Ordinanza n. 75

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ORDINANZA N. 75

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE  

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA  

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI  

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 246 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 16 febbraio 1996 dal Giudice conciliatore di Robbio, nel procedimento civile vertente tra Tubettificio Robbiese s.r.l. e Edyl Sistem s.n.c., iscritta al n. 480 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1996.

  Udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 1997 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

  Ritenuto che nel corso di un giudizio in cui una società a responsabilità limitata aveva contestato le fatture emesse da una società in nome collettivo, chiedendo altresì di provare le proprie ragioni attraverso la testimonianza dei due soci amministratori della stessa attrice, il Giudice conciliatore di Robbio, con ordinanza emessa il 16 febbraio 1996, a fronte dell'eccezione d'incapacità dei testi sollevata dalla convenuta ex art. 246 del codice di procedura civile, dopo aver rilevato che i predetti soci possedevano di fatto le funzioni di amministratori (e che vi era quindi luogo ad ammettere tale eccezione), ha sollevato -- in riferimento all'art. 24 Cost. -- questione di legittimità costituzionale della norma predetta, nella parte in cui non consente la testimonianza di terzi interessati al giudizio;

  che, secondo il giudice a quo, allorché un fatto diviene oggetto di prova il giudice dovrebbe conoscere della verità materiale del medesimo, non essendo il principio dispositivo sufficiente ad assicurare la realizzazione dei diritti della difesa, mentre il procedimento probatorio dovrebbe a sua volta garantire l'ammissione della sola prova a disposizione della parte;

  che, a parere del rimettente, la norma impugnata, nello stabilire a priori l'esclusione anche dell'unica prova rilevante ai fini del decidere, verrebbe a ledere il principio dell'integrale attuazione della garanzia della difesa, in quanto impone che il testimone sia sempre un terzo non interessato rispetto al rapporto controverso, ed inoltre sarebbe priva di ogni ragionevole fondamento, nonché eccessivamente compressiva del diritto alla prova.

  Considerato che questa Corte ha già dichiarato non fondata analoga questione con la sentenza n. 248 del 1974 e che il giudice a quo, oltre a non prendere in considerazione tale decisione, non aggiunge argomenti sostanzialmente diversi rispetto a quelli a suo tempo esaminati;

  che, in particolare, l'osservazione secondo cui la testimonianza del terzo interessato sarebbe nella specie l'unico strumento a disposizione dell'attore per provare un fatto costitutivo, non può addursi a sostegno della prospettata violazione dell'art. 24 Cost., in un ordinamento in cui -- salve le eccezionali ipotesi di iniziativa officiosa -- l'assolvimento dell'onere probatorio resta imprescindibilmente a carico della parte;

  che, inoltre, è palesemente da escludere l'asserita irragionevolezza della norma, in quanto il denunciato art. 246 cod. proc. civ. viene ad esprimere (nella forma di una presunzione assoluta d'incapacità a testimoniare delle parti, anche potenziali) l'insuperabile antinomia tra teste e titolare dell'interesse fatto valere, e ciò trova la sua ragione nel bilanciamento tra i contrapposti diritti di difesa, attuato dal legislatore nel disciplinare i modi di partecipazione al processo (cfr. ordinanza n. 494 del 1987) e nel distinguere tra fonti di prova e mezzi istruttori;

  che, d'altronde, il giudice ha pur sempre il potere (ex artt. 272 e 187 cod. proc. civ.) di risolvere prima del merito ogni questione relativa all'intervento, così garantendo la corretta corrispondenza tra l'apporto al processo e la situazione soggettiva di chi vi prende parte;

  che la questione è pertanto manifestamente infondata.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 246 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal Giudice conciliatore di Robbio, con l'ordinanza di cui in epigrafe.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1997.

Renato GRANATA, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 28 marzo 1997.