ritiene che debba essere dichiarata costituzionalmente illegittima, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'ultima proposizione del sesto comma del medesimo art. 81, che estende l'applicabilità del quarto comma anche al marito separato per colpa con sentenza passata in giudicato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 81, quarto comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte in cui esclude il diritto alla pensione di riversibilità in favore della vedova, alla quale la separazione sia stata addebitata con sentenza passata in giudicato, allorchè a questa spettasse il diritto agli alimenti da parte del coniuge poi deceduto;

2) dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 81, sesto comma, ultima proposizione, del medesimo d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, che estende l'applicabilità del quarto comma anche al marito al quale la separazione sia stata addebitata con sentenza passata in giudicato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.

Presidente: Giuliano VASSALLI

Redattore: Fernando SANTOSUOSSO

Depositata in cancelleria il 30 luglio 1997.