Sentenza n. 205

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SENTENZA N. 205

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI        

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA    

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE  

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 249 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 23 febbraio 1996 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Venezia nel procedimento penale a carico di Barbara Mariotti, iscritta al n. 636 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 marzo 1997 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto in fatto

1. -- Con ordinanza emessa il 23 febbraio 1996 nel corso di un procedimento penale nel quale, avendo chiesto il pubblico ministero l'archiviazione, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia riteneva che dovesse essere formulata l'imputazione per falsità della testimonianza resa dalla persona indagata nel corso di un processo civile, lo stesso giudice ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 29 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 249 del codice di procedura civile, nella parte in cui, nel disciplinare la facoltà di astensione dei testimoni attraverso il rinvio alle disposizioni sul diritto e sul dovere di astenersi dal testimoniare nel processo penale (artt. 351 e 352 del codice di procedura penale abrogato, ora artt. 200-202 del nuovo codice), non richiama anche la facoltà di astenersi dal testimoniare dei prossimi congiunti, i quali, nel processo penale (art. 350 del codice abrogato e art. 199 del nuovo codice), devono essere, a pena di nullità, avvertiti della facoltà, loro riconosciuta, di astenersi.

Il giudice rimettente -- rilevato che tale avvertimento non era stato dato alla persona nei cui confronti si procede penalmente, prima che rendesse testimonianza in una causa di lavoro nella quale la madre era parte attrice -- ritiene che, se il dubbio di legittimità costituzionale fosse fondato, dovrebbe essere applicata l'esimente prevista dall'art. 384, secondo comma, cod. pen., che esclude la punibilità della falsa testimonianza se il fatto é commesso, appunto, da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere testimonianza.

Il giudice rimettente ricorda che la disciplina del processo civile originariamente prevedeva il divieto di testimoniare dei parenti in linea retta (art. 247 cod. proc. civ.), sicchè la disposizione relativa alla facoltà di astensione dei testimoni, rinviando alle regole del processo penale, non poteva comprendere quella riconosciuta ai prossimi congiunti. Tuttavia, venuto meno il divieto di testimoniare, essendo stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 247 cod. proc. civ. (sentenza n. 248 del 1974), in assenza di una disciplina speciale, che non aveva ragione di essere prevista in precedenza, vale la regola generale e quindi sussiste l'obbligo anche dei prossimi congiunti di deporre nel processo civile, senza che operi, per essi, la facoltà di astenersi dal testimoniare, come nel processo penale.

Ad avviso del giudice rimettente, questa disciplina determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento, perchè non verrebbe dato alcun rilievo ai vincoli familiari, mentre la facoltà di astensione é riconosciuta per altre situazioni nelle quali sarebbe doveroso il riserbo (segreto professionale e segreto d'ufficio); tanto più che la facoltà di astenersi dal deporre viene riconosciuta ai prossimi congiunti nel processo penale, nel quale la tutela dei vincoli familiari prevarrebbe sulla pretesa punitiva. Nel processo civile, invece, l'obbligo di deporre sacrificherebbe totalmente i rapporti familiari, che la Costituzione salvaguarda (art. 29 Cost.), al dovere di dire la verità, senza che siano contemperate in alcun modo le diverse esigenze.

Inoltre, essendo caduto il divieto, per i prossimi congiunti, di testimoniare nel processo civile, l'incompleto coordinamento di norme non consentirebbe di applicare l'esimente prevista dall'art. 384, secondo comma, cod. pen. Risulterebbe così leso, ad avviso del giudice rimettente, il diritto di difesa, inteso non come diritto alla difesa tecnica, ma, in senso ampio, come diritto di giovarsi delle norme più favorevoli che l'ordinamento ha previsto per una particolare categoria di testimoni.

2. -- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Ad avviso dell'Avvocatura, la questione non sarebbe rilevante nel giudizio principale, giacchè, trattandosi di una causa di lavoro, il giudice avrebbe potuto ordinare la comparizione anche delle persone incapaci di testimoniare, per interrogarle liberamente (art. 421 cod. proc. civ.).

Nel merito l'Avvocatura ritiene la questione infondata, in quanto la disciplina della facoltà dei prossimi congiunti di astenersi dal testimoniare nel processo civile può essere diversa da quella del processo penale, trattandosi di situazioni differenti, che cadono sotto l'apprezzamento del legislatore.

Non sussisterebbe, inoltre, alcuna violazione dell'art. 24 della Costituzione, giacchè, non essendo previsti, per i prossimi congiunti, il divieto di testimoniare e la facoltà di astenersi, si rende possibile in sommo grado il libero convincimento del giudice e si espande la tutela in giudizio dei propri diritti.

Ad avviso dell'Avvocatura, non potrebbe, infine, essere utile parametro di giudizio l'art. 29 della Costituzione, che non tutela i vincoli affettivi familiari, ma l'istituzione familiare quale unitario nucleo sociale elementare. Comunque l'interesse alla realizzazione della giustizia attraverso i possibili mezzi di prova sarebbe tutelato almeno quanto quello affettivo familiare, ed il contemperamento di tali interessi sarebbe stato assicurato dal legislatore in modi di volta in volta diversi.

Considerato in diritto

1. -- La questione di legittimità costituzionale investe l'art. 249 del codice di procedura civile, nella parte in cui, nel disciplinare la facoltà di astensione dei testimoni attraverso il rinvio alle norme dettate per il processo penale (artt. 351 e 352 cod. proc. pen., ora da intendere artt. 200, 201 e 202 del nuovo cod. proc. pen.), non richiama anche la facoltà di astensione dei prossimi congiunti, che, nel processo penale, non possono essere obbligati a deporre e devono essere avvertiti della facoltà di astenersi (art. 199 del nuovo cod. proc. pen.).

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia dubita che la mancata previsione, nel processo civile, della facoltà di astensione dei prossimi congiunti -- che sarebbe dovuta all'omesso coordinamento delle diverse disposizioni a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'originario divieto, per essi, di testimoniare -- sia in contrasto con gli artt. 3 e 29 della Costituzione, per disparità di trattamento rispetto ad altre situazioni, considerate analoghe, nelle quali é assicurata la tutela del diritto e del dovere di riserbo (segreto professionale e segreto d'ufficio), ed alla facoltà di astensione riconosciuta agli stessi soggetti nel processo penale, mentre irragionevolmente non sarebbe attribuito alcun rilievo ai vincoli ed ai rapporti familiari, sacrificati totalmente al dovere di dire la verità rendendo testimonianza.

La disciplina denunciata sarebbe in contrasto anche con il diritto di difesa, garantito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione ed inteso non come diritto alla difesa tecnica, ma, in senso ampio, come diritto al trattamento più favorevole previsto dall'ordinamento per determinate categorie di testimoni, non punibili se non avvertiti della facoltà, loro riconosciuta, di astenersi dal testimoniare (art. 384, secondo comma, cod. pen.).

2. -- L'Avvocatura ha eccepito l'inammissibilità della questione, che non sarebbe rilevante nel processo principale, giacchè l'art. 249 cod. proc. civ. non disciplinerebbe nelle controversie di lavoro la materia della prova, trovando invece applicazione l'art. 421 cod. proc. civ., che consente al giudice di interrogare liberamente le persone per le quali sussista un divieto di testimoniare.

L'eccezione non può essere accolta.

La questione di legittimità costituzionale é stata sollevata nel corso di un procedimento penale per falsa testimonianza in ragione della deposizione già resa in un processo del lavoro dalla figlia della parte attrice, ascoltata come testimone e non interrogata liberamente dal giudice. Questa situazione costituisce il presupposto del procedimento penale ed assume rilievo non per quanto attiene alla disciplina della prova nel processo del lavoro ed alla possibilità, in esso, che il giudice interroghi liberamente anche coloro per i quali operava il divieto di testimoniare. La questione di legittimità costituzionale é rilevante nel giudizio principale, perchè questo richiede, secondo il giudice rimettente, l'eventuale applicazione di una causa di non punibilità della falsa testimonianza, se il testimone avesse potuto avvalersi della facoltà di astenersi.

3. -- Esaminando, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la legittimità costituzionale dell'art. 249 cod. proc. civ., nella parte in cui non fa rientrare i prossimi congiunti tra coloro che possono astenersi dal testimoniare nel processo civile, la Corte ha già ritenuto la questione inammissibile (sentenza n. 352 del 1987), giacchè i problemi posti in relazione a tale norma restano affidati al legislatore, comprendendo la disciplina del diritto di non testimoniare nel processo penale (art. 350 cod. proc. pen. del 1930) regole che non possono essere estese al processo civile. Nè le regole poste per il processo penale costituiscono necessariamente il modello per ogni altra disciplina processuale (cfr. sentenze n. 175 e n. 82 del 1996, n. 295 del 1995 e n. 48 del 1994).

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia pone, ora, l'omessa facoltà di astensione in relazione con l'esistenza del divieto di deporre, originariamente previsto (art. 247 cod. proc. civ.) per le persone legate da vincolo di parentela con le parti in giudizio; divieto ispirato ad una aprioristica valutazione negativa di credibilità del testimone, poco compatibile con il principio del libero convincimento del giudice nella valutazione delle prove ed in contrasto con il diritto di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione. Una volta superato tale divieto, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione che lo prevedeva (sentenza n. 248 del 1974), sarebbe venuto a mancare del tutto qualsiasi rilievo dei vincoli familiari, in relazione al generale dovere di prestare testimonianza; vincoli che il legislatore considera, invece, nell'assicurare la facoltà di astenersi dal deporre nel processo penale.

L'ordinamento, riconoscendo anche in altre particolari situazioni le esigenze di tutela dei diritti della persona, ammette l'esenzione dal dovere di testimoniare quando la deposizione possa incidere su taluni beni costituzionalmente protetti, e considera, nella sua complessiva articolazione, anche la salvaguardia della famiglia, nel rispetto dei doveri di solidarietà che ne derivano. Ma lo stesso ordinamento disciplina, poi, casi, estensione e modalità dell'esenzione dal testimoniare, bilanciando i diversi interessi in gioco, in modo da salvaguardare anche il diritto alla prova, quale strumento del diritto di difesa, ed il processo. Sicchè la stessa prospettazione della questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione, conduce necessariamente ad una pronuncia di inammissibilità, in presenza di una pluralità di scelte e di modelli che il legislatore può adottare.

4. -- In riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, la questione é manifestamente infondata, giacchè, quale che sia l'ampiezza da riconoscere al diritto di difesa, questo non può comprendere, come si vorrebbe nel caso in esame, la pretesa all'estensione di cause di non punibilità inerenti alla disciplina sostanziale delle figure di reato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara:

a) inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 249 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia con l'ordinanza indicata in epigrafe;

b) la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 249 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, dallo stesso Giudice con la medesima ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 1997.

Presidente: Dott. Renato GRANATA

Redattore: Prof. Cesare MIRABELLI

Depositata in cancelleria il 27 giugno 1997.