Sentenza n. 118

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SENTENZA N. 118

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 23, lettera a), della legge 4 dicembre 1956, n. 1450 (Trattamento di previdenza per gli addetti ai pubblici servizi di telefonia in concessione), come modificato dall'art. 8 della legge 22 ottobre 1973, n. 672, promosso con ordinanza emessa il 25 gennaio 1996 dal Tribunale di Urbino sul ricorso proposto da Frattini Edo contro l'INPS iscritta al n. 533 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visti gli atti di costituzione di Frattini Edo e dell'INPS;

udito nell'udienza pubblica dell'8 aprile 1997 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

uditi gli avvocati Salvatore Cabibbo per Frattini Edo e Antonio Todaro per l'INPS.

Ritenuto in fatto

1.-- Nel corso della controversia in materia di previdenza promossa da Frattini Edo contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) a seguito della sospensione dell'erogazione della quota di pensione di reversibilità percepita dal ricorrente per la propria figlia, in conseguenza del di lei matrimonio, il Tribunale di Urbino, adito in sede di riassunzione dal Frattini dopo l'annullamento della precedente sentenza del Tribunale di Pesaro da parte della Corte di cassazione, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con ordinanza emessa il 25 gennaio 96, questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, lettera a), della legge 4 dicembre 1956, n. 1450 (Trattamento di previdenza per gli addetti ai pubblici servizi di telefonia in concessione), nella parte in cui prevede la cessazione del diritto alla pensione per le figlie quando contraggano matrimonio.

Il giudice rimettente, nel ricostruire le tappe della controversia, rileva che nel giudizio conclusosi con la sentenza successivamente annullata dalla Cassazione, si era ritenuto che la norma impugnata potesse considerarsi implicitamente caducata sulla base della sentenza n. 164 del 1975 di questa Corte, la quale aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, secondo comma, del decreto legislativo luogotenenziale 18 gennaio 1945, n. 39, norma di contenuto analogo a quella del presente giudizio.

La Cassazione, però, é andata di contrario avviso sostenendo che gli effetti di una sentenza di illegittimità costituzionale non possono estendersi oltre le norme esplicitamente colpite, ed osservando che il giudice di merito avrebbe dovuto sollevare la questione dinanzi a questa Corte.

Il Tribunale di Urbino chiede pertanto l'accoglimento dell'indicata questione richiamandosi espressamente alla motivazione della sentenza n. 164 del 1975 della Corte costituzionale.

2.-- Nel giudizio davanti a questa Corte si é costituito Frattini Edo, chiedendo l'accoglimento della questione sollevata dal Tribunale di Urbino.

A sostegno di tali conclusioni, la parte privata ha osservato che la norma impugnata costituisce un'evidente violazione del principio di uguaglianza tra i sessi, oltre che un'anacronistica discriminazione non avente alcun fondamento nella realtà sociale.

3.-- Si é costituito in giudizio anche l'INPS, concludendo per l'infondatezza della questione.

Ha rilevato l'ente previdenziale che la norma dichiarata illegittima con la sentenza da ultimo citata si riferiva al regime generale dell'assicurazione obbligatoria; poichè la norma oggi impugnata, invece, riguarda un regime assicurativo speciale, specificamente quello dei dipendenti telefonici, non sarebbe possibile un'equiparazione tra le due situazioni, dal momento che la scelta del legislatore di togliere la quota di reversibilità alle figlie che contraggono matrimonio risponde ad una ponderata valutazione dei diversi interessi in gioco.

In subordine, l'INPS ha chiesto alla Corte di voler dichiarare l'illegittimità costituzionale della norma impugnata nella parte in cui non prevede la cessazione del diritto alla pensione per i figli maschi ultradiciottenni, qualora gli stessi contraggano matrimonio.

Considerato in diritto

1.-- Il Tribunale di Urbino dubita che l'art. 23, lettera a), della legge 4 dicembre 1956, n. 1450 (Trattamento di previdenza per gli addetti ai pubblici servizi di telefonia in concessione), nella parte in cui prevede la cessazione del diritto alla quota di pensione di reversibilità per le figlie che contraggono matrimonio, sia in contrasto con l'art. 3 Costituzione; e ciò per il differente trattamento riservato nella medesima situazione ai figli maschi.

L'ordinanza di rimessione, nell'indicare la citata legge n. 1450 del 1956, menziona anche la legge modificativa del 22 ottobre 1973, n. 672, la quale però non riguarda la norma impugnata in questa sede.

2.-- L'INPS eccepisce preliminarmente l'inammissibilità della questione per irrilevanza, deducendo che il giudice a quo, nel soffermarsi soltanto su una delle condizioni per conservare il diritto della figlia alla pensione di riversibilità (il permanere cioé del suo stato di nubile), non ha motivato sull'altra condizione necessaria, e cioé l'essere la figlia stessa ancora a carico del genitore.

L'eccezione va disattesa in quanto l'ordinanza non soltanto afferma espressamente che la beneficiaria era tuttora studentessa, ma riferisce che l'Istituto aveva chiesto la restituzione delle somme da essa percepite successivamente al matrimonio; con ciò riconoscendo implicitamente che fino a quel momento sussisteva il requisito della vivenza a carico.

3.-- Nel merito la questione é fondata.

Nel corso del giudizio a quo, la Cassazione ha annullato la sentenza del Tribunale di Pesaro per aver applicato alla presente fattispecie gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità pronunciata con sentenza n. 164 del 1975 da questa Corte. In proposito ha osservato la Cassazione che l'illegittimità costituzionale di una disposizione di legge non può essere estesa dal giudice ad altre norme, ancorchè esse costituiscano applicazione dello stesso principio generale contenuto in quella già dichiarata incostituzionale. Ed ha precisato che la citata sentenza n. 164 del 1975 riguardava un caso diverso, disciplinato dall'art. 2, secondo comma, del d.lgs.lgt. 18 gennaio 1945, n. 39.

In realtà, non solo la sentenza del 1975 si riferiva ad una norma, contenuta nel testo legislativo citato, riguardante la disciplina generale del trattamento di reversibilità delle pensioni di invalidità e vecchiaia, mentre il presente caso é regolato dalla disciplina speciale del trattamento di previdenza per gli addetti ai pubblici servizi di telefonia in concessione (legge 4 dicembre 1956, n. 1450), ma sussisteva l'ulteriore differenza che la fattispecie oggetto di quella sentenza atteneva al momento concessorio della pensione (art. 2) e non a quello della cessazione del diritto (art. 3).

4.-- Proprio valorizzando il fatto che qui si versa nell'ambito di una disciplina speciale, l'INPS deduce che la particolare posizione degli iscritti al Fondo dei telefonici non consente l'omologazione di costoro alla generalità dei lavoratori che godono dell'assicurazione generale obbligatoria. La considerazione degli speciali e maggiori vantaggi attribuiti - osserva l'Istituto - renderebbe ragionevole la scelta del legislatore di realizzare alcune economie in presenza di situazioni ritenute meritevoli di minore tutela.

Tale deduzione non può essere condivisa, non tanto perchè la giustificazione delle specifiche "economie" si pone in contraddizione con l'affermata vantaggiosità della legge speciale, quanto e soprattutto perchè la legge generale e quella speciale - del tutto simili nel prevedere la cessazione della pensione a seguito del matrimonio delle figlie - pongono la stessa questione di legittimità costituzionale circa il differente trattamento dei figli basato sulla diversità di sesso.

5.-- Nel valutare se questa disparità di trattamento fosse giustificata, la menzionata pronuncia di questa Corte (sentenza n. 164 del 1975) osservava che la norma escludeva la concessione di quel diritto solo alle figlie maritate, implicitamente presumendo che le stesse, in generale, non si trovassero più in stato di bisogno e quindi non più a carico del genitore al momento della di lui morte. Ma, soggiungeva la Corte, "la vivenza a carico é una situazione di fatto che in concreto può esistere o mancare: e può aversi ugualmente nei confronti di ogni superstite, figlio o figlia che sia".

In una successiva occasione, la Corte costituzionale, affrontando più specificamente l'ipotesi della cessazione del diritto alla pensione di riversibilità a seguito del matrimonio di una figlia, ha osservato, con la sentenza n. 140 del 1979, che la norma "presuppone in maniera evidente che l'orfano maschio conserva tale diritto ove si sposi per poter mantenere la moglie e la famiglia che viene a costituire. Viceversa il legislatore dell'epoca ritenne che l'orfana che fosse passata a nozze sarebbe stata mantenuta dal marito e che quindi dovesse perdere la precedente pensione". Ma - osserva la citata sentenza - "tale differenziazione non trova più giustificazione nell'attuale realtà giuridica e sociale".

Questa motivazione appare valida anche in ordine al caso in esame, poichè l'art. 3, lettera a), del d.lgs.lgt. n. 39 del 1945, allora considerato, contiene una norma sostanzialmente identica, nel testo come nella ratio ispiratrice, a quella oggetto del presente giudizio.

6.-- L'INPS deduce in subordine che, ove si volesse riconoscere nella fattispecie de qua agitur la parità di trattamento dei figli senza distinzione di sesso, occorrerebbe dichiarare l'incostituzionalità della norma, non per riconoscere la permanenza del diritto alla pensione per la figlia passata a nozze, ma per estendere anche al figlio la perdita della pensione quando il medesimo contrae matrimonio.

Tale deduzione non può essere accolta, dal momento che - come già affermato nella citata sentenza n. 164 del 1975 - non può ritenersi che il matrimonio costituisca presunzione iuris et de iure della non vivenza del figlio a carico del genitore; fermo restando, quindi, senza distinzione di sesso, la perdita del diritto solo nel caso che venga dimostrato il venir meno della vivenza a carico del genitore o la mancanza degli altri requisiti previsti dalla legge.

7.-- Nella presente occasione, pertanto, anche con riguardo alla speciale disciplina del trattamento pensionistico dei lavoratori dei pubblici servizi telefonici in concessione, non si può che pervenire alla stessa conclusione delle predette sentenze di questa Corte, dichiarando l'illegittimità costituzionale della disposizione che fa dipendere la cessazione della pensione di reversibilità dal solo fatto che, diversamente da quanto previsto per l'orfano, la figlia abbia contratto matrimonio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 23, lettera a), della legge 4 dicembre 1956, n. 1450 (Trattamento di previdenza per gli addetti ai pubblici servizi di telefonia in concessione), limitatamente alle parole "e per le figlie".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 1997,

Renato GRANATA, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore.

Depositata in cancelleria il 6 maggio 1997.