Sentenza n. 236

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.236

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI  

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 8, numero 2, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria), 6, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637 (Disciplina dell'imposta sulle successioni e donazioni) e 7, comma 2, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni), promosso con ordinanza emessa il 15 marzo 1995 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Torino sul ricorso proposto da Griffa Teresa contro l'Ufficio del registro di Torino, iscritta al n. 148 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 aprile 1997 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto in fatto

1.-- La Commissione tributaria di secondo grado di Torino, con ordinanza del 15 marzo 1995 (r.o. n. 148 del 1996) -- emessa nel corso di un giudizio promosso da Griffa Teresa contro l'Amministrazione finanziaria, avente ad oggetto l'imposta relativa ad una successione apertasi il 18 giugno 1977 -- ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 8, numero 2, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria), 6, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637 (Disciplina dell'imposta sulle successioni e donazioni) e 7, comma 2, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni), nella parte in cui dispongono che alla imposta globale si aggiunge l'imposta sulla quota ereditaria assegnata agli eredi indiretti, e cioé a coloro che non siano nè il coniuge nè gli ascendenti o discendenti in linea retta del de cuius, "senza che dal valore di detta quota sia dedotto quanto dell'imposta globale venga a cadere sull'erede medesimo".

Secondo il rimettente le disposizioni denunciate si pongono in contrasto con il principio di capacità contributiva venendo a concretare, nel caso di eredi indiretti, "non solo una duplicazione di imposta, ma la sussistenza di una imposta su altra voce dell'imposta stessa", senza considerare, invece, che il rispetto del suddetto principio costituzionale esige che l'entità della quota venga considerata al netto dell'imposta globale che colpisce l'intera massa ereditaria a prescindere dal numero degli eredi e dal loro grado di parentela con il de cuius.

2.-- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere una pronuncia di non fondatezza della questione proposta.

Secondo la difesa erariale la diversità di trattamento riservata agli eredi indiretti, assoggettati, oltre che al tributo sul valore globale dell'asse ereditario, anche a quello sulle singole quote, calcolate senza la detrazione della parte dell'anzidetta imposta che colpisce il valore globale dell'asse ereditario, sarebbe espressione della discrezionalità spettante al legislatore nel determinare le singole fattispecie imponibili.

Tale trattamento non contrasterebbe nè con il principio di uguaglianza -- in quanto "non può essere messo in dubbio che coniuge e parenti in linea retta abbiano un rapporto con l'autore della successione diverso da quello degli altri successibili" -- nè con il principio di capacità contributiva, dal momento che "non spetta al giudice delle leggi valutare l'entità e la proporzionalità dell'onere tributario, salvo il controllo sotto il profilo della arbitrarietà o irrazionalità della misura della imposizione".

Secondo l'Avvocatura erariale, non può contestarsi la ragionevolezza della imposizione prevista a carico degli eredi indiretti, considerato, da un canto, che "le aliquote dell'imposta, anche se più gravose di quelle che si applicano agli eredi diretti, non giungono a superare mai la capacità contributiva" e, dall'altro, che la differenza di trattamento tiene conto del grado di parentela con il de cuius e, quindi, della maggiore o minore intensità dell'aspettativa all'eredità.

Considerato in diritto

1.-- Con l'ordinanza in epigrafe, la Commissione tributaria di secondo grado di Torino solleva questione di legittimità costituzionale degli artt. 8, numero 2, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria), 6, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637 (Disciplina dell'imposta sulle successioni e donazioni) e 7, comma 2, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni), nella parte in cui dispongono che "alla imposta globale si aggiunge l'imposta sulla quota ereditaria" assegnata all'erede indiretto, "senza che dal valore di detta quota sia dedotto quanto dell'imposta globale venga a cadere sull'erede medesimo".

Il giudice rimettente ritiene che le disposizioni denunciate contrastino con l'art. 53 della Costituzione: dal principio di capacità contributiva discenderebbe la necessità di considerare l'entità della quota spettante agli eredi indiretti -- e cioé diversi dal coniuge o dagli ascendenti e discendenti in linea retta -- "al netto dell'imposta globale", onde evitare "non solo una duplicazione di imposta ma la sussistenza di una imposta su altra voce dell'imposta stessa".

2.-- Va, anzitutto, dichiarata la inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione che investe l'art. 7, comma 2, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni), trattandosi di disposizione che, essendo entrata in vigore il 1° gennaio 1991 (ai sensi di quanto dispone l'art. 63 del medesimo testo unico), non trova applicazione ai fatti per i quali pende causa innanzi al giudice rimettente, che riguardano una successione apertasi il 18 giugno 1977.

3.-- Quanto alle altre disposizioni denunciate, la questione non é fondata.

Occorre, preliminarmente, rammentare che la normativa previgente -- quale si evince dalla disciplina riconducibile in modo precipuo agli artt. 1 del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3270 (Legge tributaria sulle successioni) e 1 del regio decreto-legge 4 maggio 1942, n. 434, convertito, con modificazioni, nella legge 18 ottobre 1942, n. 1220 (Imposta sull'asse ereditario globale netto) -- contemplava due distinte ed autonome imposte rappresentate dall'imposta sul valore globale dell'asse ereditario e dall'imposta di successione, sì da giustificare l'esistenza di una disposizione che, proprio per evitare duplicazioni, stabiliva che l'ammontare del tributo dovuto sull'asse ereditario globale fosse dedotto "dal valore complessivo dell'asse medesimo ai fini dell'applicazione della normale imposta di successione" (art. 1, secondo comma, del regio decreto-legge n. 434 citato).

La disciplina della imposizione successoria introdotta, invece, con la riforma tributaria del 1971 é caratterizzata -- come si desume sia dall'art. 8, numero 2, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, sia dall'art. 6, primo e secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637 -- dalla unificazione delle due distinte tassazioni (quella sulle singole quote e quella sul valore globale dell'asse ereditario) in un unico tributo articolato su due serie di aliquote. La sommatoria degli importi derivanti dal calcolo delle due suddette percentuali applicate alla base imponibile rappresentata, rispettivamente, dal valore dell'intero asse ereditario e dal valore della quota di eredità devoluta ad ogni singolo erede indiretto (intendendosi per tale, secondo la previsione di cui all'art. 6, comma 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, sopra citato, ripresa anche nell'art. 7 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, l'erede che non sia coniuge nè parente in linea retta del defunto) costituisce, perciò, l'unica imposta di successione dovuta da quest'ultimo.

Le innovazioni così introdotte nella disciplina tributaria della materia -- non più caratterizzata dalla previsione di due imposte (come avveniva prima della riforma), bensì da una particolare modalità di calcolo di un unico tributo a carico degli eredi indiretti -- spiegano perchè non si rinvenga in essa una disposizione del tenore di quella preesistente, volta ad evitare l'effetto di duplicazione segnalato dal rimettente. Effetto che, nel caso delle disposizioni denunciate, non si rinviene, pur nella prescritta liquidazione del tributo a carico degli eredi indiretti sull'imponibile al lordo della aliquota di imposta calcolata sul valore globale, proprio in ragione della nuova configurazione che il legislatore ha ritenuto di dare alla tassazione, così esercitando quella discrezionalità che attiene non solo alla determinazione degli indici concreti di capacità contributiva, ma anche alla struttura delle imposte, secondo criteri sindacabili, da parte del giudice delle leggi, solo in caso di palese arbitrarietà e irrazionalità.

Ciò che, nella specie, alla stregua delle prospettazioni del rimettente, non é dato, invero, riscontrare.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 2, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni), sollevata, in riferimento all'art. 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di secondo grado di Torino con l'ordinanza in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 8, numero 2, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria) e 6, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637 (Disciplina dell'imposta sulle successioni e donazioni) sollevata, in riferimento all'art. 53 della Costituzione, dalla medesima Commissione tributaria con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Massimo VARI

Depositata in cancelleria il 13 luglio 1997.