Ordinanza n. 337 del 1996

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ORDINANZA N.337

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 407, comma 3, 405, comma 2, e 335, comma 1, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 10 ottobre 1995 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Lanusei nei procedimenti penali riuniti a carico di Pasquale Bentivegna ed altri, iscritta al n. 913 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 luglio 1996 il Giudice relatore Enzo Cheli.

RITENUTO che il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Lanusei, in sede di udienza preliminare nel processo penale nei confronti di Maria Teresa Vella, Pasquale Bentivegna, Giulio Donnini e Cardia Roberto, per il concorso nel reato di abuso d'ufficio, ha sospeso il procedimento nei confronti degli ultimi tre imputati e sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 407, comma 3, 405, comma 2 e 335, comma 1, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, 76 e 112 della Costituzione;

che, secondo le norme impugnate, il pubblico ministero iscrive immediatamente ogni notizia di reato nonchè, contestualmente o dal momento in cui risulta, il nome della persona alla quale e' attribuito il reato (art. 335); dalla data in cui il nome e' iscritto nel registro decorrono i termini per la richiesta di rinvio a giudizio (art. 405); gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine - previsto dalla legge o prorogato dal giudice - senza che il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione, non possono essere utilizzati (art. 407);

che il giudice rimettente prospetta l'incostituzionalità delle norme suddette nella parte in cui non prevedono l'inutilizzabilità, nei confronti dell'imputato, di tutti gli atti di indagine compiuti tra il momento in cui ha assunto la qualità di persona sottoposta alle indagini - perchè raggiunto da indizi di colpevolezza - e il momento in cui e' stato iscritto nel registro di cui all'art. 335 del codice di procedura penale;

che dall'ordinanza risulta che - a seguito di un esposto per irregolarità nella procedura di aggiudicazione di una gara e della successiva acquisizione della documentazione attraverso la polizia giudiziaria, la quale procedeva a segnalare le irregolarità e le generalità di tutti gli attuali imputati - la notizia di reato veniva iscritta nel relativo registro solo nei confronti della Vella, e che, all'esito delle indagini, il rinvio a giudizio veniva chiesto per lo stesso reato nei confronti di tutte le persone originariamente segnalate dalla polizia giudiziaria, con contestuale iscrizione nel registro delle notizie di reato per quelle non ancora iscritte;

che, sempre dall'ordinanza, risulta che la difesa aveva eccepito l'inutilizzabilità degli atti di indagine successivi alla scadenza del termine computato a partire dall'esposto, data in cui si sarebbe dovuto provvedere all'iscrizione nel registro delle notizie di reato, e, in via subordinata, l'incostituzionalità dell'art. 335 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 112 della Costituzione, ove interpretato nel senso che il dies a quo per la decorrenza delle indagini preliminari e' computato dalla formale iscrizione nel registro, anzichè dal momento in cui il pubblico ministero avrebbe dovuto iscrivere;

che il giudice a quo ritiene inammissibile ed infondata la suddetta eccezione, da un lato, perchè l'individuazione del momento iniziale di decorrenza dei termini per le indagini implicherebbe valutazioni inerenti alla sfera della discrezionalità legislativa, potendo solo il legislatore stabilire un criterio oggettivo cui il giudice dovrebbe ispirarsi nel controllare l'iscrizione effettuata dal pubblico ministero; dall'altro perchè, essendo nulli - per violazione del principio del contraddittorio e, più in generale, dei diritti di difesa - gli atti d'indagine compiuti nei confronti di persona raggiunta da indizi di colpevolezza, ma non iscritta nel registro, risulterebbero assicurati i diritti e le garanzie di difesa, con conseguente mancato contrasto con l'art. 24 della Costituzione;

che, tuttavia, sempre secondo la prospettazione del giudice rimettente, l'utilizzabilità degli atti compiuti, tra il momento in cui una persona e' stata raggiunta da indizi di colpevolezza e il momento in cui e' stata iscritta nel registro, integrerebbe la lesione di altri parametri costituzionali;

che, in particolare, sarebbe leso l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento tra colui che viene iscritto tempestivamente e colui che, pur trovandosi nelle identiche condizioni di indiziato, viene iscritto con ritardo; l'art. 112 della Costituzione, in quanto l'obbligatorietà dell'azione penale comporta che l'azione e' attribuita al pubblico ministero senza margine di discrezionalità, esigendo tale principio certezza sui presupposti che ne condizionano l'esercizio e sui tempi entro i quali l'esercizio deve aver luogo; l'art. 76 della Costituzione - in relazione all'art. 2 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, che richiama le norme internazionali recepite nel nostro ordinamento - non essendo rispettata la previsione dell'art. 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che assicura ad ogni persona che la sua causa sia esaminata in un tempo ragionevole da parte di un organo giurisdizionale;

che nel giudizio dinanzi alla Corte e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione nei termini che la ratio dell'art.407 - in correlazione con l'art. 191 del codice di procedura penale - consente di ritenere, quantomeno nei casi di ritardo abnorme e ingiustificato desumibile con evidenza dagli atti, che il giudice abbia il potere di dichiarare inutilizzabili anche gli atti che interessano una persona iscritta tardivamente nel registro delle notizie di reato.

CONSIDERATO che il giudice rimettente, da un lato, ritiene inammissibile l'eccezione di incostituzionalità sollevata dalla difesa, con riferimento agli atti di indagine compiuti successivamente al termine di chiusura, computato dal momento in cui il pubblico ministero ha proceduto all'iscrizione nominativa dell'indagato nel registro delle notizie di reato, anzichè da quello in cui il pubblico ministero avrebbe dovuto iscrivere, sulla base della considerazione che solo il legislatore potrebbe individuare un criterio oggettivo cui il giudice dovrebbe ispirarsi nel controllare il momento dell'iscrizione effettuata dal pubblico ministero; dall'altro invoca un intervento additivo della stessa natura chiedendo alla Corte di dichiarare l'incostituzionalità degli artt. 407, comma 3, 405, comma 2 e 335, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non consentono al giudice di individuare il momento in cui l'iscrizione avrebbe dovuto essere effettuata, allo scopo speculare di consentire l'inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dal momento in cui una persona e' raggiunta da indizi di colpevolezza a quello dell'effettiva iscrizione;

che, inoltre, lo stesso svolgimento dell'ordinanza di rimessione non consente di ricostruire con certezza i presupposti che renderebbero la questione pregiudiziale e rilevante rispetto al giudizio a quo stante la contraddittorietà che e' dato rilevare tra la qualificazione come nulli - per violazione del principio del contraddittorio e, più in generale, dei diritti di difesa - degli atti d'indagine compiuti nei confronti di persona raggiunta da indizi di colpevolezza e sottoposta ad indagini, ma non iscritta nel registro, atti come tali inefficaci in quanto affetti da nullità di ordine generale non sanabile, e la richiesta alla Corte di una pronuncia che consenta di considerare inutilizzabili, e quindi inefficaci, gli atti compiuti nello stesso periodo temporale considerato;

che la questione sollevata deve essere, pertanto, dichiarata manifestamente inammissibile, in quanto prospettata in modo contraddittorio e perplesso.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 407, comma 3, 405, comma 2, e 335, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 76 e 112 della Costituzione, dal Giudice per l'indagini preliminari presso il Tribunale di Lanusei con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30/09/96.

Mauro FERRI, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 08/10/96.