Sentenza n. 52

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SENTENZA N. 52

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 27 dicembre 1985, n. 816 (Aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali), e dell'art. 1 della legge regionale della SiciLia 24 giugno 1986, n. 31 (Norme per l'applicazione nella Regione siciliana della legge 27 dicembre 1985, n. 816, concernente aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali. Determinazione delle misure dei compensi per i componenti delle commissioni provinciali di controllo. Norme in materia di ineleggibilità e incompatibilità per i consiglieri comunali, provinciali e di quartiere), promosso con ordinanza emessa il 21 aprile 1995 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, sul ricorso proposto da Angelo Scandurra contro il comitato regionale di controllo sugli enti locali, sezione centrale di Palermo, iscritta al n. 147 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e del Presidente della Regione Siciliana;

udito nella camera di consiglio del 27 novembre 1996 ilGiudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto in fatto

 

1.- Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - con ordinanza emessa il 21 aprile 1995, nel giudizio promosso da Angelo Scandurra contro il provvedimento con il quale il comitato regionale di controllo sugli enti locali, sezione centrale di Palermo, aveva annullato la deliberazione del consiglio comunale di Valverde n. 57 del 27 ottobre 1994, che stabiliva l'indennità di carica del sindaco - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 27 dicembre 1985, n. 816, "così come recepito" dalla legge regionale della Sicilia 24 giugno 1986, n. 31.

2.- Il rimettente, premesso che la dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 3, secondo comma, della legge n. 816 del 1985, Prenderebbe accoglibile il ricorso", rileva che la disposizione, applicabile in Sicilia in forza dell'art. 1 della legge regionale n. 31 del 1986, prevede la corresponsione ai sindaci di una indennità di carica, deliberata dal consiglio comunale, entro i limiti previsti per ciascuna classe di comuni nella tabella A allegata alla stessa legge; detti limiti sono raddoppiati per i sindaci dei comuni con popolazione superiore a diecimila abitanti che svolgono attività lavorativa non dipendente, o che, quali lavoratori dipendenti, siano collocati in aspettativa non retribuita. La norma non prevede, invece, che detti limiti possano essere raddoppiati, a prescindere dalla dimensione abitativa del comune, anche in favore di coloro che, dipendenti dello stesso ente presso il quale aspirano a ricoprire la carica pubblica, debbano "necessariamente" essere collocati in aspettativa senza assegni, per poter rimuovere la causa di ineleggibilità (come risulta dal complesso della normativa vigente e, dalla sent. n. 111 del 1994 della Corte costituzionale), senza la possibilità di optare per il mantenimento del rapporto di servizio e della retribuzione.

3.- Ci si duole, perciò che l'art. 3, secondo comma, della legge n. 816 del 1985, ponendosi in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, discrimini "irragionevolmente il dipendente comunale eletto presso il comune di appartenenza, rispetto agli altri dipendenti pubblici, che siano tutti eletti in un comune con popolazione non superiore a diecimila abitanti", che hanno, infatti, la possibilità di conservare il trattamento economico di cui godevano anteriormente, potendo permanere in servizio e percepire la relativa retribuzione.

Sarebbero violati anche l'art. 51 e l'art. 3, secondo comma, della Costituzione, in riferimento al principio che vuole l'accesso alle cariche pubbliche non limitato dalle condizioni economiche degli eleggibili, in quanto i dipendenti comunali "non abbienti" troverebbero ostacolo all'accesso alla carica di sindaco e sarebbero scoraggiati dal candidarsi a causa della perdita di reddito connessa al necessario collocamento in aspettativa senza assegni, qualora, come nel caso di specie, l'indennità di carica rappresenti un peggioramento nel trattamento economico: sostenere che il dipendente deve accollarsi il rischio della perdita del tenore di vita vuol dire mantenere in piedi, nella sostanza, la causa di ineleggibilità.

Ulteriore violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione discenderebbe, poi, dall'irragionevole discriminazione fra la situazione del dipendente comunale eletto alla carica di sindaco in un comune con un numero di abitanti inferiore a diecimila rispetto a quella del dipendente comunale eletto in un comune con popolazione superiore a diecimila abitanti,

entrambi costretti a collocarsi in aspettativa senza assegni, in quanto solo nel secondo caso la norma consente la maggiorazione dell'indennità di carica fino al raddoppio. La misura della indennità di carica spettante al sindaco "non può ragionevolmente ancorarsi alla diversa dimensione abitativa del comune", in quanto, non avendo natura retributiva, non può essere commisurata né alla complessità delle funzioni, né al tempo necessario al loro espletamento, dovendo tendere esclusivamente ad assicurare il libero accesso alle cariche pubbliche. Non appare, pertanto, giustificata la mancata previsione del raddoppio dell'indennità in favore di tutti i cittadini eletti, che vengano a perdere un guadagno dall'attività lavorativa a causa della elezione, a prescindere dalla dimensione del comune.

4.- Nel giudizio di fronte alla Corte costituzionale sono intervenuti il Presidente del Consiglio dei ministri e il Presidente della Regione siciliana, entrambi rappresentati e difesi dafl'Avvocatura generale dello Stato, deducendo la inammissibilità e l'infondatezza della questione.

Secondo l'Avvocatura, il mancato mantenimento del tenore di vita in precedenza goduto non rappresenta affatto una situazione esclusiva dei dipendenti comunali eletti alla carica di sindaco nei comuni con popolazione inferiore a diecimila abitanti, ma una circostanza ipotizzabile per tutti gli eletti alla carica di sindaco, anche laddove è previsto il raddoppio dell'indennità di carica.

Quanto alla differenziazione della indennità di carica in base alla dimensione del comune, questa sarebbe "congruamente giustificata dal più rilevante impegno richiesto nei comuni di più vaste dimensioni abitative, e ciò in ragione della evidente maggiore complessità dei compiti che l'eletto è chiamato a svolgere". Inoltre. i bilanci degli enti locali sono proporzionati alle dimensioni degli stessi, per cui non sarebbe legittimo fissare indiscriminatamente, per tutti gli enti e nella stessa misura, le indennità degli amministratori.

Considerato in diritto

 

1.- Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 27 dicembre 1985, n. 816 (Aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali), "così come recepito dalla legge regionale [siciliana] 24 giugno 1986, n. 31" (Norme per l'applicazione nella Regione siciliana della legge 27 dicembre 1985, n. 816, concernente aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali. Determinazione delle misure dei compensi per i componenti delle commissioni provinciali di controllo. Norme in materia di ineleggibilità e incompatibilità per i consiglieri comunali, provinciali e di quartiere).

2.- li giudice rimettente, in riferimento al caso di chi, eletto sindaco in un comune con meno di diecimila ,abitanti, sia costretto a collocarsi in aspettativa per far cessare la causa di ineleggibilità derivante dal rapporto di dipendenza in atto nei confronti dello stesso comune ove è chiamato a svolgere l'ufficio pubblico elettivo, ritiene che il predetto art. 3, secondo comma, della legge n. 816 del 1985 contrasti con l'art. 3 della Costituzione per la irragionevole discriminazione che subirebbe il predetto dipendente rispetto a tutti gli altri dipendenti pubblici che, eletti in un comune di analoghe dimensioni demografiche, hanno la possibilità di permanere in servizio e di percepire la relativa retribuzione, conservando il trattamento economico di cui godevano anteriormente; donde l'illegittimità della disposizione nella parte in cui non prevede un trattamento economico adeguato e sufficiente a garantire il mantenimento del tenore di vita in precedenza goduto.

Si denuncia altresí violazione:

- degli artt. 51 e 3, secondo comma, della Costituzione. in quanto la perdita di reddito, connessa al necessario collocamento in aspettativa senza assegni, ostacolerebbe l'ac-

cesso alla carica di sindaco per i dipendenti comunali "non abbienti", qualora, come nella specie, l'indennità di carica rappresenti una modifica in peius del trattamento economico goduto in precedenza dal dipendente eletto;

- del medesimo art. 3, primo comma, della Costituzione, sotto il profilo dell'ulteriore discriminazione che il dipendente comunale eletto alla carica di sindaco in un comune con un numero di abitanti inferiore a diecimila, subirebbe rispetto al dipendente comunale eletto alla stessa carica in un comune con popolazione superiore a diecimila abitanti, nel caso in cui l'uno e l'altro siano costretti a collocarsi in aspettativa senza assegni, giacché solo nel secondo caso la norma consente la maggiorazione, fino al raddoppio, della indennità di carica.

3.- Onde chiarire il quadro normativa nell'ambito del quale si colloca la questione sollevata dal rimettente, occorre prendere le mosse dalla congiunta considerazione, da un canto, delle disposizioni che disciplinano le ipotesi di ineleggibilità e di aspettativa per coloro che sono chiamati a rivestire cariche elettive nell'ambito degli enti locali e, dall'altro, di quelle che determinano le indennità ad essi spettanti.

Quanto alle prime, la materia trova la sua attuale regolamentazione nella legge 23 aprile 1981, n. 154, il cui art. 2, nell'annoverare (primo comma), fra le cause di ineleggibilità (estensibili anche ai sindaci in forza dell'art. 6 del testo unico 16 maggio 1960, n. 570), l'ipotesi di chi venga eletto consigliere del comune di cui è dipendente, prevede (terzo comma), a seguito dell'intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 111 del 1994, che la causa di ineleggibilità possa cessare con il collocamento in aspettativa dell'interessato.

In ordine al trattamento economico, la materia ha formato oggetto di vari interventi legislativi, a partire dal decreto legislativo luogotenenziale 7 gennaio 1946, n. 1, che prevedeva una mera facoltà per il comune di fissare l'indennità di carica.

Fra i provvedimenti successivi, va poi rammentata la legge 12 dicembre 1966, n. 1078, con la quale si attribuì ai dipendenti pubblici eletti a talune cariche, tra cui quella di sindaco di comuni con più di 50.000 abitanti, collocati a loro richiesta in aspettativa, oltre all'indennità di carica, un assegno nella cui commisurazione si teneva conto anche dello stipendio già fruito. La legge n. 816 del 1985 ha stabilito, al primo comma dell'art. 3, la corresponsione ai sindaci di una indennità mensile di carica deliberata "dal consiglio comunale entro i limiti previsti per ciascuna classe di comuni" in apposita tabella. Detti limiti vengono (secondo comma) raddoppiati per i sindaci dei comuni con popolazione superiore a diecimila abitanti che svolgano attività lavorativa non dipendente o che, quali lavoratori dipendenti, siano collocati in aspettativa non retribuita.

Va ricordato altresí, quanto alla legislazione statale in argomento, 'che, successivamente alla normativa che qui viene in rilievo, l'art. 31 della legge 25 marzo 1993, n. 81 ha stabilito il raddoppio dei limiti delle indennità mensili di carica previsti per ciascuna classe di comuni e di province, nelle tabelle A e B allegate alla legge n. 816 del 1985, e che entro tali limiti i consigli comunali e provinciali possono deliberare l'adeguamento delle indennità stesse.

4.- Le censure, tutte imperniate su una presunta discriminazione derivante dal differente trattamento riservato a situazioni che il rimettente reputa fra loro comparabili, ovvero dagli ostacoli che l'attuale disciplina porrebbe per i non abbienti che intendano concorrere a cariche pubbliche elettive, non sono fondate.

Per ragioni di priorità logica e alla luce del particolare rilievo dei problemi sollevati, merita di essere esaminata anzitutto la censura con la quale, lamentando la violazione dell'art. 51 e dell'art. 3, secondo comma, della Costituzione, si assume che il trattamento proprio dell'indennità di carica, meno favorevole di quello goduto in precedenza, porrebbe un ostacolo all'accesso alle cariche elettive da parte dei soggetti meno dotati di mezzi economici. La Corte, già a suo tempo, pur considerando "un fatto non positivo" che la maggiore agiatezza o ricchezza costituisca un vantaggio che consente più agevolmente di dedicare tempo all'attività pubblica (sentenza n. 193 del 1981), ha rilevato nondimeno che i principi costituzionali si limitano a garantire soltanto la conservazione del posto di lavoro, restando per il resto affidato al legislatore di stabilire se il tempo impiegato debba essere o meno compensato, in quale misura e se ciò debba avvenire a carico del datore di lavoro ovvero della collettività (sentenza n. 35 del 1981).

5.- Dell'ampia discrezionalità di cui gode in materia il legislatore è espressione proprio la disciplina dell'indennità di carica su cui si appuntano le censure del rimettente; indennità regolata dal legislatore stesso con criteri del tutto peculiari che, nell'escludere qualsiasi assimilazione alla retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego (in tal senso v. sentenza n. 289 del 1994) e qualsiasi riferimento, quanto alla commisurazione, al trattamento concretamente fruito in precedenza come stipendio (a differenza di quella a suo tempo prevista dalla legge n. 1078 del 1966), portano a configurare la stessa come un ristoro forfettario per le funzioni svolte, raddoppiato nell'importo limitatamente all'ipotesi - da reputare eccezionale attese le dimensioni della maggior parte dei comuni italiani - dei liberi professionisti e dei lavoratori dipendenti che, già pregiudicati sotto il profilo economico - in particolare, quanto a questi ultimi, ove dipendenti del medesimo ente presso il quale intendano candidarsi, a causa dell'obbligatorietà dell'aspettativa - si trovino a dover affrontare anche la maggiore gravosità degli impegni connessa all'amministrazione degli enti di maggiori dimensioni.

Si tratta di scelte discrezionali di per sé non irragionevoli che, una volta esclusa la fondatezza della sopra richiamata censura, non consentono nemmeno di rinvenire, nell'assetto dato alla materia, quegli elementi arbitrariamente discriminatori, che vengono prospettati anzitutto con la prima delle altre due doglianze al fine di sollecitare, come si deduce dall'ordinanza di rimessione, una declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione, per la parte in cui non prevede l'integrazione del trattamento fruito, eventualmente con un assegno volto a coprire la differenza tra la retribuzione già in godimento e l'ammontare dell'indennità spettante.

Infatti, se la finalità precipua dell'indennità è quella di un ristoro economico per le funzioni svolte e non quella di un trattamento sostitutivo del mancato stipendio, non risulta fondata la censura centrata sulla disparità di trattamento di cui, nell'ambito dei comuni con meno di diecimila abitanti, soffrirebbe il dipendente chiamato alla carica di sindaco presso l'ente al quale è legato da rapporto di impiego, rispetto agli altri pubblici dipendenti.

Non diverse sono le conclusioni anche per la terza ed ultima censura e cioè quella relativa alla pretesa disparità di trattamento che si verificherebbe quando si tratta di due soggetti che, costretti entrambi a collocarsi in aspettativa, siano, chiamati però, ad esercitare le funzioni in comuni di differenti dimensioni. Si può, in aggiunta a quanto sopra osservato, rilevare, infatti, che per tutti coloro che vengono eletti alla carica di sindaco, sussiste, in presenza delle previste cause di ineleggibilità, la perdita della retribuzione, anche quando sia previsto il raddoppio dell'indennità in ragione della maggiore gravosità di funzioni.

La Corte ritiene, dunque, che i dubbi sollevati dal rimettente non siano fondati. Ciò malgrado, non può esimersi dal segnalare l'esigenza che la disciplina in materia, in armonia con le moderne legislazioni che tendono ad attenuare la gratuità delle funzioni pubbliche, rispetti criteri di adeguatezza e risponda all'obiettivo, già altre volte richiamato, di agevolare quanto più possibile la partecipazione dei lavoratori all'organizzazione politica del Paese (sentenza n. 194 del 1981).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 27 dicembre 1985, n. 816 (Aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali), "così come recepito" dalla legge regionale della Sicilia 24 giugno 1986, n. 31 (Norme per l'applicazione nella Regione siciliana della legge 27 dicembre 1985, n. 816, concernente aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali. Determinazione delle misure dei compensi per i componenti delle commissioni provinciali di controllo. Norme in materia di ineleggibilità e incompatibilità per i consiglieri comunali, provinciali e di quartiere), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 febbraio 1997.

Renato GRANATA, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 28 febbraio 1997.