Sentenza n. 383 del 1996

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.383

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5, primo, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1926, n. 416 (Nuove disposizioni sulle procedure da seguirsi negli accertamenti medico-legali delle ferite, lesioni ed infermità dei personali dipendenti dalle amministrazioni militari e da altre amministrazioni dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 21 marzo 1995 dal Tribunale amministrativo regionale della Toscana sul ricorso proposto da Biccone Gianni contro la Legione Carabinieri di Livorno ed altri, iscritta al n. 901 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 luglio 1996 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto in fatto

1. Con ricorso notificato e depositato rispettivamente il 2 e il 16 aprile 1992, l'appuntato (in congedo assoluto) dell'Arma dei carabinieri Gianni Biccone richiedeva al Tribunale amministrativo regionale della Toscana l'annullamento del provvedimento in data 11 febbraio 1992, con il quale la Legione carabinieri di Livorno lo aveva posto in congedo assoluto, nella parte in cui esso non aveva riconosciuta come dipendente da causa di servizio l'infermità "esiti di intervento per aneurisma dell'aorta addominale", nonché l'annullamento degli atti presupposti e connessi, con particolare riferimento al verbale del 23 settembre 1991 con il quale la commissione medica di seconda istanza di Firenze del Comando regionale militare tosco-emiliano aveva dichiarato non dipendente da causa di servizio la predetta infermità.

L'adito Tribunale amministrativo, con ordinanza del 21 marzo 1995, pervenuta alla Corte costituzionale il 6 dicembre 1995 (R.O. n. 901 del 1995), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, primo, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1926, n. 416 (Nuove disposizioni sulle procedure da seguirsi negli accertamenti medico-legali delle ferite, lesioni ed infermità dei personali dipendenti dalle amministrazioni militari e da altre amministrazioni dello Stato), nella parte in cui, ai fini del riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell'infermità del personale dipendente dell'amministrazione della difesa, consente all'amministrazione medesima di attivare l'intervento di una commissione medica di seconda istanza senza disciplinare e garantire la partecipazione del dipendente alla fase endoprocedimentale davanti alla citata commissione.

Tale normativa appare al collegio rimettente in contrasto anzitutto con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza fissati dall'art. 3 della Costituzione, in quanto solo per il personale dipendente del Ministero della difesa, e non anche per il restante personale civile dell'amministrazione statale, ai fini dell'accertamento della dipendenza della infermità da causa di servizio, è previsto l'intervento di una commissione medica di seconda istanza.

E' pur vero che l'art. 177 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, nel disporre l'obbligatorietà del parere del Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie (CPPO) nell'ipotesi in cui la competente commissione medica abbia espresso il parere che le infermità o le lesioni accertate siano dipendenti da causa di servizio, sostanzialmente prevedeva una commissione di secondo grado, peraltro di natura non medica. Osserva il giudice a quo che tale previsione doveva ritenersi applicabile anche al personale della difesa ma, comunque, l'intervento del CPPO è stato limitato, per effetto dell'art. 5-bis del decreto-legge 21 settembre 1987, n. 387, convertito, con modificazioni, nella legge 20 novembre 1987, n. 472, al verificarsi delle condizioni per la concessione dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata, mentre è stato precluso al predetto comitato l'accertamento della dipendenza delle infermità da causa di servizio. Né varrebbe richiamare l'art. 178, primo comma, dello stesso d.P.R. n. 1092 del 1973, che prevede che l'amministrazione centrale, qualora ritenga di non condividere il parere del CPPO, possa sentire l'ufficio medico-legale presso il Ministero della sanità: analoga previsione riguarda, infatti, anche il personale militare.

Né la evidenziata differente disciplina troverebbe giustificazione, ad avviso del giudice a quo, nella circostanza che parte del personale del Ministero della difesa abbia lo status di militare, atteso che, ai fini del riconoscimento di cui si tratta, non assumerebbe rilevanza tale particolare status.

La normativa denunciata, inoltre, sarebbe in contrasto con i principi di imparzialità e buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione. Essa, infatti, nel consentire alla commissione medica di seconda istanza di pronunciarsi inaudita altera parte, attribuirebbe all'amministrazione una posizione dominante non giustificabile, anche alla luce della legge 7 agosto 1990, n. 241. Infatti, non essendo garantita la possibilità per l'interessato di venire a conoscenza della discordanza tra il parere del comandante del Corpo o del capo ufficio, e quello della commissione medica ospedaliera, discordanza che rende necessario, in base alla normativa denunciata, il ricorso alla commissione di seconda istanza, l'interessato non sarebbe posto in grado, ove detta commissione non decida di procedere a visita diretta, di conoscere la necessità dell'intervento di tale commissione, e, quindi, di richiedere l'assistenza di un medico di fiducia. Né le norme di cui agli artt. 7 e 22 della legge n. 241 del 1990, con il prevedere, rispettivamente, la comunicazione dell'avvio del procedimento e l'esercizio del diritto di accesso, garantirebbero la partecipazione del dipendente: ed infatti, la comunicazione di cui all'art. 7 non riguarderebbe l'avvio della singola fase subprocedimentale, e il diritto di accesso non sarebbe praticamente attuabile per la mancata conoscenza, da parte dell'interessato, della detta discordanza di pareri.

2. Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione alla luce della evoluzione maturata nell'ordinamento positivo in ordine ai diritti di partecipazione dei cittadini all'attività della pubblica amministrazione. Ritiene, al riguardo, l'autorità intervenuta che il combinato disposto degli artt. 7 e 10 della legge n. 241 del 1990 consenta all'interessato, ove egli eserciti una minima diligenza, di seguire l'iter della pratica di cui si tratta, con possibilità di prendere visione in ogni momento degli atti intermedi del procedimento e di presentare memorie e documentazione anche sanitaria, a conforto della propria tesi.

Considerato in diritto

Le questioni sottoposte all'esame della Corte costituzionale concernono l'art. 5, primo, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1926, n. 416 (Nuove disposizioni sulle procedure da seguirsi negli accertamenti medico-legali delle ferite, lesioni ed infermità dei personali dipendenti dalle amministrazioni militari e da altre amministrazioni dello Stato), nella parte in cui, ai fini del riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità del personale dipendente dell'Amministrazione della difesa, consente all'amministrazione stessa di attivare l'intervento di una commissione medica di seconda istanza, senza, peraltro, disciplinare e garantire la partecipazione del dipendente alla fase endoprocedimentale davanti a tale commissione, con lamentata violazione: a) dell'art. 3 della Costituzione, per contrasto con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza, non essendo prevista per il restante personale civile dell'amministrazione statale una analoga procedura; b) dell'art. 97 della Costituzione, per contrasto con i principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, consentendosi alla commissione medica di seconda istanza di pronunciarsi inaudita altera parte e inibendosi, pertanto, all'interessato la possibilità di farsi assistere nel corso del giudizio medico di secondo grado da un sanitario di fiducia.

Le questioni sono infondate.

L'esame della normativa vigente in materia di riconoscimento della causa di servizio per il personale militare (legge 11 marzo 1926, n. 416 come integrata dal regolamento di attuazione r.d. 22 giugno 1926, n. 1067 e dalla sopravvenuta legge 7 agosto 1990, n. 241), porta ad escludere che vi sia alcuna discriminazione o irragionevole differenziazione di procedura ovvero menomazione dei diritti di partecipazione e di intervento del personale militare nella fase di seconda istanza del procedimento di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità.

Ed infatti, in base all'art. 12 del regolamento per l'esecuzione della legge 11 marzo 1926, n. 416 (r.d. 22 giugno 1926, n. 1067) che ha sostituito l'art. 35 del r.d. 5 settembre 1895, n. 603 deve essere data partecipazione agli interessati delle conclusioni del processo verbale in cui è espresso il giudizio della commissione medico-ospedaliera nei riguardi della dipendenza delle infermità da causa di servizio.

Nel caso di specie, risulta dagli atti di causa che il verbale fu sottoscritto dall'interessato, il che consente di affermare che costui fu posto in grado di conoscere la discordanza tra il parere del comandante del Corpo e la decisione della commissione medico-ospedaliera, che ha reso necessario, ai sensi del terzo comma dell'art. 4 della legge 11 marzo 1926, n. 416, il deferimento della pratica alla commissione di seconda istanza.

Peraltro, deve essere, in generale, sottolineato che, alla stregua dei sopravvenuti principi introdotti dalla legge n. 241 del 1990 in materia di trasparenza dell'azione amministrativa, l'amministrazione è tenuta a predisporre un meccanismo procedurale (formula espressa apposta in calce al documento comunicato all'interessato, avviso ad hoc o altro mezzo) che assicuri il raggiungimento dello scopo di consentire all'interessato la chiara percezione dell'avvio della nuova fase, in modo da porlo nella effettiva possibilità di interloquire nella anzidetta ulteriore fase procedimentale. In altri termini, occorre, salvo che sussista una urgenza qualificata, che l'amministrazione adotti una procedura di comunicazione idonea a porre in grado il soggetto interessato di venire a conoscenza della successiva eventuale fase endoprocedimentale (avente carattere autonomo, nella specie per la natura di secondo grado e per il diverso organo che deve provvedere) che possa risolversi in un pregiudizio per lo stesso soggetto, con esclusione delle ipotesi in cui tali successive fasi siano dovute alla iniziativa del medesimo interessato.

Del resto, nel caso della norma in questione, il "deferimento" della pratica all'esame di una commissione di seconda istanza può considerarsi "avvio" di un nuovo procedimento, essendosi il precedente già concluso con la "decisione della commissione medica ospedaliera", comunicata all'interessato; mentre deve ammettersi che il secondo grado possa correttamente svolgersi sulla base degli atti acquisiti quando non vi sia esigenza di nuova visita diretta (solo in tal caso nella fattispecie non verificatosi potendo sorgere la esigenza di assistenza dell'interessato da parte di un sanitario di fiducia), ferma la possibilità per l'interessato di partecipare con memorie ed osservazioni fornendo ogni utile elemento.

3. Infine, non può assumere rilievo, ai fini del giudizio sulla legittimità costituzionale di una norma, l'eventuale cattivo uso dei poteri-doveri dell'amministrazione, che non si sia comportata secondo regole di lealtà procedimentale previste dalla normativa in vigore, in quanto ciò può avere riflessi solo in sede di legittimità dei provvedimenti adottati dall'amministrazione quando vi sia stata lesione delle posizioni protette del soggetto interessato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, primo, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1926, n. 416 (Nuove disposizioni sulle procedure da seguirsi negli accertamenti medico-legali delle ferite, lesioni ed infermità dei personali dipendenti dalle amministrazioni militari e da altre amministrazioni dello Stato), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Toscana con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 5 novembre 1996.