Ordinanza n. 6

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ORDINANZA N. 6

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-         Dott. Renato GRANATA, Presidente

-         Prof. Giuliano VASSALLI

-         Prof. Francesco GUIZZI  

-         Prof. Cesare MIRABELLI  

-         Prof. Fernando SANTOSUOSSO  

-         Avv. Massimo VARI

-         Dott. Cesare RUPERTO  

-         Dott. Riccardo CHIEPPA

-         Prof. Gustavo ZAGREBELSKY  

-         Prof. Valerio ONIDA

-         Prof. Carlo MEZZANOTTE  

-         Avv. Fernanda CONTRI

-         Prof. Guido NEPPI MODONA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità dell'art. 286-bis, comma 1, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa l'11 dicembre 1995 dal Pretore di Modica - Sezione distaccata di Ispica nel procedimento penale a carico di Giliberto Salvatore ed altro, iscritta al n. 314 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'11 dicembre 1996 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

RITENUTO che il Pretore di Modica - Sezione distaccata di Ispica, chiamato a provvedere "sulla richiesta attivata", ai sensi dell'art. 286-bis, comma 1, del codice di procedura penale, dal servizio sanitario della casa circondariale ove trovasi ristretta persona in stato di custodia cautelare, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 25, secondo comma, e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 286-bis, comma 1, del codice di procedura penale;

che a tal proposito il giudice a quo, dopo aver ripercorso i vari passaggi che hanno contrassegnato la giurisprudenza di questa Corte in merito ai malati di AIDS ed alla relativa detenzione carceraria e analizzate talune contraddizioni che starebbero al fondo della disciplina generale dettata dall'art. 275, comma 4, del codice di procedura penale, ha rilevato che, anche dopo la sentenza n. 439 del 1995, permarrebbe nel sistema un non giustificabile trattamento differenziato nei confronti dei malati di AIDS che si compone soltanto ove ricorra il presupposto delle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza; un presupposto, questo, che - osserva il rimettente - non consentirebbe di determinare i casi in cui si possa con certezza e univocamente ritenere sussistente l'eccezionalità e i casi in cui questa possa in modo altrettanto certo e univoco ritenersi insussistente, così da generare la possibilità di soluzioni diverse in casi simili e, quindi, di trattamenti differenziati, anche in presenza di uguali situazioni di fatto;

che alla luce della richiamata giurisprudenza di questa Corte, pertanto, l'incompatibilità assoluta mantenuta "a priori", in via residuale, dalla norma impugnata per i malati di AIDS nei confronti dei quali non sussistono le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, contrasterebbe, a parere del giudice rimettente:

a) con l'art. 2 della Costituzione, in quanto viene esposta a pericolo la salute e la sicurezza collettiva anche in assenza di un effettivo, corrispondente pericolo per la salute dell'imputato e degli altri detenuti;

b) con l'art. 3 della Costituzione, giacché la norma, pur essendo prevista per ammalati di AIDS che si trovino in identiche situazioni, può essere derogata, per alcuni di essi, sulla scorta di un elemento differenziatore che, essendo sostanzialmente lasciato a un giudizio non collegato a parametri univoci, comporta la possibilità di trattamenti differenziati in presenza di situazioni uguali;

c) con gli artt. 13 e 25, secondo comma, della Costituzione, in quanto l'impossibilità di adottare criteri univoci per individuare l'elemento (le eccezionali esigenze cautelari) dal quale scaturisce il trattamento differenziato e, quindi, la restrizione della libertà personale, determina violazione del principio di tassatività;

d) con l'art. 32 della Costituzione, giacché la scarcerazione sine die a prescindere da effettive esigenze terapeutiche di persone nei confronti delle quali è ritenuta necessaria la custodia in carcere, espone a rischio la salute e la sicurezza sociale, perfino in mancanza di pari o prevalente valore costituzionale;

e) con gli artt. 2 e 32 della Costituzione, in quanto la norma subordina le esigenze di tutela della collettività a una situazione di emergenza custodiale determinata dalla mancata attuazione della legge in tema di presidî e strutture atti a salvaguardare la salute dei soggetti affetti da AIDS e dei detenuti con essi conviventi, così ingiustamente sacrificando la sicurezza e la salute dei cittadini alla inerzia della pubblica amministrazione;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

CONSIDERATO che questa Corte, chiamata più volte a pronunciarsi sul tema dei malati di AIDS e della relativa detenzione carceraria ha nelle diverse occasioni sottolineato gli aspetti di drammatica peculiarità che contrassegnano una siffatta problematica al punto da far ritenere in sé non irragionevole la predisposizione di specifiche norme volte a comporre, bilanciandoli, i diversi valori coinvolti; puntualizzando, con specifico riferimento alla disposizione oggetto di impugnativa, come nei confronti di malati di AIDS risultassero comunque adottabili "tutte le misure diverse dalla custodia in carcere e, quindi, anche quella custodiale degli arresti domiciliari, con l'aggiunta delle prescrizioni e cautele che le esigenze del singolo caso possono consigliare" (v. ordinanza n. 300 del 1994);

che con la sentenza n. 439 del 1995, pure richiamata dal giudice a quo, questa Corte ha avuto modo di stabilire che anche nei confronti degli ammalati di AIDS dovesse "operare, pur con i temperamenti resi necessari dalla peculiarità del morbo, la generale regola che consente, anche nel caso di malattie altrettanto gravi, l'adozione della misura carceraria, allorché esigenze cautelari di eccezionale rilevanza facciano ritenere inadeguata qualsiasi altra misura", così determinando una sostanziale omologazione di trattamento cautelare e un adeguato soddisfacimento della intera gamma dei pericula libertatis che dissolvono alla radice le censure che il rimettente ha inteso riproporre;

che l'insistito richiamo ad una pretesa impossibilità di determinare con certezza i casi in cui sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza si rivela argomento del tutto privo di consistenza, dal momento che il parametro normativo sulla cui base il giudice è chiamato ad operare le determinazioni del caso concreto risulta enunciato in termini più che congrui, in linea, d'altra parte, con le formulazioni necessariamente elastiche che individuano sul piano definitorio la natura e la sussistenza delle stesse esigenze cautelari;

che, pertanto, la questione proposta deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 286-bis, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 25, secondo comma, e 32 della Costituzione, dal Pretore di Modica - Sezione distaccata di Ispica, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 gennaio 1997.

Renato GRANATA, Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 10 gennaio 1997.