Sentenza n. 384 del 1996

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SENTENZA N.384

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 294, comma 6, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 18 ottobre 1995 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Pannella Giacinto detto Marco ed altri, iscritta al n. 862 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di costituzione di Pannella Giacinto detto Marco ed altri, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 1^ ottobre 1996 il Giudice relatore Renato Granata;

uditi gli avvocati Beniamino Caravita di Toritto e Alfredo Gaito per Pannella Giacinto detto Marco e l'Avvocato dello Stato Paolo di Tarsia di Belmonte per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. -- Nel corso del procedimento penale contro Pannella Giacinto, detto Marco, ed altri, tratti in arresto nella flagranza del reato di cessione a terzi di sostanze stupefacenti, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, in sede di udienza di convalida degli arresti, ha sollevato con ordinanza del 18 ottobre 1995 (a seguito di eccezione della parte) questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 294, comma 6, del codice di procedura penale (come novellato dalla legge 8 agosto 1995, n.332) - disposizione questa che prescrive che l'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare da parte del pubblico ministero non può precedere l'interrogatorio del giudice - nella parte in cui non trova applicazione anche all'interrogatorio dell'arrestato, per sospetta violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione; in particolare si censura l'omessa previsione della parola "arrestata o" dopo le parole "l'interrogatorio della persona".

Nel caso di specie l'arrestato era stato interrogato (ex art. 388 del codice di procedura penale) dal pubblico ministero prima dell'udienza di convalida dell'arresto, nonché liberato ex art. 121 disp. att. del codice di procedura penale.

Osserva in particolare il giudice per le indagini preliminari rimettente che l'interrogatorio del pubblico ministero indicato nell'art. 294, comma 6, del codice di procedura penale ha natura investigativa così come quello previsto dall'art. 388 dello stesso codice, che, non avendo il requisito dell'obbligatorietà, non può essere funzionale soltanto a valutazioni sulla legittimità dell'operato della polizia giudiziaria e sull'esercizio del potere di liberazione di cui all'art. 121 disp. att. del codice di procedura penale; in tal modo però - prosegue il giudice rimettente - il sistema nel suo complesso appare contraddittorio in quanto l'arrestato in flagranza di reato, che viene limitato nella libertà personale con atto di polizia, può essere sottoposto ad interrogatorio investigativo del pubblico ministero prima ancora che il giudice per le indagini preliminari abbia proceduto alla valutazione sulla legittimità dell'avvenuto arresto; mentre l'indagato sottoposto a misura cautelare personale con provvedimento giurisdizionale emesso dopo che sono stati valutati non solo gli elementi portati dal pubblico ministero, ma anche tutti gli elementi a favore dell'imputato e le eventuali memorie difensive già depositate, usufruisce del trattamento di garanzia previsto dal sesto comma dell'art. 294 del codice di procedura penale. Sicché, quindi, a situazioni uguali identificabili genericamente nella limitazione della libertà personale, si applica una diversa regolamentazione ed anzi soggetti sottoposti a limitazione della libertà personale per atto non giurisdizionale, vengono irragionevolmente trattati con minori garanzie processuali rispetto a soggetti sottoposti a misura cautelare personale adottata con provvedimento giurisdizionale.

2. -- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato concludendo per la non fondatezza della questione sollevata, in ragione della diversa funzione che, rispetto all'indagato in stato di custodia cautelare, assumono l'interrogatorio da parte del giudice delle indagini preliminari e l'interrogatorio da parte del pubblico ministero. Il primo mira precipuamente a controllare la sussistenza delle condizioni e dei presupposti dello status custodiae; il secondo, invece, condotto dal medesimo organo che gestisce le indagini e che ha richiesto l'applicazione della misura, assume una finalità essenzialmente investigativa, tendendo fondamentalmente ad acquisire dall'indagato elementi utili al fine della prosecuzione delle indagini.

3. -- La difesa delle parti private costituite ha concluso per la incostituzionalità della disposizione censurata, aderendo, anche con memoria presentata nell'imminenza dell'udienza, alle argomentazioni dell'ordinanza di rimessione.

Considerato in diritto

1. -- E' stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione - dell'art. 294, comma 6, del codice di procedura penale (come novellato dall'art. 11 della legge 8 agosto 1995 n.332), nella parte in cui non prescrive che anche l'interrogatorio ad opera del pubblico ministero della persona arrestata nella flagranza del reato, al pari del (già previsto) interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare, non possa precedere l'interrogatorio del giudice per le indagini preliminari; è, in particolare, sospettata la violazione del principio di eguaglianza e di ragionevolezza sotto il profilo che, in fattispecie similari (dell'arresto e della custodia cautelare) in cui l'indagato o l'imputato versa comunque in una situazione di limitazione della libertà personale, vi sarebbe una disciplina ingiustificatamente differenziata perché verrebbero trattati con minori garanzie processuali (quale è la regola introdotta dalla disposizione censurata) i soggetti tratti in arresto, che a tale limitazione sono sottoposti con atto non giurisdizionale, rispetto ai soggetti sottoposti a misura cautelare personale adottata con provvedimento giurisdizionale.

2. -- Il comma 6 dell'art. 294 del codice di procedura penale, nella sua originaria formulazione, consentiva espressamente che l'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare da parte del pubblico ministero (ex art. 388 del codice di procedura penale) potesse anche precedere l'interrogatorio al quale il giudice per le indagini preliminari doveva procedere non oltre cinque giorni dall'inizio dell'esecuzione della custodia al fine di verificare la permanenza, o meno, delle condizioni di applicabilità e delle esigenze cautelari poste a fondamento della misura stessa, sempre che ciò non determinasse ritardo nel compimento di questo ultimo interrogatorio.

Tale formulazione è stata rovesciata dalla recente novella (art. 11 della legge 8 agosto 1995, n.332) che, viceversa, ha prescritto che l'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare da parte del pubblico ministero non possa precedere l'interrogatorio del giudice.

Non è stato però introdotto analogo divieto - e di ciò si duole il giudice a quo - nella disciplina dell'interrogatorio dell'arrestato (e - può aggiungersi - del fermato, la cui posizione peraltro non viene in gioco nel presente giudizio) in sede di udienza di convalida da parte del giudice per le indagini preliminari (art. 391 del codice di procedura penale); sicché ancora oggi l'interrogatorio dell'arrestato da parte del pubblico ministero ex art. 388 del codice di procedura penale può legittimamente precedere quello del giudice per le indagini preliminari.

Tale simmetrico divieto il giudice rimettente tende ad introdurre invocando una pronuncia additiva sulla disposizione censurata in ragione dell'allegata disparità di trattamento, che ridonderebbe - nella sua prospettazione - anche in violazione della tutela giurisdizionale, sicché possono essere esaminate congiuntamente le denunciate violazioni dei due parametri evocati.

3. -- In primo luogo, è opportuno precisare che non impropriamente il giudice a quo sottopone allo scrutinio della Corte la disposizione dettata dall'art. 294, comma 6, perché è questa che ha introdotto il divieto in questione con un ambito di operatività che - sempre nella prospettazione del giudice rimettente - sarebbe illegittimamente limitato all'ipotesi dell'interrogatorio dell'indagato dopo l'applicazione della custodia cautelare in carcere.

Sussiste poi la rilevanza della questione perché nella specie risulta (dall'ordinanza di rimessione) che l'arrestato è stato interrogato dal pubblico ministero prima dell'udienza di convalida e ciò - ove la questione fosse accolta - costituirebbe violazione di legge, di cui il giudice per le indagini preliminari - come non implausibilmente egli stesso ritiene - non potrebbe non farsi carico (quali possano essere le conseguenze ipotizzabili di una tale violazione) per essere a lui demandato il controllo di legittimità sulla sequenza procedimentale successiva fino alla decisione sulla convalida.

4. -- Nel merito, la questione è infondata.

4.1. -- La comparazione posta dal giudice rimettente implica - per come è strutturata la disposizione censurata - un duplice raffronto al fine di verificare se sia stato, o non, rispettato nella fattispecie il principio di eguaglianza. Devono infatti considerarsi sia l'atto precluso dalla disposizione censurata, sia l'atto del quale è sancita la necessaria precedenza, per poi comparare l'uno e l'altro con quelli tra i quali non è prescritta (illegittimamente, secondo il giudice rimettente) la medesima scansione temporale.

Orbene, questo duplice raffronto però conduce a ritenere la non assimilabilità, da una parte, dell'interrogatorio del giudice per le indagini preliminari in sede di verifica della persistenza delle condizioni e delle esigenze della misura cautelare con l'interrogatorio del medesimo giudice per le indagini preliminari in sede di giudizio sulla richiesta di convalida dell'arresto non accompagnata da richiesta di misura cautelare e, d'altra parte, dell'ordinario interrogatorio del pubblico ministero (art. 364 del codice di procedura penale) con quello - ad opera del medesimo organo dell'accusa - dell'arrestato (art. 388 del codice di procedura penale), onde deve ritenersi insussistente tra le due situazioni comparate, al di là della loro innegabile contiguità, una identità sostanziale tale da imporre, per il rispetto del principio di eguaglianza, la medesima disciplina.

4.2. -- Da una parte si ha infatti che l'interrogatorio (dell'arrestato) al quale può procedere ex art. 388 del codice di procedura penale il pubblico ministero - anche in vista delle sue determinazioni in ordine alle richieste da promuovere e alle iniziative investigative da adottare - ha una sua peculiarità rispetto a quello ordinario (dell'indagato) ex art. 364 del codice di procedura penale, al quale si riconduce l'interrogatorio ex art. 294 del soggetto sottoposto a misura cautelare sempre da parte del pubblico ministero, perché persegue una finalità (oltre che investigativa) anche di garanzia, atteso che il pubblico ministero, se verifica che l'arresto è stato eseguito per errore di persona o fuori dai casi previsti dalla legge, dispone l'immediata liberazione dell'arrestato (art. 389 del codice di procedura penale). Analoga finalità di garanzia è sottesa al provvedimento, che parimenti può adottare il pubblico ministero, di liberazione dell'arrestato ex art. 121 disp. att. del codice di procedura penale nell'ipotesi in cui egli ritenga di non dover chiedere l'applicazione delle misure coercitive. Questa concorrente finalità di garanzia connota l'atto di interrogatorio dell'arrestato da parte del pubblico ministero sì da differenziarlo rispetto alla figura generale dell'interrogatorio dell'indagato da parte ancora del pubblico ministero, al quale fa riferimento la disposizione censurata, tant'è che è espressamente previsto dalla direttiva n.34 della legge delega, la quale risulterebbe viceversa inattuata in parte qua ove la questione fosse accolta nei termini richiesti dal giudice rimettente.

4.3. -- D'altra parte deve parimenti rilevarsi che anche l'interrogatorio dell'indagato in stato di custodia cautelare ad opera del giudice per le indagini preliminari, ex art. 294 del codice di procedura penale, non è pienamente equiparabile a quello dell'arrestato al quale procede il giudice per le indagini preliminari medesimo in sede di udienza di convalida ex art. 391 dello stesso codice quando il pubblico ministero non chieda l'adozione di misure cautelari. Infatti, mentre il primo persegue lo scopo - come enuncia espressamente il comma 3 dell'art. 294 del codice di procedura penale - di valutare se permangono le condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari previste dai precedenti artt. 273, 274 e 275, invece l'interrogatorio dell'arrestato, come tale, persegue la diversa finalità di verificare se sussistano, o meno, le (del tutto diverse) condizioni che legittimano l'arresto. Come questa Corte (ord. n. 267 del 1996) ha già affermato, infatti, la convalida dell'arresto, pur implicando una valutazione sulla riferibilità del reato all'indagato, "non comporta la formulazione di un giudizio di merito, neppure prognostico, sulla sua colpevolezza, essendo volta a verificare la legittimità o meno dell'arresto"; sicché tale ipotesi non è assimilabile - come nella citata decisione è stato ritenuto, seppure al diverso fine del rispetto del principio dell'imparzialità del giudice - a quella della misura restrittiva della libertà personale adottata dal giudice per le indagini preliminari.

4.4. -- La segnalata diversità è poi accentuata dalla previsione per il solo interrogatorio di cui all'art. 294 del codice di procedura penale di un meccanismo acceleratorio (introdotto dal comma 1-ter dello stesso articolo) alla stregua del quale il pubblico ministero può chiedere che l'interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare avvenga entro il termine di 48 ore; il che vale in qualche misura a bilanciare la contestuale introduzione del divieto, sancito dalla disposizione censurata, a procedere all'interrogatorio prima del giudice per le indagini preliminari. Nessun analogo strumento acceleratorio - la cui eventuale introduzione non potrebbe che essere riservata alla discrezionalità del legislatore - è invece previsto con riguardo all'interrogatorio dell'arrestato, sicché, ove analogo divieto fosse esteso anche a tale interrogatorio, come richiesto dal giudice rimettente, risulterebbe del tutto frustrata l'esigenza del pubblico ministero di procedere in tempi brevi al compimento di tale atto, laddove nel caso di arresto in flagranza le esigenze investigative del pubblico ministero, normalmente, si presentano connotate proprio da particolare e pressante urgenza e da necessità di assoluta immediatezza.

Né a sostegno del giudizio di equivalenza potrebbe utilmente richiamarsi la potestà attribuita agli ufficiali di polizia giudiziaria dall'art. 350, comma 5, del codice di procedura penale - pure richiamato dal giudice rimettente - di "assumere dalla persona" indagata "notizie e indicazioni utili ai fini della immediata prosecuzione delle indagini", in quanto tale facoltà può essere esercitata soltanto "sul luogo o nella immediatezza del fatto", e comunque non dal pubblico ministero.

4.5. -- Rimane - come hanno rilevato il giudice rimettente e la difesa privata - l'esonero (previsto dal comma 1 dell'art. 294 del codice di procedura penale) del giudice per le indagini preliminari dall'obbligo di procedere all'interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare ove vi abbia già provveduto nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto; ma tale prescrizione - alla quale è essenzialmente sottesa un'esigenza di speditezza e di economia processuale - non è di per sé idonea a sminuire i plurimi elementi di differenziazione sopra esposti.

5. -- Nè la assimilabilità, carente, come si è visto, sotto molteplici profili, tra le due menzionate coppie di interrogatorio, può essere predicata, per altro verso, sotto l'aspetto di una pretesa identità sostanziale in ragione del dato fattuale della privazione dello status libertatis, atteso che questo elemento della fattispecie si presenta, al di là del suggestivo accostamento operato dal giudice rimettente, anch'esso in realtà diverso nell'una e nell'altra evenienza.

5.1. -- Infatti tale privazione nella ipotesi dell'arresto è in ogni caso limitata al breve periodo di tempo (96 ore) sancito dall'art. 13, terzo comma, della Costituzione ed - in conformità ad esso - dalla disciplina dei termini per la convalida dell'arresto; invece la (soltanto analoga) privazione per la persona in stato di custodia cautelare può avere un'estensione temporale ben più ampia, ancorché nei limiti di durata massima di tale misura. Quindi diversa è la situazione dell'indagato in stato di arresto, la cui prospettiva di riacquistare la libertà è - a differenza della persona in custodia cautelare - certa nell'an e nel quando.

5.2. -- Ancora sotto il profilo sostanziale, può poi ulteriormente considerarsi che nel caso di arresto la eventuale ammissione da parte dell'indagato dei fatti contestatigli è priva di diretta incidenza sullo status libertatis, il quale - durante il limitato periodo di vigenza della misura - dipende invece dalla legittimità dell'arresto stesso ed è destinato ad essere comunque recuperato all'esito del giudizio di convalida ove non vengano disposte misure coercitive (art. 391, comma 6, del codice di procedura penale). D'altra parte la rilevanza dell'ammissione di responsabilità, come evenienza idonea ad evitare che il pubblico ministero chieda l'adozione di una siffatta misura, non è diversa da quella ipotizzabile nei riguardi dell'indagato libero che - interrogato dal pubblico ministero - può temere l'iniziativa cautelare di quest'ultimo. Vero è che nel caso dell'arresto si ha (ex art. 121 disp. att. del codice di procedura penale) la liberazione dell'arrestato ove il pubblico ministero si astenga dal richiedere l'applicazione della custodia cautelare; ma ciò rappresenta solo una possibile conseguenza indiretta dell'ammissione di responsabilità. Nel caso, invece, di custodia cautelare in atto, l'ammissione dei fatti contestati è direttamente idonea ad incidere sul presupposto di fatto che legittima la privazione dello status libertatis, perché potrebbe far venir meno l'esigenza probatoria che in ipotesi sia stata posta a fondamento del provvedimento restrittivo della libertà.

6. -- Mette conto infine rilevare - a complemento delle argomentazioni finora svolte - che il legislatore del 1995, mentre si è mosso nella direzione di limitare i poteri del pubblico ministero con riferimento alla situazione della persona sottoposta a misura cautelare personale introducendo il divieto in esame, ha viceversa, con riferimento alla posizione dell'arrestato, ampliato altri poteri accentuando la funzione di garanzia svolta dal pubblico ministero prima dell'udienza di convalida dell'arresto; ha infatti assegnato al pubblico ministero anche il potere di disporre che l'arrestato sia custodito in uno dei luoghi indicati nel comma 1 dell'art. 284 del codice di procedura penale (art. 386, comma 5, del codice di procedura penale, come emendato dall'art. 20 della legge 8 agosto 1995, n.332, cit.); indirettamente così palesando che l'omessa estensione del divieto in esame anche all'interrogatorio dell'arrestato non è da imputarsi al fatto che la novella non abbia preso in considerazione la posizione di quest'ultimo e le esigenze di garanzia connesse alla privazione del suo stato di libertà, bensì è dipesa da una consapevole scelta dal legislatore compiuta nell'esercizio non irragionevole della sua discrezionalità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 294, comma 6, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 ottobre 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 5 novembre 1996.