Ordinanza n. 411 del 1996

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ORDINANZA N. 411

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Dott. Renato GRANATA, Presidente

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

-     Avv. Fernanda CONTRI

-     Prof. Guido NEPPI MODONA

-     Prof. Pier Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 34 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 6 marzo 1996 dal Pretore di Crotone, sezione distaccata di Petilia Policastro, nel procedimento penale a carico di Manfreda Vincenzo, iscritta al n. 623 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 novembre 1996 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

RITENUTO che il Pretore di Crotone ha sollevato, con ordinanza del 6 marzo 1996, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione e in relazione all'art. 2, direttiva n. 103, della legge-delega per il nuovo codice di procedura penale 16 febbraio 1987, n. 81, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 (comma 2) del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il giudice per le indagini preliminari presso la pretura che, sulla richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero, abbia ordinato a quest'ultimo di eseguire ulteriori indagini, a norma dell'art. 554, comma 2, del codice di procedura penale (quale risultante a seguito della sentenza n. 445 del 1990 di questa Corte, dichiarativa dell'illegittimità costituzionale della disposizione nella parte in cui, diversamente da quanto stabilito nell'art. 409, comma 4, per i procedimenti di competenza del tribunale, non prevedeva la possibilità per il giudice per le indagini preliminari presso la pretura circondariale di indicare le ulteriori necessarie indagini al pubblico ministero, fissando il termine indispensabile per il loro compimento), ravvisando, nell'anzidetta ipotesi, alla luce anche degli enunciati della sentenza n. 432 del 1995 di questa Corte, una menomazione del principio di terzietà del giudice, in contrasto con la citata direttiva n. 103 della legge-delega;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione.

CONSIDERATO che questa Corte ha già affrontato e risolto nel senso della manifesta infondatezza analoghe questioni;

che, posta la premessa generale secondo cui può configurarsi una incompatibilità del giudice rispetto alla funzione di giudizio solo quando la valutazione precedentemente effettuata dal medesimo giudice sia resa nell'ambito e in occasione dello svolgimento di funzioni decisorie e non anche puramente processuali (sentenze nn. 131 del 1996; 455 e 453 del 1994), questa Corte ha, più in particolare, osservato che, con il provvedimento con il quale dispone che il pubblico ministero compia ulteriori indagini, il giudice per le indagini preliminari non effettua una valutazione contenutistica del materiale di indagine, ma adotta una decisione di natura processuale, meramente interlocutoria, che può essere seguita non solo dall'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero ma anche da un'ulteriore richiesta di archiviazione e quindi dalla gamma dei provvedimenti che in tale ultimo caso il giudice può adottare, a norma dell'art. 409 del codice di procedura penale (ordinanze nn. 281 del 1996; 157 del 1993);

che le argomentazioni addotte dal giudice a quo in riferimento al principio di separazione tra le funzioni di accusa e quelle di giudice e sotto il profilo della violazione della legge-delega, al di là della piena pertinenza dei parametri invocati, non sono comunque idonee a condurre a diversa conclusione, dovendo restare fermo il necessario presupposto della valutazione decisoria e di contenuto non puramente processuale ai fini della configurabilità di un "pregiudizio" incidente sull'imparzialità del giudice, presupposto che nell'ipotesi dedotta non ricorre;

che, pertanto, la questione sollevata deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, dal Pretore di Crotone, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,  l'11 dicembre 1996.

Renato GRANATA, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria il 24 dicembre 1996.