Sentenza n. 29

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SENTENZA N. 29

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-         Dott. Renato GRANATA, Presidente

-         Prof. Giuliano VASSALLI  

-         Prof. Francesco GUIZZI

-         Prof. Cesare MIRABELLI  

-         Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-         Avv. Massimo VARI

-         Dott. Cesare RUPERTO  

-         Prof. Gustavo ZAGREBELSKY  

-         Prof. Valerio ONIDA

-         Prof. Carlo MEZZANOTTE

-         Avv. Fernanda CONTRI

-         Prof. Guido NEPPI MODONA  

-         Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI  

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, recante "Norme per l'accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni", convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, limitatamente all'articolo 2, iscritto al n. 97 del registro referendum.

Vista l'ordinanza dell'11-13 dicembre 1996 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la richiesta;

udito nella camera di consiglio dell'8 gennaio 1997 il Giudice relatore Cesare Ruperto;

uditi gli avvocati Roberto Nania e Beniamino Caravita di Toritto per i presentatori Bernardini Rita e Sabatano Mauro.

Ritenuto in fatto

1.                      -- L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni -- esaminata la richiesta di referendum popolare presentata il 5 gennaio 1996 da Stanzani Ghedini Sergio Augusto e altri quattro cittadini sul seguente quesito: «Volete voi che sia abrogato il decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, recante "Norme per l'accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni", convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, limitatamente all'articolo 2?» -- ha con ordinanza in data 11 dicembre 1996 dichiarato la richiesta stessa conforme alle disposizioni di cui all'art. 27 della legge n. 352 del 1970, stabilendone altresì la seguente denominazione: «Abolizione dei poteri speciali riservati al Ministro del tesoro nelle aziende privatizzate».

2.                      -- Ricevuta la comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 8 gennaio 1997 per la conseguente deliberazione in camera di consiglio, dandone comunicazione, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352, ai presentatori della richiesta ed al Presidente del Consiglio dei ministri.

3.                      -- I promotori del referendum hanno depositato in data 3 gennaio 1997 una memoria, sostenendo le ragioni dell'ammissibilità della suddetta richiesta, poi ribadita dai difensori nella camera di consiglio.

Considerato in diritto

1. -- La richiesta di referendum abrogativo concerne l'art. 2 del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, recante "Norme per l'accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni", convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 1994, n. 474.

La disposizione oggetto della richiesta stessa s'inserisce, senza alcun rapporto d'accessorietà necessaria, in un quadro d'intervento volto a definire stabilmente le regole generali della privatizzazione delle imprese partecipate dallo Stato e articolantesi nella fissazione di procedure atte a consentire la massima diffusione delle azioni delle società privatizzate tra il pubblico, convogliando almeno una parte del risparmio verso tale investimento e, insieme, agevolando la creazione di nuclei stabili che permettano una continuità nella gestione delle imprese e ne garantiscano la redditività.

Nel comma 1 del predetto art. 2 si dispone infatti che con decreto del Presidente del Consiglio sono individuate le "società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato" operanti in taluni specifici settori, negli statuti delle quali dev'essere introdotta con deliberazione dell'assemblea straordinaria - "prima di ogni atto che determini la perdita del controllo", conseguente alla dismissione delle partecipazioni pubbliche - "una clausola che attribuisca al Ministero del tesoro la titolarità di uno o più dei seguenti poteri speciali da esercitare d'intesa" con altri Ministeri: "a) gradimento, da rilasciarsi espressamente, all'assunzione, da parte dei soggetti nei confronti dei quali opera il limite al possesso azionario di cui all'art. 3, di partecipazioni rilevanti,...; b) gradimento, da rilasciarsi espressamente, quale condizione di validità, alla conclusione di patti o accordi di cui all'art. 10, comma 4, della legge 18 febbraio 1992, n. 149...; c) veto all'adozione delle delibere di scioglimento della società, di trasferimento dell'azienda, di fusione, di scissione, di trasferimento della sede sociale all'estero, di cambiamento dell'oggetto sociale, di modifica dello statuto che sopprimono o modificano i poteri di cui al presente articolo; d) nomina di almeno un amministratore o di un numero di amministratori non superiore ad un quarto di membri del consiglio o di un sindaco".

Nel comma 1-bis si precisa poi che il contenuto della suddetta clausola è individuato con decreto del Ministro del tesoro di concerto con altri due Ministri e, nel comma 2, si riconosce ai soci dissenzienti dalle deliberazioni che introducono i poteri speciali di cui al comma 1, lettera c), il diritto di recesso ai sensi dell'art. 2437 cod. civ.; mentre il comma 3 dispone in ordine all'estensione della sfera di società cui si applicano le disposizioni dello stesso articolo.

2. -- La richiesta referendaria è intesa a far venir meno la riserva allo Stato dei rilevanti poteri speciali previsti dalla suddescritta disposizione, lasciando in vigore la restante normativa della legge, rispetto alla quale l'art. 2 presenta piena autonomia, non sminuita dai riferimenti contenuti nelle disposizioni del successivo art. 3, atteso che la individuazione del significato normativo che tali riferimenti verrebbero ad assumere in conseguenza dell'eventuale esito abrogativo della consultazione referendaria, è problema meramente interpretativo, da risolvere in sede d'applicazione della normativa residua. Tale finalità è oggettivata nel quesito, che pone un'alternativa netta all'elettore, il quale è in grado di percepire immediatamente e con esattezza le possibili conseguenze del suo voto.

3. -- Proprio la valutazione della prospettata radicale ed univoca soppressione di tutto il suddescritto complesso di poteri, consente di mettere ancor meglio a fuoco il disegno legislativo, per il riscontro anche dell'omogeneità del quesito.

Trattasi in verità di poteri speciali essenzialmente diversi fra loro, sicché l'elettore potrebbe volere la permanenza di alcuni e la rimozione di altri. Tuttavia essi trovano una matrice unificante, non solo nell'unicità della clausola attributiva degli stessi, legislativamente prevista, ed un comune denominatore nel non derivare dalla qualità di socio del loro titolare (il quale infatti ne è attributario soltanto quale Ministro del tesoro, e senza alcun limite di tempo per non esser stato mantenuto nella legge di conversione il già previsto termine di tre anni), ma anche e soprattutto nella loro finalizzazione allo scopo comune di conservare in capo allo Stato un certo livello di ingerenza e di controllo sulla vita e la gestione delle imprese privatizzate.

L'opzione legislativa che si mira a sopprimere per via referendaria è appunto quella di aver sottratto in via permanente al diritto societario comune la posizione dello Stato, caratterizzata dalla particolarità che i rilevanti suoi poteri, inseriti nella struttura delle società, non sono riconducibili al possesso di una o più azioni (privilegiate, in quanto attributive di più estesi ed incisivi diritti rispetto a quelli che competono agli altri azionisti). Sul mantenimento o non di tale scelta di fondo, e di tutte le conseguenze che ne derivano, è chiamato a pronunciarsi il corpo elettorale, con un quesito dotato di perfetta chiarezza nella struttura come nella finalità.

4. -- Da quanto sopra descritto risulta inoltre evidente come la disposizione oggetto dell'iniziativa referendaria non rientri nelle categorie di leggi, per le quali l'art. 75, secondo comma, della Costituzione espressamente esclude l'ammissibilità del referendum, né tra quelle ad esse strettamente collegate secondo l'interpretazione logico-sistematica più volte effettuata da questa Corte.

In particolare va osservato che non ricorre alcun rapporto tra l'incremento delle entrate dello Stato, che si stima conseguano dal processo dismissivo delle società da privatizzare, e la eliminazione dei poteri speciali in argomento. Ciò esclude che si possa ravvisare quel legame con la legge di bilancio, che aveva motivato la declaratoria d'inammissibilità della richiesta referendaria in tema di alienazione dei beni patrimoniali dello Stato, di cui alla sentenza n. 2 del 1994, o un qualunque altro vincolo di strumentalità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, recante "Norme per l'accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni", convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, limitatamente all'art. 2, richiesta dichiarata legittima con ordinanza n. 97 dell'11-13 dicembre 1996 dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 gennaio 1997

Il Presidente: Renato Granata

Il redattore: Cesare Ruperto

Depositata in cancelleria il 10 febbraio 1997.