Sentenza n. 260

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SENTENZA N.260

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA         

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI                

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 271 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 30 aprile 1996 dal Giudice istruttore del Tribunale di Sanremo, nel procedimento civile vertente tra De Iuliis Marino ed altra e Pepé Concetta, iscritta al n. 1282 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Udito nella camera di consiglio del 4 giugno 1997 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un procedimento civile, nel quale i terzi chiamati in causa iussu iudicis si erano costituiti oltre il termine loro assegnato proponendo domanda riconvenzionale, il Giudice istruttore del Tribunale di Sanremo, con ordinanza in data 30 aprile 1996, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 271 del codice di procedura civile, in relazione all'art. 167, secondo comma, del medesimo codice, nella parte in cui consente al terzo chiamato, che si sia costituito oltre il termine di venti giorni prima dell'udienza fissata dal giudice istruttore, di proporre domande riconvenzionali nei confronti delle parti originarie, senza incorrere in decadenze.

Il remittente, dopo aver premesso che l'art. 271 del codice di procedura civile, nel testo novellato, stabilisce che al terzo si applicano, con riferimento all'udienza per la quale é citato, le disposizioni di cui agli artt ne per cui ad esso non si debbano applicare le medesime decadenze previste per il convenuto dall'art. 167, secondo comma, del codice di procedura civile.

La formulazione del citato art. 271 non preclude infatti al terzo di proporre domande riconvenzionali, anche se si sia costituito tardivamente, e ciò a differenza di quanto previsto per il convenuto, il quale, invece, incorre in decadenze qualora non osservi il termine prescritto per la sua costituzione.

Sussisterebbe pertanto, ad avviso del remittente, una ingiustificata disparità di trattamento processuale tra il terzo chiamato in causa ed il convenuto, che non può superarsi nemmeno con un'applicazione estensiva dell'art. 167, secondo comma, del codice di procedura civile, in quanto, ai sensi dell'art. 152 del detto codice, i termini di decadenza sono stabiliti dalla legge, ovvero dal giudice, soltanto se la legge lo permette espressamente.

Considerato in diritto

1. -- La questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Giudice istruttore del Tribunale di Sanremo con l'ordinanza in epigrafe, riguarda l'art. 271 del codice di procedura civile, nella parte in cui consente al terzo chiamato in causa non costituitosi in termini di proporre domande riconvenzionali nei confronti delle parti originarie del processo, senza incorrere in decadenze.

2. -- Ad avviso del giudice a quo la norma censurata si porrebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione per la ingiustificata disparità di trattamento che essa determina, in relazione alla proposizione di domande riconvenzionali, fra il terzo chiamato in causa ed il convenuto, in quanto, nonostante la equiparazione processuale del terzo al convenuto, solo rispetto a quest'ultimo é stabilita la sanzione della decadenza dalla proposizione di riconvenzionali, qualora il medesimo non si sia costituito in termini.

3. -- La questione é fondata.

La norma censurata dispone che al terzo chiamato in causa si applicano, con riferimento all'udienza per la quale é citato, le disposizioni degli artt. 166 e 167, primo comma, del codice di procedura civile, le quali, rispettivamente, disciplinano le modalità di costituzione in giudizio del convenuto ed il contenuto della comparsa di risposta; non é invece richiamato il secondo comma del citato art. 167, ai sensi del quale il convenuto deve proporre a pena di decadenza le eventuali domande riconvenzionali.

Uno dei principi ispiratori della riforma si richiama alla immediatezza e alla concentrazione del processo; in forza di esso, una volta che si sia definitivamente delineato il thema decidendum, non sono consentiti rispetto alle domande ulteriori ampliamenti, che potrebbero pregiudicare la sollecita definizione del processo, così come voluta dal legislatore. Il sopra ricordato principio ispiratore della riforma ha quindi originato l'emanazione di norme che stabiliscono un preciso regime di decadenze e preclusioni in ordine alle attività difensive delle parti del processo, sia con riferimento alle domande introduttive, che alle deduzioni istruttorie.

La piena attuazione nell'indicato principio di immediatezza e concentrazione, che rappresenta l'in della novella, appare preclusa però dalla inapplicabilità nei confronti di tutti i soggetti processuali, comunque chiamati nel giudizio, delle norme relative alla decadenza, che sono espressione peculiare della intervenuta riforma; infatti, nel sistema delineato dalla norma oggetto di censura, al terzo chiamato in causa, che si costituisca oltre i termini assegnatigli, é consentito, in assenza di una specifica sanzione -- atteso il mancato richiamo all'applicazione del secondo comma dell'art. 167 del codice di procedura civile --, proporre domande riconvenzionali. Ciò può determinare l'effetto dell'ampliamento tardivo della materia del contendere che, nell'impianto del nuovo codice di rito, é contrastato in ogni modo dal legislatore.

Nel novellato codice di procedura civile non sono ravvisabili ragioni che possano giustificare la mancata previsione, riguardo al terzo chiamato in causa, della operatività della decadenza stabilita nei confronti del convenuto dall'art. 167, secondo comma, del codice di procedura civile. Si consideri inoltre che il terzo, vocatus in iudicium, assume la medesima posizione, definita in dottrina di "convenuto in seconda battuta", di chi é stato già citato in giudizio. E allora la diversa disciplina, stabilita in relazione alla proposizione di domande riconvenzionali, determina una evidente disparità di trattamento fra il terzo chiamato (ex artt. 269, 270 e 271) ed il convenuto (ex artt. 166 e 167).

La norma denunciata non può quindi sottrarsi -- come del resto auspicato dalla prevalente dottrina, la quale, in luogo di suggerire interpretazioni della norma in esame azzardate o artificiose, ha posto in risalto la questione, chiedendo ripetutamente l'intervento di questa Corte -- alla declaratoria di illegittimità costituzionale, per la irragionevole disparità di trattamento che essa determina fra le parti chiamate in giudizio, in contrasto con lo spirito informatore delle nuove disposizioni processuali civili.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 271 del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede per il terzo chiamato in causa l'applicazione dell'art. 167, secondo comma, del medesimo codice.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Fernanda CONTRI

Depositata in cancelleria il 23 luglio 1997.