Ordinanza n. 389 del 1996

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ORDINANZA N.389

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 707 e 708 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 27 marzo 1996 dal Presidente del Tribunale di Udine nel procedimento civile vertente tra Cosatto Maria Luisa e Di Chiara Rino, iscritta al n. 576 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di costituzione di Cosatto Maria Luisa;

udito nell'udienza pubblica del 15 ottobre 1996 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

udito l'avvocato Paola Rossi Appiotti per Cosatto Maria Luisa.

RITENUTO che, nel corso del procedimento di separazione giudiziale tra Cosatto Maria Luisa e Di Chiara Rino, il Presidente del Tribunale di Udine ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 707 e 708 del codice di procedura civile in riferimento all'art. 24 della Costituzione;

che il rimettente, dopo aver premesso che è prassi diffusa nell'ambito della Corte d'appello di Trieste, seguita anche dal Tribunale di Udine, che il presidente del tribunale, esperito con esito negativo il tentativo di riconciliazione, espleti un ulteriore tentativo diretto a tramutare la separazione giudiziale in consensuale, alla presenza dei coniugi ma con esclusione dei difensori, poi ammessi in udienza solo prima della eventuale formalizzazione a verbale dei termini dell'accordo, qualora raggiunto;

che, a parere del giudice a quo, tale prassi, pur giustificata dalla necessità di limitare la litigiosità in un settore di particolare rilevanza sociale, può essere in contrasto con il pieno esercizio del diritto di difesa e con le disposizioni costituzionali volte ad assicurare la tutela del nucleo familiare;

che nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è costituita Maria Luisa Cosatto, chiedendo che la questione sollevata venga dichiarata irrilevante o manifestamente infondata.

CONSIDERATO che le norme impugnate prevedono che i coniugi debbono comparire personalmente davanti al presidente senza l'assistenza di difensore, che il presidente deve sentirli prima separatamente e poi congiuntamente, procurando di conciliarli, e che, in caso negativo, il presidente, anche d'ufficio, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei ed urgenti;

che questa Corte, con la sentenza n. 151 del 1971, ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme ora impugnate, nella parte in cui ai coniugi comparsi personalmente davanti al presidente del tribunale, e in caso di mancata conciliazione, è inibito di essere assistiti dai rispettivi difensori;

che nella richiamata pronuncia la Corte ha specificato che il diritto di farsi assistere dal difensore durante lo svolgimento dell'udienza presidenziale nel giudizio di separazione sorge per le parti successivamente al fallimento del tentativo di conciliazione, poiché solo a quel punto "diventa attuale il contrasto, concreto o potenziale, tra i contendenti sulla base delle domande avanzate con il ricorso introduttivo o delle pretese direttamente prospettate al presidente del tribunale";

che nella sentenza n. 201 del 1971 la Corte ha chiarito che il divieto di essere assistiti dai difensori nel corso della prima fase dell'udienza presidenziale non viola il principio del diritto di difesa di cui all'art. 24 della Costituzione, avendo il legislatore voluto tutelare in modo preminente l'interesse, di natura pubblica, alla pacifica continuazione della convivenza tra i coniugi, evitando il giudizio come strumento per risolvere i conflitti coniugali; ed al conseguimento di questi fini - osserva la citata sentenza n. 201 del 1971 - "mirano i coniugi (personalmente) ed il presidente del tribunale che non potrà non far valere il prestigio derivantegli dalla sua funzione";

che, per l'attuazione degli stessi interessi, nulla vieta che il presidente del tribunale possa anche esplorare - sia in presenza che in assenza dei difensori - la potenziale praticabilità di una soluzione non contenziosa di detti conflitti, e ciò nello svolgimento di quelle funzioni lato sensu conciliative che gli impongono di attivarsi per ridurre al minimo i traumi per i coniugi e per i figli; fermo restando che la difesa tecnico-professionale possa intervenire al momento di stabilire e formalizzare le condizioni dell'eventuale accordo;

che sono tuttora ravvisabili tanto la distinzione operata dalle sentenze nn. 151 e 201 del 1971 di questa Corte tra la prima e la seconda fase dell'udienza presidenziale nel procedimento di separazione personale, quanto la sostanziale diversità tra questo procedimento e quello del divorzio, in considerazione della differenza del grado di rottura dei rapporti coniugali e dei particolari compiti affidati dalla legge al presidente del tribunale nel primo procedimento;

che, conclusivamente, il giudice rimettente doveva, in assenza di un contrario diritto vivente ed in armonia con i principi già affermati da questa Corte, interpretare le norme impugnate in senso conforme a Costituzione, consentendo l'assistenza da parte dei difensori durante la seconda fase dell'udienza presidenziale e, tuttavia, non rinunciando alla funzione che gli è propria, ossia quella di tentare ogni strada idonea al superamento della crisi del nucleo familiare;

che una siffatta interpretazione, in armonia con le richiamate sentenze, consente di escludere la sussistenza del lamentato vizio di illegittimità costituzionale.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 707 e 708 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal Presidente del Tribunale di Udine con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 5 novembre 1996.