Ordinanza n. 81

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ORDINANZA N. 81

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Francesco GUIZZI

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO

- Avv.    Massimo VARI

- Dott.   Cesare RUPERTO

- Dott.   Riccardo CHIEPPA

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof.    Valerio ONIDA

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE

- Avv.    Fernanda CONTRI

- Prof.    Guido  NEPPI MODONA

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, legge 19.3.1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza mafiosa e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), novellato dall'art. 11 del decreto-legge 31.12.1991, n. 419 (Istituzione del fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive), convertito in legge 18.2.1992, n. 172, promosso con ordinanza emessa l'8 febbraio 1996 dal Tribunale di Crotone, nel procedimento penale a carico di Pugliese Franco, iscritta al n. 465 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1996.

  Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 1997 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che nel corso di un procedimento per l'applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e della misura patrimoniale della confisca di beni ai sensi degli artt. 2, 2-bis e 2-ter della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), il Tribunale di Crotone, con ordinanza emessa l'8 febbraio 1996, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 14, comma 1, della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza mafiosa e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), come modificato dall'art. 11 del d.l. 31 dicembre 1991, n. 419 (Istituzione del fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive), convertito nella legge 18 febbraio 1992, n. 172;

che, secondo l'autorità remittente, la norma denunciata, la quale prevede l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali di cui agli artt. 2-bis e seguenti della legge n. 575 del 1965 anche nei confronti di coloro che, pur non essendo inquadrabili all'interno delle associazioni di stampo mafioso, si può ritenere tuttavia che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose, quando queste ultime concretino i reati specificamente indicati, sarebbe costituzionalmente illegittima in quanto non include tra tali illeciti i reati di usura previsti dagli artt. 644 e 644-bis del codice penale;

che la normativa in questione sarebbe frutto di una linea evolutiva della legislazione (le cui tappe precedenti vengono indicate nell'art. 19 della legge 22 maggio 1975, n. 152, nella legge 13 settembre 1982, n. 646, e nello stesso testo originario dell'art. 14 della legge n. 55 del 1990), che é venuta ad equiparare ai soggetti indiziati di appartenere ad associazioni mafiose gli autori di reati che si pongono come logica conseguenza dell'accumulazione di denaro proveniente dalla attività di quelle associazioni o si collocano come attività di supporto delle associazioni medesime, al fine del procacciamento di mezzi;

che, sempre ad avviso del giudice a quo, fra le attività delittuose che realizzano l'intento che il legislatore tendeva ad evitare é sicuramente compreso il delitto di usura, per la sua funzione di riutilizzo altamente remunerativo di capitali provenienti da attività poste in essere dalle associazioni mafiose; e dunque la mancata inclusione dei reati di usura e usura impropria fra quelli elencati nell'art. 14 della legge n. 55 del 1990 sarebbe censurabile per irragionevolezza e disparità di trattamento di situazioni fra loro parificabili;

che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rilevando che l'art. 9 della legge 7 marzo 1996, n. 108 (Disposizioni in materia di usura), ha introdotto nella disposizione impugnata il riferimento al reato di usura previsto dall'art. 644 del codice penale (mentre l'art. 644-bis dello stesso codice é stato abrogato dall'art. 1, comma 2, della stessa legge), e chiedendo pertanto la restituzione degli atti al giudice a quo per il riesame della questione alla luce dello jus superveniens.

Considerato che, dopo la pronuncia dell'ordinanza di rimessione, é sopravvenuta la legge 7 marzo 1996, n. 108, la quale all'art. 9 ha modificato l'elenco di reati cui si riferisce la disposizione impugnata, includendovi il reato di usura previsto e punito dall'art. 644 del codice penale (come riformulato dall'art. 1, comma 2, della stessa legge), e all'art. 1, comma 2, ha abrogato l'art. 644-bis del codice penale (usura impropria);

che pertanto gli atti devono essere restituiti al giudice a quo per una nuova valutazione della rilevanza alla luce dello jus superveniens.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Crotone.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Valerio ONIDA

Depositata in cancelleria il 3 aprile 1997.