Sentenza n. 225

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 225

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 8 giugno 1966, n. 424 (Abrogazione di norme che prevedono la perdita, la riduzione o la sospensione delle pensioni a carico dello Stato o di altro ente pubblico) e dell'art. 21 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 4 marzo 1996 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, sul reclamo proposto dal Procuratore regionale della Corte dei conti in ordine al sequestro conservativo nei confronti di Solfaroli Luigi, iscritta al n. 577 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Udito nella camera di consiglio del 7 maggio 1997 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso di un procedimento in materia di danno erariale il Procuratore regionale della Corte dei conti impugnava davanti alla sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, ai sensi dell'art. 669-terdecies del codice di procedura civile, il sequestro conservativo dell'indennità di fine servizio, confermato dal giudice designato solo sino al limite del quinto dell'emolumento.

In sede di reclamo, la sezione ha sollevato d'ufficio, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 della legge 8 giugno 1966, n. 424 (Abrogazione di norme che prevedono la perdita, la riduzione o la sospensione delle pensioni a carico dello Stato o di altro ente pubblico), e 21 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato).

2. Osserva il giudice rimettente che nulla sarebbe stato innovato dopo la recente sentenza della Corte costituzionale n. 99 del 1993, che ha escluso la sequestrabilità o pignorabilità - entro i limiti stabiliti dall'art. 545 del codice di procedura civile - dell'indennità di fine rapporto spettante ai dipendenti pubblici, avendo circoscritto la propria efficacia al rapporto ordinario di credito-debito fra il "privato creditore" e il "pubblico dipendente". Non si estenderebbe, pertanto, al rapporto generato dal danno erariale - derivante alla pubblica amministrazione dal comportamento dei propri dipendenti - come disciplinato dagli artt. 4 della legge n. 424 del 1966 e 21 del d.P.R. n. 1032 del 1973, che non prevedono limiti alla sequestrabilità o pignorabilità del trattamento di fine rapporto per la riscossione dei crediti di detta natura.

La giurisprudenza costituzionale - ricorda a tal proposito l'ordinanza - ha sostanzialmente parificato, di fronte al creditore privato, le posizioni dei dipendenti privati e pubblici, eliminando il privilegio in favore di questi ultimi per avere esteso anche a costoro la disciplina (più sfavorevole) prevista dall'art. 545, quarto comma, del codice di procedura civile. Tuttavia permane una diversità fra le due categorie, con riferimento ai crediti derivanti da danno erariale, in relazione ai quali gli artt. 4 della legge n. 424 del 1966 e 21 del d.P.R. n. 1032 del 1973 ammettono la possibilità di sequestrare o pignorare l'intera indennità di fine rapporto. Si tratterebbe, ad avviso della Corte dei conti, di disposizioni volte alla tutela delle ragioni erariali, in quanto finalizzate al recupero di somme dovute per obbligazioni risarcitorie conseguenti a violazioni di obblighi di servizio da parte dei pubblici dipendenti; disposizioni, queste, che attribuiscono un potere autoritativo all'amministrazione e si giustificano in base a interessi superiori, quali la salvaguardia dei crediti erariali, l'ordinato andamento della pubblica amministrazione, l'esigenza di legalità. Ma si configurerebbe pur sempre un privilegio dell'amministrazione creditrice rispetto alla diversa disciplina che l'ordinamento stabilisce per i dipendenti privati nei confronti dei propri datori di lavoro.

Richiamata da ultimo nella sentenza n. 99 del 1993, la giurisprudenza costituzionale mirerebbe a omologare i due settori. Sennonchè persisterebbe una disparità in danno del pubblico dipendente rispetto a quelli privati, che sono soggetti alle norme di diritto comune: con ciò palesandosi un contrasto con la tendenza equiparativa, peraltro confermata di recente dalla normativa sul pubblico impiego e ribadita da una serie di pronunce di questa Corte in base alle quali il trattamento di fine rapporto si caratterizza come retribuzione differita, anche in ragione della esigua componente previdenziale. Di qui, la richiesta di uniformare i due comparti.

Considerato in diritto

1. Vengono all'esame della Corte gli artt. 4 della legge n. 424 del 1966 e 21 del d.P.R. n. 1032 del 1973, nella parte in cui non prevedono che, nelle ipotesi di danno erariale, sia sequestrabile o pignorabile - nei limiti di cui all'art. 545 del codice di procedura civile - l'indennità di fine rapporto dei dipendenti civili e militari dello Stato. Di tali norme dubita la sezione giurisdizionale per la Regione Lazio della Corte dei conti, in relazione all'art. 3 della Costituzione, poichè manterrebbero un trattamento ingiustificatamente sfavorevole nei confronti dei pubblici dipendenti, circa la ipotesi devoluta all'esame del rimettente: d'onde, il denunciato contrasto con la tendenza alla omologazione fra i due settori quale risulta dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. da ultimo la sentenza n. 99 del 1993), ribadita dalla recente disciplina legislativa del pubblico impiego.

2. La questione é fondata.

Occupandosi del regime giuridico dell'indennità di fine rapporto erogata ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni (d.P.R. n. 180 del 1950), questa Corte é intervenuta, con la sentenza n. 99 del 1993, sul trattamento loro riservato, e ha esteso la sequestrabilità o pignorabilità per ogni credito, negli stessi limiti stabiliti dall'art. 545, quarto comma, del codice di procedura civile. Ciò per l'ingiustificata disparità fra i dipendenti pubblici, fino ad allora privilegiati, e quelli del comparto privato che erano sottoposti alla soggezione, sebbene limitata, del potere legalmente esercitato dai creditori ordinari. Disparità non più tollerabile, secondo tale pronuncia, per la progressiva eliminazione delle differenze in materia, quale sviluppo della tendenza a omogeneizzare i due settori.

L'istituto in esame é stato oggetto di una valutazione del legislatore, volta a una graduale equiparazione, che pur nel rispetto delle peculiarità dei due tipi di lavoro, si palesa nel nuovo ruolo affidato alla contrattazione collettiva nell'ambito del settore pubblico, come si riscontra per le prestazioni di cui al giudizio a quo.

3. Le argomentazioni svolte conducono a una decisione di fondatezza. Non si può infatti asserire, di contro, che l'assenza di limiti al pignoramento o al sequestro conosca le sue ragioni giustificatrici nella tutela rafforzata, prevista per l'erario, se (e quando) esso debba realizzare il ristoro per il danno cagionato da dipendenti incapaci e infedeli, in quanto é proprio tale privilegio che, nel bilanciamento dei valori, non può prevalere sul diritto al trattamento di fine rapporto del lavoratore, pubblico o privato che sia.

Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate, nella parte in cui non prevedono che la sequestrabilità o la pignorabilità del trattamento di fine rapporto dei dipendenti civili e militari dello Stato, per i crediti derivanti da danno erariale, sia contenuta nei limiti previsti dall'art. 545 del codice di procedura civile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 4 della legge 8 giugno 1966, n. 424 (Abrogazione di norme che prevedono la perdita, la riduzione o la sospensione delle pensioni a carico dello Stato o di altro ente pubblico), e 21 del d.P.R 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte in cui prevedono, per i dipendenti civili e militari dello Stato, la sequestrabilità o la pignorabilità delle indennità di fine rapporto di lavoro, anche per i crediti da danno erariale, senza osservare i limiti stabiliti dall'art. 545, quarto comma, del codice di procedura civile.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1997.

Presidente: Giuliano VASSALLI

Redattore: Francesco GUIZZI

Depositata in cancelleria il 4 luglio 1997.