Ordinanza n. 72 del 1997

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ORDINANZA N. 72

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-         Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente

-         Prof. Francesco GUIZZI

-         Prof. Cesare MIRABELLI

-         Avv. Massimo VARI

-         Dott. Cesare RUPERTO

-         Dott. Riccardo CHIEPPA

-         Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-         Prof. Valerio ONIDA

-         Avv. Fernanda CONTRI

-         Prof. Guido NEPPI MODONA

-         Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 12 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 10 aprile 1996 dalla Corte di appello di Milano nel procedimento penale a carico di Zampatti Severo, iscritta al n. 620 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1996;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 1997 il giudice relatore Giuliano Vassalli;

RITENUTO che la Corte di appello di Milano, chiamata a pronunciarsi quale giudice della esecuzione, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 del codice penale, nella parte in cui impedisce il riconoscimento della sentenza straniera ai fini dell'individuazione del vincolo della continuazione ai sensi dell'art. 671 del codice di procedura penale;

che a tal proposito il giudice a quo dopo aver posto in risalto l'inadeguatezza della procedura di rinnovamento del giudizio, ha evidenziato come l'impossibilità di unificare sotto il vincolo della continuazione il reato giudicato in Italia e quello giudicato all'estero, attesi i limitati effetti che scaturiscono dalla norma oggetto di impugnativa, da un lato intaccherebbe il principio di uguaglianza "per il soggiacere dell'imputato, nei cui confronti si procede separatamente, a situazioni di minorazione rispetto all'imputato che usufruisce di processo cumulativo", dall'altro comprometterebbe l'inviolabilità del diritto di difesa "per l'incompleta esperibilità dell'accertamento dell'unicità del disegno criminoso in relazione a processi separati";

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;

CONSIDERATO che la disciplina del reato continuato postula il riferimento a categorie di diritto sostanziale (reati e pene) che si qualificano soltanto in ragione del diritto interno, sicché il riconoscimento della sentenza straniera agli effetti di quanto richiesto dal giudice a quo comporterebbe l'individuazione di un meccanismo che rendesse fra loro omologabili il reato giudicato all'estero e quello giudicato nello Stato nonché le pene in concreto irrogate nei due giudizi, posto che soltanto per questa via sarebbe possibile individuare la "violazione più grave" e determinare, in ragione di essa, l'aumento di una pena prevista dall'ordinamento interno;

che l'applicazione della continuazione tra la condanna subita in Italia e le condanne all'estero determinerebbe una automatica invasione del giudicato estero al di fuori di qualsiasi meccanismo convenzionale, così restando totalmente eluso, fra l'altro, il principio della prevalenza delle convenzioni e del diritto internazionale generale, programmaticamente assunto a chiave di volta (art. 696) della disciplina dettata dal nuovo codice in tema di rapporti giurisdizionali con autorità straniere;

che la possibilità di applicare la disciplina del reato continuato in fase esecutiva trae origine, come lo stesso giudice a quo rammenta, dalla esigenza di evitare che giudizi separati dovuti a meri accidenti processuali impediscano di riconoscere un trattamento sanzionatorio volto di regola a mitigare il cumulo delle pene; evenienza, peraltro, che nel caso di condanne all'estero non può sussistere, proprio perché i giudicati da unificare promanano da ordinamenti diversi;

che, d'altra parte, e a dimostrazione di quanto sopra, ove venisse accolta la richiesta del giudice rimettente, all'organo della esecuzione verrebbe nella specie attribuito un potere maggiore di quello conferito ai giudici della cognizione (ai quali, proprio perché appartenenti ad ordinamenti diversi, sfugge qualsiasi potere di delibare la continuazione rispetto al reato commesso all'estero), in aperto contrasto con lo stesso art. 671 cod.proc.pen. che consente di applicare in executivis la disciplina della continuazione purché la stessa "non sia stata esclusa dal giudice della cognizione";

che, pertanto, richiedendosi a questa Corte un intervento che fuoriesce dai poteri che le sono riservati, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile;

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte di appello di Milano con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1997.

Giuliano VASSALLI, Presidente e redattore

Depositata in cancelleria il 28 marzo 1997