Sentenza n. 32

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 32

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-         Dott. Renato GRANATA, Presidente

-         Prof. Giuliano VASSALLI

-         Prof. Francesco GUIZZI

-         Prof. Cesare MIRABELLI  

-         Prof. Fernando SANTOSUOSSO  

-         Avv. Massimo VARI

-         Dott. Cesare RUPERTO  

-         Prof. Gustavo ZAGREBELSKY  

-         Prof. Valerio ONIDA

-         Prof. Carlo MEZZANOTTE  

-         Avv. Fernanda CONTRI

-         Prof. Guido NEPPI MODONA  

-         Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI  

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'articolo 842 del codice civile, approvato con regio decreto del 16 marzo 1942, n. 262, comma 1 ("Il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l'esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno.") e comma 2 ("Egli può sempre opporsi a chi non è munito della licenza rilasciata dall'autorità."), iscritto al n. 100 del registro referendum.

Vista l'ordinanza dell'11-13 dicembre 1996 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 9 gennaio 1997 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;

uditi gli avvocati Massimo Luciani, Claudio Chiola e Angelo Clarizia per il "Comitato per il NO al referendum per l'abrogazione dell'art. 842 c.c." ed altri e Achille Chiappetti, Beniamino Caravita di Toritto e Stefano Nespor per i presentatori Bernardini Rita e Sabatano Mauro.

Ritenuto in fatto

1.-- L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, esaminata la richiesta di referendum popolare - presentata da Sergio Augusto Stanzani Ghedini, Lorenzo Strik Lievers, Rita Bernardini, Mauro Sabatano e Fiorella Mancuso - concernente l'abrogazione dell'articolo 842 del codice civile, ha verificato la regolarità della richiesta e ne ha dichiarato la legittimità con ordinanza dell'11-13 dicembre 1996.

La richiesta di referendum ha per oggetto il seguente quesito: «Volete voi che sia abrogato l'articolo 842 del codice civile, approvato con regio decreto del 16 marzo 1942, n. 262, comma 1 ("Il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l'esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno.") e comma 2 ("Egli può sempre opporsi a chi non è munito della licenza rilasciata dall'autorità.")?».

Al fine di identificare l'oggetto del referendum, l'Ufficio centrale ha anche stabilito (in applicazione dell'art. 32, ultimo comma, della legge n. 352 del 1970, introdotto dall'art. 1 della legge 17 maggio 1995, n. 173) la seguente denominazione: "Caccia: Abolizione della possibilità per il cacciatore di entrare liberamente nel fondo altrui".

2. -- Ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente ha convocato la Corte in camera di consiglio per il 9 gennaio 1997, disponendo, in applicazione dell'art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970, che ne fosse data comunicazione ai promotori della richiesta di referendum ed al Presidente del Consiglio dei ministri.

3. -- I promotori e presentatori del referendum, rappresentati e difesi dall'avv. Stefano Nespor, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del 1970, hanno depositato il 31 dicembre 1996 una memoria, per sostenere l'ammissibilità della richiesta. Essi hanno sottolineato che il quesito referendario tende alla estensione del generale divieto di accesso sul fondo altrui, quando non vi sia il consenso del proprietario, anche per chi pratichi la caccia, eliminando l'eccezione prevista per questi ultimi dall'art. 842 cod. civ.

La difesa dei promotori ricorda che, con sentenza n. 63 del 1990, è già stato dichiarato ammissibile un analogo quesito. Non vi sarebbero ora ragioni per escludere questa nuova richiesta, sulla quale non interferirebbe la legge, nel frattempo intervenuta, sulla protezione della fauna selvatica omeoterma e sul prelievo venatorio (11 febbraio 1992, n. 157). Difatti l'art. 842 cod. civ. non sarebbe stato abrogato, modificato o integrato da tale legge, ma dovrebbe essere solo interpretato in connessione con la nuova legge che regolamenta la caccia.

4. -- Un unico "atto di intervento e di deduzioni" è stato depositato, il 4 gennaio 1997, da numerose associazioni e da un comitato appositamente costituitosi: il Comitato per il NO al referendum per l'abrogazione dell'art. 842 c.c., la UNAVI (Unione Nazionale delle Associazioni Venatorie Italiane), il CNCN (Comitato Nazionale Caccia e Natura), la Federazione Italiana della Caccia, la Unione Nazionale ENALCACCIA pesca e tiro, la ARCI-Caccia, la Associazione nazionale libera caccia, la Associazione Nazionale Migratoristi Italiani ANUU, la Associazione italiana della caccia Italcaccia.

I comitati e le associazioni venatorie hanno affermato di essere legittimati ad intervenire ed hanno sostenuto la inammissibilità del quesito referendario.

5. -- In prossimità della camera di consiglio, i promotori del referendum hanno depositato una memoria per sostenere che i comitati e le associazioni venatorie non sono legittimati ad intervenire.

6. -- Nella camera di consiglio del 9 gennaio 1997, essendo presenti i rappresentanti e difensori sia dei promotori che degli intervenienti, sono stati ascoltati gli avv. Massimo Luciani, Claudio Chiola e Angelo Clarizia, i quali, per i comitati e le associazioni venatorie, hanno sostenuto la legittimazione ad intervenire di questi ultimi, legittimazione contestata invece, per i promotori, dagli avv. Stefano Nespor, Achille Chiappetti e Beniamino Caravita di Toritto.

La Corte, con ordinanza di cui è stata data lettura, ha dichiarato inammissibile l'intervento, giacché l'art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del 1970 indica e circoscrive l'organo e i soggetti che hanno la facoltà di partecipare al giudizio di ammissibilità del referendum.

Successivamente i difensori dei promotori hanno illustrato e ribadito le argomentazioni a sostegno dell'ammissibilità del referendum.

Considerato in diritto

1.                      -- La richiesta di referendum abrogativo investe il primo e secondo comma dell'art. 842 del codice civile che, sotto la rubrica "Caccia e pesca", stabilisce, al primo comma, che il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l'esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso, nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia, o vi siano colture in atto suscettibili di danno. Lo stesso articolo stabilisce inoltre, al secondo comma, che il proprietario può sempre opporsi a chi non è munito di licenza rilasciata dall'autorità.

2.                      -- Una precedente richiesta di referendum, di identico contenuto, è stata in passato dichiarata ammissibile. Il medesimo quesito, consistente nell'abrogazione dell'art. 842, primo e secondo comma, del codice civile, è stato, difatti, ritenuto "chiaro, univoco ed omogeneo: tale quindi da consentire all'elettore di esprimere la sua volontà con piena consapevolezza. Esso manifesta inequivocabilmente l'intento di generalizzare il divieto di accedere nel fondo altrui per l'esercizio della caccia, anche se non ricorrano le due condizioni attualmente previste dalla disposizione in discussione (recinzione del fondo o esistenza di colture suscettibili di danno)" (sentenza n. 63 del 1990).

Il referendum popolare sul quesito allora ammesso, indetto con d.P.R. 26 marzo 1990, non ha tuttavia avuto esito, perché, secondo quanto ha accertato l'Ufficio centrale per il referendum (ai sensi dell'art. 36 della legge n. 352 del 1970), alla votazione non ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto, così come richiede l'art. 75 della Costituzione.

3. -- Lo stesso quesito viene ora riproposto, senza che sussistano ragioni per discostarsi dalla valutazione di ammissibilità in precedenza espressa.

Nel frattempo sono state emanate nuove norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio (legge 11 febbraio 1992, n. 157), che innovano profondamente la precedente disciplina (testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia, approvato con regio decreto 5 giugno 1939, n. 1016; legge 27 dicembre 1977, n. 968). Difatti la nuova legge delinea un sistema di pianificazione territoriale faunistico-venatoria e di gestione programmata della caccia, che tende a realizzare un'utilizzazione ponderata delle risorse faunistiche ed ambientali sul territorio nazionale.

Ma questa nuova disciplina, che pure attribuisce maggiore rilievo, ai fini dell'inclusione del terreno da parte delle Regioni in un ambito territoriale di caccia (art. 15 della legge n. 157 del 1992), alla posizione del proprietario o del conduttore del fondo che intenda vietare sullo stesso l'esercizio dell'attività venatoria, non ha abrogato l'art. 842 del codice civile. In caso contrario, del resto, l'Ufficio centrale per il referendum, competente per tale valutazione, non avrebbe dato corso alle operazioni referendarie.

Permane, dunque, nell'ambito dei rapporti tra privati, il contenuto normativo della disposizione che si chiede di abrogare con la finalità di espandere il diritto del proprietario di godere in modo pieno ed esclusivo del fondo, senza più il limite imposto dall'art. 842 cod. civ.

La disciplina del codice civile e quella della legge speciale sulla caccia, che sulla prima si innesta, muovono su piani diversi. Non sussistono, quindi, problemi di completezza del quesito, in relazione alle disposizioni della legge n. 157 del 1992 che si riferiscono all'attività venatoria.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 842 del codice civile, approvato con regio decreto 16 marzo 1942, n. 262, comma 1 ("Il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l'esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno.") e comma 2 ("Egli può sempre opporsi a chi non è munito della licenza rilasciata dall'autorità."), richiesta dichiarata legittima, con ordinanza dell'11-13 dicembre 1996, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 gennaio 1997

Presidente: Dott. Renato GRANATA

Redattore: Prof. Cesare MIRABELLI

Depositata in cancelleria il 10 febbraio 1997.

ALLEGATO

Reg. ref. n. 100

Ordinanza letta nella camera di consiglio del 9 gennaio 1997.

La Corte Costituzionale

Premesso che hanno unitariamente depositato "atto di intervento in giudizio e deduzioni" il Comitato per il NO al referendum per l'abrogazione dell'art. 842 c.c., l'Unione nazionale delle Associazioni Venatorie (U.N.A.V.I), il Comitato nazionale caccia e natura (C.N.C.N.), la Federazione italiana della caccia, l'Unione nazionale Enalcaccia pesca e tiro, l'ARCI-Caccia, l'Associazione libera caccia, l'Associazione nazionale migratoristi italiani, l'Associazione italiana della caccia - Italcaccia.

Ritenuto che, secondo la costante giurisprudenza della Corte (sentenza n. 10 del 1972 e, da ultimo, sentenze n. 47 del 1991, nn. 32, 33 e 37 del 1993), sono legittimati ad intervenire nei giudizi di ammissibilità della richiesta di referendum, in base alla normativa che disciplina questa particolare procedura (art. 33, terzo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352), soltanto il Governo nonché i delegati e i presentatori;

che i soggetti sopra indicati non rivestono tale qualità, sicché il loro intervento risulta inammissibile.

Per questi motivi

La Corte

dichiara inammissibile l'intervento sopra indicato.

Firmato: Renato GRANATA, Presidente