Ordinanza n. 96

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 96

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Francesco GUIZZI

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA              

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv. Fernanda CONTRI      

- Prof. Guido NEPPI MODONA       

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 358 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 20 aprile 1996 dal Pretore di Messina, sezione distaccata di S. Teresa di Riva, nel procedimento penale a carico di Impellizzeri Antonio, iscritta al n. 610 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1996;

  Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  Udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 1997 il Giudice relatore Guido Neppi Modona;

  Ritenuto che il Pretore di Messina ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 358 del codice di procedura penale, in riferimento agli articoli 24, secondo comma, 27, secondo comma, e 76 della Costituzione;

  che la norma é censurata dal Pretore nella parte in cui non prevede alcuna sanzione processuale - nullità ovvero inutilizzabilità - in caso di inottemperanza da parte del pubblico ministero all'obbligo di svolgere anche "accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini";

  che in particolare il Pretore rimettente lamenta che il pubblico ministero, nel disporre consulenza tecnica, avesse affidato al consulente l'incarico di accertare l'entità dell'appropriazione contestata all'imputato, così escludendo dal campo delle indagini il caso in cui nessuna appropriazione fosse stata realizzata;

  che ad avviso del rimettente la mancanza di sanzioni processuali per la violazione di tale obbligo si porrebbe in contrasto:

- con l'art. 76 della Costituzione, in riferimento alla direttiva di cui all'art. 2, numero 37, della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, ove é appunto previsto il "potere-dovere del pubblico ministero di compiere indagini in funzione dell'esercizio dell'azione penale..., ivi compresi gli elementi favorevoli all'imputato", nonchè in riferimento alla direttiva di cui all'art. 2, numero 3, della medesima legge-delega in quanto la mancanza di qualsiasi sanzione processuale in caso di omissione di tale dovere violerebbe il principio di eguaglianza tra accusa e difesa;

- con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, in quanto il diritto di difesa dell'imputato troverebbe "proprio nell'obbligo del Pubblico Ministero di raccogliere anche le prove a favore dell'imputato, la sua massima estrinsecazione";

- con l'art. 27, secondo comma, della Costituzione, dal quale si desumerebbe l'obbligo del pubblico ministero di "considerare l'imputato innocente fino a sentenza definitiva, e dunque di assumere un comportamento di rigorosa neutralità per tutta la durata delle indagini";

  che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso, in via preliminare, per l'inammissibilità della questione e, nel merito, per la sua infondatezza;

  che l'inammissibilità deriverebbe dal difetto di rilevanza, in quanto il quesito posto al consulente tecnico dal pubblico ministero non precludeva l'accertamento sull'an della appropriazione;

  che la non fondatezza deriverebbe, con riferimento alla dedotta violazione dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione, dalla constatazione che il diritto di difesa dell'imputato si estrinseca non tanto attraverso le attività del pubblico ministero in favore della persona sottoposta alle indagini, quanto mediante l'esercizio del diritto alla controprova (nel caso di specie, mediante la richiesta di una perizia in dibattimento e la nomina di propri consulenti di parte); con riferimento alla supposta violazione dell'art. 27, secondo comma, della Costituzione, dal fatto che la presunzione di non colpevolezza esprime uno status dell'imputato sino alla pronuncia della sentenza definitiva, e non un criterio cui debba attenersi il pubblico ministero nello svolgimento delle indagini; per quanto concerne, infine, il dedotto contrasto con l'art. 76 della Costituzione, dalla considerazione che la direttiva numero 37 della legge-delega non richiama, nè esplicitamente, nè implicitamente, alcuna sanzione processuale in caso di mancato esercizio del potere-dovere del pubblico ministero di accertare gli elementi favorevoli all'imputato.

  Considerato che l'eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza dedotta dall'Avvocatura dello Stato deve essere disattesa, in quanto la valutazione di non rilevanza della questione comporterebbe un giudizio ipotetico sulle modalità con cui il consulente tecnico avrebbe dovuto svolgere l'incarico affidatogli dal pubblico ministero;

  che nel merito la questione di legittimità costituzionale si basa su una interpretazione del potere-dovere del pubblico ministero di svolgere anche "accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alla indagini", previsto dall'art. 358 cod. proc. pen, incompatibile con il modello tendenzialmente accusatorio del processo penale, qualificato come processo di parti proprio perchè basato su una chiara distinzione dei ruoli dialetticamente contrapposti rispettivamente svolti dall'accusa e dalla difesa;

  che, in particolare, il Pretore rimettente vorrebbe attribuire al pubblico ministero compiti e funzioni che nell'architettura del codice spettano piuttosto alla difesa, sino a sostenere che il diritto alla difesa trova "la sua massima estrinsecazione" proprio nell'obbligo del pubblico ministero di raccogliere anche prove a favore dell'imputato, e che la presunzione di non colpevolezza imporrebbe al pubblico ministero "un comportamento di rigorosa neutralità per tutta la durata delle indagini";

  che in realtà nella logica dell'attuale processo penale l'obbligo del pubblico ministero di svolgere indagini anche in favore della persona sottoposta alle indagini non mira nè a realizzare il principio di eguaglianza tra accusa e difesa, nè a dare attuazione al diritto di difesa, ma si innesta sulla natura di parte pubblica dell'organo dell'accusa (v. sentenza n. 190 del 1991) e sui compiti che il pubblico ministero é chiamato ad assolvere nell'ambito delle determinazioni che, a norma del combinato disposto dagli articoli 358 e 326 cod. proc. pen., deve assumere in ordine all'esercizio dell'azione penale;

  che il principio di obbligatorietà dell'azione penale non comporta, infatti, l'obbligo di esercitare l'azione ogni qualvolta il pubblico ministero sia stato raggiunto da una notizia di reato, ma va razionalmente contemperato con il fine di evitare l'instaurazione di un processo superfluo (v. sentenza n. 88 del 1991);

  che tale fine si realizza anche mediante l'obbligo di svolgere accertamenti a favore della persona sottoposta alle indagini, obbligo strettamente correlato alla disciplina codicistica che pone al pubblico ministero l'alternativa, al termine delle indagini preliminari, tra la richiesta di archiviazione e l'esercizio dell'azione penale (art. 405, comma 1, cod. proc. pen.), ferma restando comunque la sottoposizione della richiesta di archiviazione al vaglio giurisdizionale in funzione di controllo sull'effettività del principio costituzionale di obbligatorietà dell'azione penale;

  che tali considerazioni dimostrano l'infondatezza del collegamento operato dal Pretore rimettente tra le direttive di cui ai punti numeri 3 e 37 della legge- delega, posto che l'obbligo di svolgere accertamenti anche a favore della persona sottoposta alle indagini é funzionale ad un corretto e razionale esercizio dell'azione penale, ma non rientra tra i meccanismi volti a realizzare il principio della "partecipazione dell'accusa e della difesa su basi di parità in ogni stato e grado del procedimento";

  che il principio di parità tra accusa e difesa trova piuttosto esplicazione nei diversi meccanismi previsti nelle varie fasi del procedimento per dare piena attuazione al diritto di difesa, tra cui le investigazioni difensive disciplinate dall'art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, espressamente finalizzate all'esercizio del diritto alla prova (e alla controprova), e i poteri di acquisizione probatoria del giudice nel caso di inerzia o negligenza delle parti (articoli 422 e 507 cod. proc. pen., rispettivamente in sede di udienza preliminare e di dibattimento), poteri qualificati da questa Corte come sostitutivi, ma "non eccezionali" (sentenze n. 190 del 1991 e n. 111 del 1993);

  che nel caso di specie la dedotta omissione dell'obbligo del pubblico ministero di svolgere accertamenti in favore dell'imputato non avrebbe neppure comportato il ricorso ai poteri suppletivi di acquisizione probatoria del giudice, in quanto rientrava tra le facoltà del difensore della persona sottoposta alle indagini nominare sino a due consulenti tecnici a norma dell'art. 233, comma 1, cod. proc. pen., i quali possono esporre al giudice il proprio parere, anche attraverso memorie, ovvero chiedere l'ammissione in dibattimento dell'esame dei consulenti tecnici a norma dell'art. 501 del codice di procedura penale, ovvero ancora presentare una richiesta di perizia in dibattimento (art. 508 del codice di procedura penale);

  che le considerazioni sinora svolte rendono evidente che non sussiste alcuno dei profili di illegittimità che secondo il Pretore rimettente deriverebbero dall'omessa previsione di sanzioni processuali in caso di mancato rispetto da parte del pubblico ministero dell'obbligo di svolgere accertamenti anche in favore della persona sottoposta alle indagini;

  che, di conseguenza, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 358 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, 27, secondo comma, e 76 della Costituzione, dal Pretore di Messina, sezione distaccata di S. Teresa di Riva, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso, in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 1997.

Giuliano VASSALLI, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKJ, Redattore

Depositata in cancelleria l'11 aprile 1997.