Ordinanza n. 395 del 1996

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ORDINANZA N. 395

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Dott. Renato GRANATA, Presidente

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) promossi dal Pretore di Roma con ordinanze emesse il 17 gennaio 1996, il 2 febbraio 1996 (n. 3 ordinanze) e il 17 gennaio 1996, rispettivamente iscritte ai nn. 416, 417, 418, 419, 420 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 16 ottobre 1996 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

RITENUTO che il Pretore di Roma, con cinque ordinanze di identico contenuto, emesse, nel corso di altrettanti procedimenti penali per reati edilizi, tra il 17 gennaio e il 2 febbraio 1996 (R.O. nn. 416, 417, 418, 419 e 420 del 1996), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 112, 9 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica);

che, ad avviso del giudice a quo, il condono edilizio, previsto dalla disposizione censurata, comporterebbe anzitutto, in contrasto con gli artt. 3 e 112 della Costituzione, un esercizio della non punibilità da ritenersi arbitrario, essendo, per un verso, collegato alla esigenza di reperimento immediato di risorse finanziarie, costituendo, per l'altro, un incentivo alla fiducia nell'impunità;

che, inoltre, sarebbe violato l'art. 9 della Costituzione, minandosi irreversibilmente la tutela del paesaggio e dell'equilibrato sviluppo del territorio per via della "incongruenza funzionale" della disciplina premiale di cui si tratta;

che, infine, sarebbe recato vulnus all'art. 53 della Costituzione, provvedendosi alla copertura di spese pubbliche al di là della disposizione, definita marginale, di cui ai commi 13 e 15 dell'impugnato art. 39 in base non alla capacità contributiva, ma all'entità dell'abuso edilizio;

che, nel giudizio introdotto con l'ordinanza n. 420 del 1996, ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la manifesta infondatezza delle proposte questioni.

CONSIDERATO che, per l'identità dell'oggetto, i giudizi possono essere riuniti e decisi con un'unica pronuncia;

che le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 e 112 della Costituzione sono già state esaminate e dichiarate non fondate con la sentenza n. 427 del 1995 cui hanno fatto seguito l'ordinanza n. 537 del 1995 e la sentenza n. 302 del 1996 con la quale si è sottolineato che la non punibilità conseguente al condono trova una ragionevole giustificazione nel carattere di norma del tutto eccezionale che riveste l'art. 39 della legge n. 724 del 1994, anche in relazione a ragioni contingenti e straordinarie di natura finanziaria, e alla necessità di _un recupero della legalità attraverso la regolamentazione dell'assetto del territorio onde procedere ad un definitivo riordino della materia;

che, nella medesima occasione, la Corte ha, peraltro, avvertito che una tale soluzione, ove reiterata, non troverebbe ulteriore giustificazione sul piano della ragionevolezza, in quanto finirebbe col vanificare le norme repressive di quei comportamenti che il legislatore ha considerato illegali perché contrastanti con la tutela del territorio;

che anche le questioni sollevate in riferimento all'art. 9 della Costituzione trovano un precedente specifico nelle citate pronunce della Corte, che hanno evidenziato che la normativa sul condono presenta aspetti direttamente volti al ripristino della tutela del controllo del territorio, come dimostrano, tra l'altro, l'affermazione, in materia di abusi in aree vincolate, della necessità dell'acquisizione dei pareri favorevoli delle amministrazioni preposte alla tutela dei vincoli, e le previsioni di limiti di cubatura per l'ammissione alla sanatoria;

che, con riguardo a tale ultimo, specifico aspetto, la Corte, con la citata sentenza n. 302 del 1996, ha precisato che la previsione massima di cubatura di settecentocinquanta metri cubi, di cui al primo comma dell'art. 39 della legge n. 724 del 1994, costituisce un limite assoluto e inderogabile, che _si aggiunge come norma di chiusura al limite di ampliamento, che deve essere contenuto nel trenta per cento della volumetria originaria_;

che, in riferimento ai citati parametri costituzionali, non sono dedotti profili sostanzialmente nuovi o diversi tali da indurre ad un riesame delle questioni;

che, pertanto, le proposte questioni devono essere dichiarate manifestamente infondate;

che, per ciò che riguarda la lamentata violazione dell'art. 53 della Costituzione, il richiamo a detto precetto costituzionale risulta inconferente, in quanto all'oblazione posta a carico degli autori di abusi edilizi non può riconoscersi alcun connotato tributario, con conseguente applicazione della regola di proporzionalità alla capacità contributiva. La somma corrisposta a titolo di oblazione ha una funzione in senso lato sanzionatoria con un effetto premiale, da essa scaturendo la estinzione del reato, rimessa, peraltro, alla volontà degli interessati;

che, pertanto, anche le questioni sollevate in riferimento all'art. 53 della Costituzione devono essere dichiarate manifestamente infondate;

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 112, 9 e 53 della Costituzione, dal Pretore di Roma, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 dicembre 1996.

Renato GRANATA, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 16 dicembre 1996.