Sentenza n. 241

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SENTENZA N.241

 

ANNO 1997

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO               

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

ha pronunciato la seguente                  

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), promosso con ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia, notificato il 24 gennaio 1997, depositato in Cancelleria il 29 successivo ed iscritto al n. 7 del registro ricorsi 1997.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 3 giugno 1997 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;

uditi l'avvocato Renato Fusco per la Regione Friuli-Venezia Giulia e l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 

1. La Regione Friuli-Venezia Giulia ha impugnato l'art. 4 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398 (Disposizioni per l'accelerazione degli investimenti a sostegno dell'occupazione e per la semplificazione dei procedimenti in materia edilizia), convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 1993, n. 493, come sostituito dall'art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), avente ad oggetto le procedure per il rilascio della concessione edilizia per violazione dell'art. 118, terzo comma, della Costituzione e degli artt. 4, 8 e 11 dello statuto di autonomia, approvato con legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1.

La Regione premette che, ai sensi dell'art. 4, numero 12, dello statuto, le é stata riconosciuta competenza legislativa primaria ed esclusiva in materia urbanistica; nonchè in forza del successivo art. 8 nello stesso ambito di competenza l'esercizio delle conseguenti funzioni amministrative; e che, infine per effetto dell'art. 11, queste ultime sono esercitate normalmente mediante delega alle Province ed ai Comuni, ai loro consorzi ed agli enti locali, o avvalendosi dei loro uffici.

D'altra parte, secondo la ricorrente, l'intima connessione fra l'attribuzione di competenze esclusive in materia urbanistica e l'ordinamento degli uffici, anch'essa materia riservata dallo statuto alla Regione, ha determinato il trasferimento delle attribuzioni degli organi centrali e periferici dello Stato con le norme di attuazione statutaria contenute nel d.P.R. 26 agosto 1965, n. 1116, nel d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902 e nel d.P.R. 15 gennaio 1987, n. 469.

Sulla base di tali competenze, la Regione si é dotata di un'organica disciplina urbanistica di cui alla legge 19 novembre 1991, n. 52 recante "Norme regionali in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica".

L'ampia ed articolata legislazione regionale, oltre a contenere disposizioni in materia di pianificazione territoriale (Titoli I-V) ed a prevedere la normativa che disciplina l'attività urbanistica ed edilizia (Titolo VI) e il conseguente regime sanzionatorio, ha espressamente previsto le norme che, definita la tipologia degli interventi edilizi oggetto di altrettanto specifici provvedimenti autorizzatori, disciplinano il procedimento per il rilascio delle concessioni edilizie: fra di esse l'art. 84, relativo al "silenzio-assenso", stabilisce che la domanda di concessione o autorizzazione edilizia si intende accolta qualora entro novanta giorni non sia stato comunicato il provvedimento motivato con cui viene negato il rilascio della medesima.

Per quanto, invece, riguarda l'individuazione del regime autorizzatorio al quale sottoporre gli interventi edilizi, gli artt. 68 e 72 della legge regionale n. 52 del 1991 hanno specificato l'ambito degli interventi soggetti a denuncia e ad autorizzazione edilizia, estendendo anche a quest'ultima, ai sensi dell'art. 79 della legge regionale citata, l'ambito di operatività del silenzio-assenso.

Ad avviso della ricorrente il comma 60 dell'art. 2 della legge n. 662 del 1996, che sostituisce l'art. 4 del d.l. 5 ottobre 1993, n. 398, convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 1993, n. 493, é lesivo della competenza statutaria regionale in materia urbanistica, poichè oltre a prevedere, in caso dell'inutile decorso del termine per l'emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento di rilascio della concessione edilizia, l'intervento sostitutivo del Presidente della Giunta regionale mediante la nomina di un commissario ad acta, stabilisce al comma 18 del novellato art. 4 che "le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano le proprie normazioni ai principi contenuti nel presente articolo in tema di procedimento".

Secondo la Regione Friuli-Venezia Giulia l'espunzione dall'ordinamento statale del silenzio-assenso e la contestuale previsione dell'obbligo di emanazione della legislazione di adeguamento é costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 4, 8 e 11 dello statuto di autonomia attesochè le disposizioni censurate non attingono al valore di norme fondamentali di riforma economico-sociale, tali da comportare un onere di adeguamento da parte delle Regioni a statuto speciale, potendo al più essere qualificate quali principi fondamentali della materia, inidonei a vincolarle.

D'altra parte, la ricorrente sottolinea che la Corte con la sentenza n. 1033 del 1988 ha attribuito, per quanto riguarda il procedimento di rilascio delle concessioni edilizie, all'istituto del silenzio-assenso la natura di principio di riforma economico-sociale, che trasfuso, mediante recepimento, nella legislazione regionale non consente sul piano della legittimità costituzionale la sua soppressione, nè tanto meno comporta l'onere di adeguamento da parte del legislatore regionale, dotato di competenza esclusiva in materia, ad una disciplina statale che lo sostituisca per effetto di sopravvenute norme, prive del connotato e valenza di riforma economico-sociale.

2. Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, insistendo per l'infondatezza del ricorso.

Ad avviso dell'Avvocatura gli istituti del silenzio-assenso e della denunzia di attività trovano la propria fonte normativa nell'ambito della legge n. 241 del 1990, essendo preordinati alla semplificazione dell'attività amministrativa laddove essa si connoti per essere a basso contenuto di discrezionalità, in riferimento a specifiche materie.

Di contro, sia la legge sul procedimento amministrativo che normative di settore evidenziano che, ove siano in gioco interessi essenziali per la collettività, tali da richiedere un'attenta ed effettiva valutazione da parte dell'amministrazione, la mancata emanazione del provvedimento richiesto entro il termine non dà luogo all'accoglimento per fictio iuris dell'istanza.

L'applicazione del silenzio-assenso alla concessione edilizia, secondo la difesa erariale, lascia troppi margini di rischio per il corretto uso del territorio, che deve essere pienamente garantito evitando abusi e disincentivando pratiche elusive di controlli preventivi su interventi che incidono sull'assetto complessivo dell'ambiente latamente inteso.

Pertanto, ad avviso della difesa erariale, si rivelano pienamente legittimi interventi normativi diretti a scongiurare pratiche dilatorie dell'amministrazione preposta alla pianificazione urbanistica ed alla gestione e vigilanza dell'attività edilizia, che, al contempo, salvaguardino l'effettivo esercizio di tali attribuzioni funzionali, al fine di coniugare l'interesse al sollecito esercizio dell'azione amministrativa e la tutela di interessi preminenti. In tale prospettiva deve essere valutato, ai fini della qualificazione della norma censurata, il controllo sostitutivo di cui all' impugnata norma.

Considerato in diritto

 

1. Con il ricorso in epigrafe, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha proposto, in riferimento agli artt. 118, terzo comma, della Costituzione, ed agli artt. 4, 8 e 11 dello statuto di autonomia, approvato con legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398 (Disposizioni per l'accelerazione degli investimenti a sostegno dell'occupazione e per la semplificazione dei procedimenti in materia edilizia), convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 1993, n. 493, come sostituito dall'art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica).

Secondo la ricorrente la disposizione in questione sarebbe lesiva della competenza statutaria regionale in materia urbanistica dal momento che, prevedendo, in luogo del silenzio-assenso conseguente all'inutile decorso del termine per l'emanazione della concessione edilizia, l'intervento sostitutivo del Presidente della Giunta regionale mediante la nomina di un commissario ad acta, comporta l'espunzione dell'istituto del silenzio-assenso, oltrechè dall'ordinamento statale, anche da quello delle Regioni che, come la Regione Friuli-Venezia Giulia, hanno specificamente disciplinato l'istituto, in forza della riconosciuta speciale autonomia (art. 84 della legge 19 novembre 1991, n. 52 recante "Norme regionali in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica").

Inoltre, sempre secondo la Regione, sarebbe assolutamente illegittimo il comma 18 del novellato art. 4 in quanto impositivo di onere di adeguamento alla nuova normativa anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale, sostanziando una tendenziale parificazione della potestà legislativa esclusiva a quella concorrente.

2. Preliminarmente deve essere esaminato, in quanto assorbente, il profilo del ricorso che investe principalmente l'art. 4, comma 18, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 1993, n. 493, come introdotto dall'art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

Infatti la lesione della posizione della Regione ricorrente (a statuto speciale) deriva essenzialmente dalla norma anzidetta, che in modo onnicomprensivo ed indiscriminato pone le Regioni a statuto speciale, le Province autonome di Trento e di Bolzano e le Regioni ordinarie sullo stesso piano nell'obbligo di adeguamento delle "proprie normazioni ai principi contenuti nel presente articolo in tema di procedimento", cioé come definito nella rubrica dell'articolo stesso di "procedure per il rilascio delle concessione edilizia".

In tale maniera il legislatore statale interviene in materia urbanistica nel campo dei procedimenti per il rilascio delle concessioni edilizie, con una serie di norme analitiche e di dettaglio che (in sostituzione di precedente disciplina statale applicabile in assenza di legislazione regionale: v. d.l. n. 398 del 1993, convertito in legge n. 493 del 1993) scandiscono le fasi e le cadenze procedimentali degli uffici comunali competenti, prevedendo, altresì, i termini per il rilascio e le conseguenze del decorso del termine, con obblighi per l'amministrazione comunale e regionale, ed in modo particolareggiato l'istituto della denuncia di inizio di attività.

Anche se le anzidette nuove norme statali non hanno alcun effetto abrogativo della preesistente disciplina regionale in materia, tuttavia comportano per le Regioni (così indicate accanto alle Province autonome) un obbligo generico ed indiscriminato di adeguamento ai principi della stessa legge statale, con una sostanziale parificazione della diversa potestà legislativa esclusiva spettante in materia alla Regione ricorrente a statuto speciale.

Nè può ammettersi che con una formula, sia pure di obbligo di adeguamento ai principi della legge statale (costituenti un limite della legislazione per le Regioni ordinarie), si possa interferire per di più intervenendo su un assetto normativo preesistente che ciascuna delle Regioni a statuto speciale si era legittimamente dato in modo completo sulla competenza primaria ed esclusiva in materia urbanistica delle Regioni e delle Province ad autonomia speciale (cfr., nella specie, art. 4 dello statuto di autonomia della Regione Friuli-Venezia Giulia) suscettibile di limiti derivanti da principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato o da norme fondamentali delle riforme economico-sociali.

In altri termini la competenza primaria delle Regioni a statuto speciale non può essere declassata negli stessi limiti più ristretti della competenza concorrente delle Regioni di diritto comune.

3. Sulla base delle predette considerazioni (con riferimento all'art. 4 dello statuto di autonomia della Regione Friuli-Venezia Giulia) il ricorso é fondato con conseguente dichiarazione di illegittimità costituzionale del citato comma 18, limitatamente alla parte in cui prevede l'obbligo di adeguamento anche per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 18, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398 (Disposizioni per l'accelerazione degli investimenti a sostegno dell'occupazione e per la semplificazione dei procedimenti in materia edilizia), convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 1993, n. 493, come introdotto dall'art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui prevede l'obbligo di adeguamento anche per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Riccardo CHIEPPA

Depositata in cancelleria il 18 luglio 1997.