Sentenza n. 341 del 1996

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SENTENZA N.341

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 3 ottobre 1995, depositato in cancelleria il 12 successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della deliberazione adottata, in forma di ordine del giorno, dal Consiglio regionale della Sardegna il 27 luglio 1995, con la quale il predetto Consiglio "decide di considerare definitivi i provvedimenti emanati nell'esercizio delle funzioni amministrative delegate in materia paesistica" e "impegna la Giunta regionale ad adottare comportamenti conseguenti con il Ministero per i beni culturali e ambientali, mutando la prassi da ultimo seguita" ed iscritto al n. 32 del registro conflitti 1995.

Visto l'atto di costituzione della Regione Sardegna;

udito nell'udienza pubblica del 25 giugno 1996 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;

uditi l'Avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il ricorrente, e l'avvocato Sergio Panunzio per la Regione Sardegna.

Ritenuto in fatto

1.-- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, solleva conflitto di attribuzione nei confronti della Regione Sardegna, in relazione all'ordine del giorno del Consiglio regionale, adottato il 27 luglio 1995, con il quale il Consiglio stesso "decide di considerare definitivi i provvedimenti emanati nell'esercizio delle funzioni amministrative delegate in materia paesistica" e "impegna la Giunta regionale ad adottare comportamenti conseguenti con il Ministero per i beni culturali e ambientali, mutando la prassi da ultimo seguita".

Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta la violazione dello statuto regionale, dell'art. 57 del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Sardegna, in riferimento alla legge 22 luglio 1975, n.382, e al d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616) e della legge 8 agosto 1985, n.431 (Conversione in legge con modificazioni del d.l. 27 giugno 1983, n.312, recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), assumendo che la deliberazione del Consiglio regionale si riferirebbe al potere del Ministro per i beni culturali e ambientali, disciplinato dalla legge n. 431 del 1985, di annullare, entro il termine di 60 giorni, le autorizzazioni rilasciate dalle Regioni (nulla-osta paesistico) ai sensi dell'art. 7 della legge n. 1497 del 1939 (Protezione delle bellezze naturali).

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, l'ordine del giorno del Consiglio regionale conterrebbe non solo una inequivocabile dichiarazione negatoria della competenza statale, ma, altresì, un intento dispositivo, in quanto vincolerebbe la Giunta ad esercitare la funzione amministrativa delegata in modo consequenziale a tale negazione, mutando la "prassi" dell'adempimento dell'obbligo di comunicazione delle autorizzazioni paesistiche al Ministro.

In tal modo, l'atto impugnato sarebbe senz'altro lesivo delle competenze statali, dal momento che le disposizioni della legge n. 431 del 1985, che le contemplano, avrebbero valore di norme fondamentali di riforma economico-sociale e costituirebbero quindi un limite all'esercizio delle competenze regionali (anche esclusive).

Il Presidente del Consiglio dei ministri ricorda, infine, la giurisprudenza della Corte costituzionale, che sarebbe contraria al riassorbimento della tutela del paesaggio nella materia urbanistica, proprio per evitare che vengano vanificati i poteri di controllo ministeriali, posti dalla legge n. 431 del 1985 ad estrema difesa dei vincoli paesaggistici.

2.-- Nel giudizio innanzi alla Corte costituzionale si e' costituita la Regione Sardegna, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e comunque infondato.

Ad avviso della Regione, il ricorso sarebbe innanzi tutto inammissibile per la evidente inidoneità dell'atto impugnato (l'ordine del giorno del Consiglio regionale) a ledere le attribuzioni costituzionali dello Stato.

Secondo la difesa regionale, ai sensi dell'art. 47 dello statuto speciale e dell'art. 33 del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna), spetterebbe esclusivamente alla Giunta e al suo Presidente l'esercizio delle funzioni amministrative delegate e, di conseguenza, lo Stato, che per le funzioni delegate manterrebbe in ogni caso anche i poteri sostitutivi di cui all'art. 33, secondo comma, del d.P.R. n. 480 del 1975 ed all'art. 3, secondo comma, del d.P.R. n. 348 del 1979, avrebbe come unico interlocutore l'Esecutivo regionale. Invece, al di là del contenuto dell'ordine del giorno del Consiglio, che, ad avviso della difesa della Regione, potrebbe anche non implicare l'omissione della comunicazione delle autorizzazioni paesaggistiche al Ministero, non potrebbe non rilevarsi che l'ordine del giorno stesso costituirebbe un mero atto interno al rapporto politico fiduciario che intercorre tra il Consiglio regionale e la Giunta, ai sensi dell'art. 37 dello statuto. Del resto, il regolamento interno del Consiglio regionale sardo, approvato il 22 luglio 1988, disciplinerebbe, all'art. 120, l'ordine del giorno, senza attribuirgli alcuna particolare efficacia; quest'ultima non potrebbe essere, di conseguenza, che quella riconosciuta tradizionalmente nel diritto parlamentare a tale strumento di indirizzo: vincolare politicamente il Governo nell'ambito del rapporto fiduciario.

L'ordine del giorno, pertanto, non avrebbe alcuna rilevanza esterna, ne' alcuna efficacia giuridica; la sua inosservanza non sarebbe, poi, nemmeno sanzionata, perchè a tale fine occorrerebbe attivare un diverso ed autonomo procedimento, volto a far valere la responsabilità politica dell'esecutivo.

I principii tratti dal diritto parlamentare, ad avviso della Regione, varrebbero anche nel presente caso, tenuto conto che l'ordine del giorno impugnato si limiterebbe a contenere una interpretazione della legge, di per se' non vincolante per la Giunta. Fin quando questa non si conformi a quanto chiesto nell'ordine del giorno, omettendo di comunicare le autorizzazioni paesaggistiche al Ministro per i beni culturali, non potrebbe ritenersi, quindi, esistente alcuna manifestazione esterna di volontà della Regione, in grado di determinare una lesione delle competenze statali.

Il conflitto sarebbe, pertanto, inammissibile anche per mancanza dell'imprescindibile requisito della attualità, come definito dalla giurisprudenza della Corte costituzionale: l'ordine del giorno non avrebbe, infatti, efficacia o rilevanza esterna ed esprimerebbe unicamente la pretesa politica del Consiglio che la Giunta eserciti in un certo modo una competenza che spetta solo ad essa esercitare.

Quanto al merito, la Regione rileva che l'ordine del giorno del Consiglio altro non farebbe che affermare una determinata interpretazione di atti legislativi statali. Il d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348, infatti, avrebbe delegato alla Regione stessa le funzioni amministrative dello Stato in materia di protezione delle bellezze naturali, ivi compreso il potere di concedere autorizzazioni paesaggistiche (art. 57), ed al contempo avrebbe stabilito la definitività degli atti emanati nell'esecuzione di funzioni delegate (art. 4); tali atti, di conseguenza, non sarebbero più soggetti a procedure di riesame da parte dello Stato, ed in particolare, le autorizzazioni paesaggistiche non sarebbero soggette ai poteri del Ministro per i beni culturali e ambientali, disciplinati dall'art. 1 della legge n. 431 del 1985.

3.-- Hanno depositato memorie in prossimità del- l'udienza sia il Presidente del Consiglio dei ministri, sia la Regione Sardegna.

Il Presidente del Consiglio dei ministri ribadisce che l'ordine del giorno impugnato non avrebbe natura meramente interpretativa della legislazione statale, come vorrebbe, invece, la difesa regionale; la parte interpretativa costituirebbe, a suo avviso, solo la premessa per una inequivocabile affermazione di una competenza esclusiva della Regione ed una correlativa negazione del potere statale di annullamento, rilevanti e sufficienti per l'elevazione del conflitto.

Il potere di annullamento ministeriale, anche secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, non potrebbe essere esercitato senza la collaborazione della Regione, il procedimento che lo contempla costituirebbe fase integrativa del procedimento di autorizzazione, di competenza della Regione, e il suo termine iniziale dipenderebbe proprio dalla comunicazione regionale.

Il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea, infine, che per l'esecuzione da parte della Giunta della delibera consiliare sarebbe sufficiente una mera omissione e che ciò menomerebbe la competenza statale, quanto meno sotto il profilo della certezza di un suo pacifico e regolare esercizio.

4.-- La Regione Sardegna sostiene, a sua volta, che il ricorso governativo avrebbe carattere di mera prevenzione, essendo stato proposto senza che vi fosse alcun comportamento omissivo in materia da parte della Giunta e, per di più, in relazione ad un atto interno all'organizzazione regionale. Nel caso di specie mancherebbe, poi, anche il requisito dell'"incidenza certa ed attuale in ordine alla competenza ritenuta lesa", presupposto essenziale perchè possa configurarsi un conflitto. Il difetto di attualità sarebbe, inoltre, dimostrato, secondo la Regione, dal comportamento tenuto dall'Amministrazione regionale successivamente alla data di approvazione dell'ordine del giorno impugnato; comportamento che sarebbe comprovato da decreti di annullamento emanati dal Ministro per i beni culturali e ambientali.

La Regione Sardegna ribadisce, infine, l'infondatezza del ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, perchè, se pure la Regione omettesse di comunicare al Ministero le autorizzazioni paesaggistiche, ciò non determinerebbe una lesione della attribuzioni statali. Infatti, l'art. 4 del d.P.R. n. 348 del 1979, dopo aver stabilito la definitività degli atti emanati dalla Regione nell'esercizio delegato di funzioni amministrative, dispone che sia il Governo a decidere quali atti la Regione sia tenuta a comunicare; non essendo stata data attuazione a tale norma, non vi sarebbe, per la Regione, obbligo di comunicazione degli atti di autorizzazione paesaggistica.

5.-- Nel corso dell'udienza pubblica del 25 giugno 1996, nella quale le parti hanno svolto oralmente le rispettive difese, l'Avvocatura dello Stato, per conto del Presidente del Consiglio dei ministri, ha chiesto di poter depositare nuova documentazione. La difesa della Regione Sardegna si e' opposta, sicchè di tale documentazione non e' possibile tenere conto.

Considerato in diritto

1.-- Oggetto del conflitto di attribuzione, proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri, e' l'ordine del giorno approvato dal Consiglio regionale della Regione Sardegna con il quale si e' deciso di "considerare definitivi i provvedimenti emanati nell'esercizio delle funzioni amministrative delegate in materia paesistica" e di impegnare "la Giunta regionale ad adottare comportamenti conseguenti con il Ministero per i beni culturali ed ambientali, mutando la prassi da ultimo seguita".

Dal contesto della delibera risulta chiaro che l'intendimento e' quello di sottrarre i provvedimenti regionali in materia paesistica e, in particolare, le autorizzazioni di cui all'art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, delegate alle Regioni, all'esercizio dei poteri statali di controllo stabiliti dall'art. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 431 (annullamento da parte del Ministro per i beni culturali e ambientali della autorizzazione regionale entro i 60 giorni successivi alla relativa comunicazione); e ciò sulla premessa che nei piani territoriali regionali l'aspetto paesistico sia strettamente connesso con quello urbanistico, in relazione al quale la Regione e' titolare di potestà legislativa esclusiva. Il mutamento di prassi nei rapporti con il Ministero per i beni culturali e ambientali al quale la Giunta viene impegnata consiste, evidentemente, nell'omettere la trasmissione dei provvedimenti adottati al detto Ministero, così da impedire l'esercizio dei controlli statali.

2.-- Va preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa della Regione, secondo la quale un ordine del giorno del Consiglio regionale non sarebbe idoneo a ledere le attribuzioni dello Stato, in quanto atto "interno", privo di rilevanza nei confronti di queste e destinato ad esaurire i suoi effetti nell'ambito delle relazioni politiche tra Consiglio regionale e Giunta. Dagli artt. 47 dello statuto speciale e 33 del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480, risulterebbe infatti che l'esercizio delle funzioni amministrative delegate alla Regione spetterebbe alla Giunta ed al suo Presidente, sicchè, secondo questa prospettazione difensiva, solo in conseguenza di provvedimenti imputabili agli organi dell'esecutivo regionale, e non anche per effetto di ordini del giorno votati dal Consiglio, potrebbe prodursi una lesione delle attribuzioni dello Stato.

3.-- L'eccezione e' infondata.

Si può consentire con la difesa della Regione Sardegna che un ordine del giorno del Consiglio il quale impegni l'esecutivo regionale ad assumere determinati comportamenti non crei un vincolo giuridico "esterno"; tanto meno lo crea -- si deve aggiungere -- quando si verta in materia di competenza amministrativa delegata, in relazione alla quale sia previsto (art. 47 dello statuto) che il potere di direzione spetti al Presidente della Giunta, che deve conformarsi alle istruzioni del Governo. L'attività successiva dell'esecutivo regionale non sarebbe censurabile, sotto il profilo della sua legittimità, solo perchè esercitata in contrasto con l'orientamento espresso dal Consiglio regionale; altrimenti l'ordine delle competenze fissato nell'art. 47 dello statuto ne risulterebbe alterato: sarebbe infatti il Consiglio e non il Presidente della Giunta a dirigere -- per di più in piena autonomia dallo Stato -- l'esercizio di tali funzioni.

E tuttavia, anche se insuscettibile di vincolare giuridicamente l'esercizio dell'attività amministrativa della Regione, un ordine del giorno come quello in oggetto, con il quale la Giunta venga impegnata ad osservare un determinato comportamento nei rapporti con lo Stato, non resta privo di rilievo giuridico e non può essere considerato, in sede di conflitto di attribuzione, come se non fosse stato adottato.

Esso, in base alla regola statutaria secondo la quale la Giunta regionale e' responsabile di fronte al Consiglio, il cui voto di sfiducia ne determina le dimissioni (art. 37 statuto reg.Sardegna), fa sorgere per la Giunta e per il suo Presidente un vincolo politico ad attenersi agli indirizzi consiliari; e, trattandosi di un vincolo tendente a precludere al Ministero per i beni culturali e ambientali l'esercizio di qualsiasi potere in materia, e' astrattamente configurabile una menomazione dell'attribuzione statale sotto il profilo della certezza del suo esercizio.

Nella prospettazione del ricorrente, alla Regione e' infatti richiesto, nella specie, l'adempimento di un dovere di informazione, espressivo a sua volta del più generale dovere di leale cooperazione.

Il dovere di lealtà, al quale devono essere improntati i rapporti tra Stato e Regione, trova la sua naturale sfera di incidenza proprio là dove l'assetto delle competenze dei due enti comporti un reciproco condizionamento delle funzioni, nel senso che il potere spettante all'un soggetto non possa essere esercitato quando l'altro non adempia ai propri compiti. Viene allora in gioco con il massimo risalto la necessità di un permanente fattore di composizione di un disegno autonomistico che e' basato sì sulla distinzione e sull'articolazione delle competenze, ma anche, talvolta, sulla loro interferenza e sul loro reciproco legame. Ed e' questa la funzione propria del principio di leale cooperazione, il quale opera pertanto in una dimensione che e' anche, se non prevalentemente, politico- costituzionale, nel senso che qualifica, prima ancora delle rispettive posizioni giuridiche dello Stato e della Regione, il contesto entro il quale devono svolgersi le relazioni tra i due enti.

Tale principio -- alla cui osservanza non può certo sottrarsi il Consiglio regionale che, quale organo di rappresentanza politica della Regione, ne e', se possibile, ancor più strettamente avvinto -- può risultare leso anche in presenza di atti che, pur senza generare alcuna immediata alterazione dell'ordine delle competenze, non abbiano il valore di una semplice opinione, confinabile nella sfera del pregiuridico, ma vadano ad incidere, in quanto produttivi di un vincolo -- seppure meramente politico -- sul contesto di lealtà e trasparenza entro il quale devono appunto essere esercitate le rispettive competenze ed adempiuti i reciproci doveri.

Anche un atto di indirizzo politico, come un ordine del giorno, e' dunque idoneo, in astratto, a menomare competenze costituzionalmente attribuite allo Stato o alla Regione, ed e' nella specie evidente l'interesse attuale dello Stato a che sia rimosso l'atto consiliare in questione.

4. -- Nel merito, il ricorso e' fondato.

Questa Corte ha più volte ricordato che il paesaggio costituisce, nel nostro sistema costituzionale, un valore etico- culturale che trascende la competenza della Regione in materia urbanistica e nella cui realizzazione sono impegnate tutte le pubbliche amministrazioni e, in primo luogo, lo Stato e le Regioni, ordinarie o speciali, in un vincolo reciproco di cooperazione leale (sentenze n. 379 del 1994, n. 302 del 1988, n.359 e n. 94 del 1985, n. 239 del 1982 e n. 141 del 1972).

Non può essere condivisa l'obiezione secondo la quale, vertendosi in materia di funzioni amministrative delegate, i provvedimenti relativi sarebbero da considerare definitivi e, in quanto tali, non soggetti a riesame, ai sensi dell'art. 4 del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348.

Premesso che in relazione all'esercizio delle funzioni amministrative delegate trova applicazione -- in forza del rinvio effettuato dall'art. 3, secondo comma, del d.P.R. n. 348 del 1979 -- l'art. 33 del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480, che contempla poteri statali sostitutivi nel caso di inerzia o di inadempimento da parte degli organi regionali competenti, si deve rilevare che il regime giuridico dei provvedimenti regionali in materia paesaggistica e' definito esaustivamente dall'art. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 431, il quale pone l'obbligo di comunicazione di tali provvedimenti al Ministero per i beni culturali e ambientali, proprio ai fini dell'esercizio dei poteri di controllo.

Questa Corte ha da tempo chiarito che i poteri ministeriali di cui alla legge n. 431 del 1985 sono posti ad estrema difesa dei vincoli paesaggistici e, come tali, costituiscono parte di una disciplina qualificabile, per la diretta connessione con il valore costituzionale primario della tutela del paesaggio (art. 9 della Costituzione), come norme fondamentali di riforma economico- sociale, in conformità, del resto, alla esplicita e, in questo caso, pertinente autoqualificazione contenuta nell'art. 2 della stessa legge (sentenze n. 437 del 1991 e n. 151 del 1986).

Di fronte a una così lampante volontà di sancire un obbligo di comunicazione -- peraltro funzionale all'esercizio di poteri statali di controllo -- a carico di tutte le Regioni, anche di quelle ad autonomia speciale, non vale opporre -- come fa la difesa della Regione -- che il Governo della Repubblica non avrebbe proceduto alla individuazione delle classi di atti da comunicare, ai sensi dell'art. 4 del decreto di attuazione del 1979: l'individuazione, in questo caso, e' puntualmente intervenuta ope legis. E come le disposizioni legislative statali che prevedono doveri di comunicazione e poteri ministeriali di controllo non possono essere derogate, modificate o sostituite da leggi regionali, così, a maggior ragione, non possono essere violate dalla Regione nell'esercizio di potestà amministrative delegate. Tanto meno ne può essere resa dubbia l'effettività dal Consiglio regionale che, insieme agli altri organi direttivi della Regione, e' destinatario di un dovere costituzionale di lealtà verso lo Stato.

Non può quindi ritenersi ingiustificata la pretesa dello Stato -- positivamente fondata nell'art. 1 della legge n. 431 del 1985 -- che sia tutelato il suo diritto ad ottenere informazioni finalizzate alla protezione del paesaggio. Negare tale diritto, seppure in un atto non giuridicamente vincolante del Consiglio, che, in teoria, potrebbe essere disatteso dall'esecutivo regionale senza conseguenze pregiudizievoli sul piano della stretta legalità -- al che peraltro non sembra orientata la Giunta regionale, nel caso di specie, stante la dichiarazione di accoglimento dell'ordine del giorno, effettuata dal suo rappresentante in Consiglio (resoconto della seduta antimeridiana del 27 luglio 1995 del Consiglio regionale della Sardegna) -- significa, comunque, rendere incerto e aleatorio l'esercizio della competenza statale e, quindi, menomarla.

Al rilievo contenuto nella parte motiva dell'ordine del giorno che ha fatto sorgere il conflitto, secondo cui i controlli statali in materia di paesaggio sarebbero suscettibili di ritardare notevolmente l'attuazione degli strumenti di pianificazione urbanistica (come la documentazione prodotta dalla difesa regionale dimostra essere talora avvenuto), si deve rispondere che la Regione non e' sprovvista di tutela nei confronti dei comportamenti dello Stato non ispirati a criteri di correttezza. Il principio di leale cooperazione non opera infatti in modo unidirezionale: al dovere della Regione di comunicare immediatamente i provvedimenti adottati e la documentazione sulla quale essi si fondano, corrisponde il dovere dello Stato di non determinare ingiustificati aggravamenti del procedimento con richieste di documentazione pretestuose, dilatorie o tardive, suscettibili di menomare l'esercizio delle attribuzioni regionali interferenti con la tutela del paesaggio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spetta alla Regione Sardegna, e per essa al Consiglio regionale, decidere di considerare definitivi, nei confronti del Ministro per i beni culturali ed ambientali, i provvedimenti emanati nell'esercizio delle funzioni amministrative delegate in materia paesistica, ed impegnare la Giunta regionale ad adottare comportamenti conseguenti, mutando la prassi di comunicare al Ministero per i beni culturali e ambientali le autorizzazioni rilasciate ai sensi dell'art.7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (Protezione delle bellezze naturali);

e conseguentemente annulla l'ordine del giorno del Consiglio regionale della Sardegna approvato nella seduta antimeridiana del 27 luglio 1995.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/10/96.

Mauro FERRI, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in cancelleria il 18/10/96.