Ordinanza n. 47

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ORDINANZA N. 47

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-         Dott. Renato GRANATA, Presidente

-         Prof. Giuliano VASSALLI

-         Prof. Francesco GUIZZI

-         Prof. Cesare MIRABELLI  

-         Prof. Fernando SANTOSUOSSO  

-         Avv. Massimo VARI

-         Dott. Cesare RUPERTO  

-         Dott. Riccardo CHIEPPA  

-         Prof. Gustavo ZAGREBELSKY  

-         Prof. Valerio ONIDA

-         Prof. Carlo MEZZANOTTE  

-         Avv. Fernanda CONTRI

-         Prof. Guido NEPPI MODONA  

-         Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI  

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 8, secondo e terzo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza) e 163 e seguenti del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 19 giugno 1995 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Roma nel procedimento penale a carico di Rombi Gennaro, iscritta al n. 529 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di costituzione di Rombi Gennaro nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 dicembre 1996 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;

uditi gli avvocati Mauro Mellini e Roberto Lorenzini per Rombi Gennaro e l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

RITENUTO che, con ordinanza del 19 giugno 1995 (R.O. 529 del 1995), il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma risultante dal combinato disposto degli articoli 8, secondo e terzo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza) e 163 e seguenti del codice penale, con riferimento all'art. 3 della Costituzione nonché al principio della finalità rieducativa della pena, nella parte in cui prevede «che, a fronte della concessione di ufficio della sospensione condizionale della pena nel primo giudizio, l'esonero [dalla prestazione del servizio militare di leva] consegua soltanto all'espiazione della pena inflitta per il secondo reato»;

che la questione è stata sollevata nel corso di un processo penale a carico di persona precedentemente condannata alla pena di cinque mesi e dieci giorni di reclusione, con sospensione condizionale della stessa, per il reato di «rifiuto totale» del servizio militare di leva per motivi di coscienza (art. 8, secondo comma, della legge n. 772 del 1972), persona imputata dello stesso delitto in relazione a una nuova chiamata alle armi, anch'essa disattesa per i medesimi motivi, dopo il passaggio in giudicato della prima sentenza ma prima del decorso del periodo di sospensione condizionale;

che il giudice rimettente - respinte come manifestamente infondate diverse e più ampie questioni di costituzionalità, prospettate dalla difesa dell'imputato - ha investito questa Corte della questione di legittimità costituzionale, esclusivamente in relazione all'ipotesi di nuovo processo per il reato di cui all'art. 8, secondo comma, della legge n. 772 del 1972, nel caso di precedente condanna per il medesimo reato, con pena condizionalmente sospesa senza che vi sia stata a tal fine richiesta dell'imputato;

che in relazione alla specifica eventualità da ultimo indicata, si sostiene nell'ordinanza che - qualora la persona che rifiuta il servizio militare perseveri nel suo atteggiamento - la sospensione condizionale si traduce in un danno per il condannato, non riconducibile alla sua condotta: danno consistente in ciò, che l'esonero dalla prestazione del servizio militare (previsto dall'art. 8, terzo comma, della legge n. 772 del 1972 come conseguenza dell'espiazione della pena inflitta con la sentenza di condanna per il rifiuto del servizio militare), a causa della sospensione della pena, non potrebbe operare in conseguenza della condanna per il primo rifiuto, ma solo in seguito a una seconda sentenza di condanna che, irrogando una nuova pena, disponesse per conseguenza anche la revoca del beneficio precedentemente concesso;

che, in tal modo, l'effetto dell'esonero, previsto dall'art. 8, terzo comma, per evitare la "spirale delle condanne", conseguirebbe contraddittoriamente dopo più sentenze di condanna aventi, come effetto, il cumulo delle pene;

che tale disciplina dell'esonero dalla prestazione del servizio militare di leva, in relazione alla specifica ipotesi dedotta, è censurata dal giudice a quo per violazione a) dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto essa presupporrebbe, ai fini dell'esonero, un'ulteriore condanna e un ulteriore prolungamento della pena - rispetto al caso in cui il beneficio della sospensione condizionale non fosse concesso -, nonché b) degli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto il prolungamento della pena necessario ai fini dell'esonero sarebbe ingiustificato anche dal punto di vista della finalità rieducativa;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;

che si è costituita in giudizio la parte privata, Gennaro Rombi, il cui patrocinio, nell'atto di costituzione, sviluppando argomentazioni già svolte nel giudizio principale - ma non recepite nella prospettazione dell'ordinanza di rimessione - ha variamente indicato possibilità interpretative della normativa in vigore tali da condurre all'impossibilità di una ripetizione di processi e di condanne per lo stesso titolo di reato in argomento, concludendo pertanto, in via principale, per l'irrilevanza della questione - in quanto già risolta, nel senso detto, nell'affermata irripetibilità del reato - e, solo in via subordinata, per l'incostituzionalità della disciplina impugnata in quanto consente l'accennata ripetizione;

che nel corso del riferito giudizio di costituzionalità questa Corte, con ordinanza n. 183 del 27 maggio 1996 (R.O. 614 del 1996), ha disposto la trattazione innanzi a se stessa della questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, secondo e terzo comma, della legge n. 772 del 1972, nella parte in cui consente la ripetuta sottoponibilità a procedimento penale del medesimo soggetto, già condannato per il reato di rifiuto del servizio militare ivi previsto, e che persista nel rifiuto, in riferimento agli articoli 2, 3, 19 e 21 della Costituzione;

che all'udienza pubblica del 10 dicembre 1996 l'Avvocatura dello Stato e il patrocinio della parte privata hanno insistito nelle rispettive conclusioni.

CONSIDERATO che questa Corte, decidendo sulla questione pregiudiziale sollevata dinanzi a se stessa, ricordata in narrativa, con sentenza n. 43 del 1997, depositata in pari data, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 8, secondo e terzo comma, della citata legge n. 772 del 1972, nella parte in cui non esclude la possibilità di più di una condanna per il reato di chi, al di fuori dei casi di ammissione ai benefici previsti dalla suddetta legge, rifiuta in tempo di pace, prima di assumerlo, il servizio militare di leva, adducendo i motivi di cui all'art. 1 della medesima legge;

che con la pronuncia di illegittimità costituzionale ora richiamata è stata espunta in radice dall'ordinamento la norma che rende possibile irrogare ulteriori condanne e pene per un fatto di reato di rifiuto del servizio militare previsto dall'art. 8, secondo comma, della legge n. 772 del 1972, quando, per un motivo previsto dall'ordinamento, l'espiazione totale o parziale della pena precedentemente inflitta per il medesimo reato di rifiuto non abbia avuto luogo;

che l'anzidetta declaratoria di incostituzionalità, facendo venir meno la previsione denunciata di incostituzionalità dal giudice penale militare, rende manifestamente inammissibile la questione sollevata dallo stesso giudice (v., da ultimo, ordinanza n. 142 del 1996).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 8, secondo e terzo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza) e 163 e seguenti del codice penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Roma, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 1997

Il Presidente: Renato GRANATA

Il Redattore: Gustavo ZAGREBELSKY

Depositata in cancelleria il 20 febbraio 1997.