Sentenza n. 336 del 1996

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SENTENZA N.336

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 723, comma 1, e 725, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 23 luglio 1991 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, nel procedimento di esecuzione della rogatoria internazionale nel procedimento penale a carico di Oscar Sporchia ed altri, iscritta al n. 736 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Udito nella camera di consiglio del 26 giugno 1996 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto in fatto

Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, delegato dalla Corte d'appello di Milano alla esecuzione di rogatoria internazionale per attività di acquisizione probatoria, richiesta dal giudice istruttore presso il Tribunale di Grande Istanza di Thonon-les Bains (Francia), ha sollevato, d'ufficio, con ordinanza del 23 luglio 1991, pervenuta a questa Corte il 4 ottobre 1995, questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione, degli artt. 723, comma 1, e 725, comma 2, del codice di procedura penale.

L'attività oggetto di rogatoria, che il rimettente era stato chiamato ad eseguire, consisteva, oltre che nella audizione di alcune persone, anche in indagini ad ampio raggio, dirette alla identificazione dei complici delle persone accusate in Francia di smercio di falsa valuta, alla individuazione della destinazione di falsi biglietti della Banca centrale d'America, alla ricostruzione dei fatti e alla acquisizione di capillari informazioni sugli indagati e sulle persone a loro legate, procedendo alle attività complementari (perquisizioni e sequestri).

Il giudice a quo, prima di sollevare la questione di legittimità costituzionale, aveva, in data 23 maggio 1991, chiesto chiarimenti alla Corte d'appello delegante, poichè, a suo avviso, l'indiscriminata attività di indagine a lui delegata sarebbe stata in contrasto "con i principii di fondo del nuovo codice di rito".

La Corte d'appello aveva però disposto che il giudice delegato procedesse senz'altro all'esecuzione della rogatoria, ritenendo che "[...] la richiesta dell'autorità straniera di svolgimento di indagini di polizia giudiziaria non può considerarsi inibita all'autorità giudiziaria italiana, posto che l'art. 725 cod. proc. pen. effettua un generico richiamo alle norme del codice stesso, senza alcuna specifica esclusione".

Il giudice delegato alla esecuzione della rogatoria, nel sollevare la questione di legittimità costituzionale, rileva pertanto che, secondo l'interpretazione della Corte d'appello di Milano, alla quale egli aveva dovuto adeguarsi, la "attività di acquisizione probatoria", prevista dall'art. 723 cod. proc. pen. tra quelle rogabili da autorità straniera, comprenderebbe non solo specifici atti espressamente richiesti dalla autorità rogante, ma anche attività discrezionali e generalizzate di indagine: conseguentemente la disposizione di cui all'art. 725, comma 2, cod. proc. pen. ("Per il compimento degli atti richiesti si applicano le norme di questo codice [...]") comporterebbe il riconoscimento, in capo all'organo chiamato alla esecuzione della rogatoria, dei poteri che, in base agli artt. 358 e ss. cod. proc. pen., sarebbero riservati al pubblico ministero.

Ad avviso del rimettente, ciò determinerebbe violazione dell'art. 76 della Costituzione, poichè la legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale) non prevederebbe alcuna disposizione espressa in materia di rapporti con autorità straniere, regolati dalle norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dalle norme di diritto internazionale generale e solo residualmente dal legislatore nazionale; e, tuttavia, fisserebbe per il legislatore delegato un vincolo di adeguamento di tutti gli istituti processuali ai principii e criteri risultanti dall'art. 2 (punto 104), fra i quali avrebbe fondamentale risalto la ripartizione di compiti e la "ordinaria dialettica" tra giudice e pubblico ministero, nel senso che solo quest'ultimo sarebbe titolare di poteri di indagine (punto 37, art. 2, comma 2, dovendosi in questo senso interpretare l'erronea indicazione, nell'ordinanza di rimessione, del punto 57).

In particolare, ad avviso del giudice a quo, il giudice chiamato alla esecuzione della rogatoria, dotato -- secondo l'ampia interpretazione accennata -- di veri e propri poteri discrezionali di indagine, potrebbe anche essere investito dei compiti di valutare se sussistano gravi indizi di colpevolezza a fronte di conseguenti richieste di estradizione e di applicare eventuali misure cautelari: ciò contrasterebbe con i principii della legge di delegazione, in quanto in tal modo potrebbe verificarsi una non consentita sovrapposizione tra organo dell'indagine e organo della decisione.

Oltre all'art. 76, risulterebbero violati anche gli artt. 3 e 24 della Costituzione, poichè, nella procedura avviata su richiesta della autorità giudiziaria straniera, la persona sottoposta ad indagine verrebbe posta "di fronte ad un giudice- inquisitore, con evidente affievolimento della ordinaria dialettica processuale e della tendenziale parità tra accusa e difesa".

Considerato in diritto

1.-- Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, delegato dalla Corte d'appello di Milano alla esecuzione di rogatoria di autorità straniera (francese) per attività di acquisizione probatoria, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione, degli artt. 723, comma 1, e 725, comma 2, del codice di procedura penale.

Secondo l'interpretazione della Corte d'appello di Milano, alla quale si attiene l'ordinanza di rimessione, la "attività di acquisizione probatoria", prevista dall'art. 723 cod. proc. pen. tra quelle rogabili da autorità straniera, comprenderebbe non solo specifici atti richiesti dalla autorità rogante, ma anche attività di indagine discrezionali e generalizzate. In tal modo, il giudice chiamato a dare esecuzione alla rogatoria, ai sensi dell'art. 725, comma 2 cod. proc. pen., verrebbe investito di poteri, che, nel nostro ordinamento processuale, sarebbero riservati al pubblico ministero in base agli artt. 358 e ss. cod. proc. pen.

Ciò comporterebbe innanzitutto violazione dell'art. 76 della Costituzione, per contrasto con la legge di delegazione (legge 16 febbraio 1987, n. 81), la quale, pur non contenendo -- ad avviso del rimettente -- alcuna specifica disposizione in materia di rapporti con autorità straniere, regolati, di norma, da fonti di diritto internazionale pattizio e solo residualmente dalla disciplina generale interna, porrebbe comunque al legislatore delegato un vincolo di adeguamento di tutti gli istituti processuali all'insieme dei principii e criteri risultanti dall'art. 2 (punto 104), e in particolare a quello concernente la diversa posizione del giudice rispetto al pubblico ministero (punto 37, art. 2, comma 2).

Sarebbero inoltre violati gli artt. 3 e 24 della Costituzione, poichè, nella procedura avviata su richiesta della autorità straniera, si verrebbe a porre la persona sottoposta ad indagine di fronte "a un giudice-inquisitore, con evidente affievolimento della ordinaria dialettica processuale e della tendenziale parità tra accusa e difesa", tanto più in quanto lo stesso giudice potrebbe essere chiamato a pronunciarsi su eventuali richieste di misure cautelari, o a intervenire nel conseguente procedimento di estradizione.

2.-- La questione e' infondata.

Poichè la rogatoria passiva coinvolge rapporti con ordinamenti di Stati esteri, ai fini della verifica di conformità della disciplina posta dagli artt. 723, comma 1, e 725, comma 2, del codice di procedura penale alla legge di delegazione si deve avere riguardo non tanto ai principii che in questa ispirano le relazioni tra giudice e pubblico ministero nel processo penale italiano, quanto a quelli ai quali devono conformarsi i rapporti giurisdizionali con autorità straniere.

Soccorre, in proposito, l'art. 2, comma 1, prima parte, della legge di delegazione, secondo il quale il codice di procedura penale deve adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale. E' in attuazione di tale principio che l'art. 696 cod.proc.pen stabilisce che l'intera materia dei rapporti con autorità straniere relativi alla amministrazione della giustizia penale, che include le rogatorie internazionali, e' disciplinata dalle norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dalle norme di diritto internazionale generale; solo se tali norme mancano, o non dispongono diversamente, si applicano le disposizioni del nostro codice.

E' innanzitutto indubitabile, alla luce della legge di delegazione e delle fonti da essa richiamate, che oggetto di rogatoria può essere anche l'attività di indagine e di ricerca delle fonti di prova.

Ciò trova conferma nella convenzione europea di assistenza giudiziaria, firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959, di cui alla legge di esecuzione 23 febbraio 1961, n. 215 (che regola i rapporti anche con la Francia), secondo la quale la richiesta di assistenza giudiziaria può riguardare non solo il compimento di atti istruttori, intesi quali mezzi di formazione della prova, o la trasmissione di corpi di reato, di fascicoli o di documenti (art. 3, comma 1), ma anche attività di indagine preliminare a procedimento penale (art. 15, comma 4), che possono comportare un certo grado di iniziativa e discrezionalità per l'organo che deve compierle.

Del resto, l'art. 727 del codice di procedura penale, nel disciplinare la rogatoria attiva, individua quale possibile soggetto richiedente della attività di acquisizione probatoria il pubblico ministero, il quale, nel nostro ordinamento processuale, e' organo di indagine: conferma questa che la nozione di "attività di acquisizione probatoria", di cui all'art. 723 cod. proc. pen, deve essere intesa in senso ampio, comprendente anche l'attività di indagine.

3.-- Resta da chiarire se le norme internazionali, alle quali rimanda la legge di delegazione, siano violate per il fatto che l'esecuzione delle indagini richieste dalla autorità straniera sia affidata, dall'art. 723, comma 1, del codice di procedura penale, al giudice anzichè al pubblico ministero.

E' da osservare in proposito che dalla disciplina internazionale non discende alcun vincolo per gli Stati aderenti in ordine alla individuazione dell'organo competente, nei rispettivi ordinamenti, all'espletamento della rogatoria. L'art.3, comma 1, della convenzione di Strasburgo stabilisce infatti che "la Parte richiesta farà eseguire, nelle forme previste dalla propria legislazione, le rogatorie relative ad un procedimento penale che verranno a lei dirette dalle autorità giudiziarie della Parte richiedente che hanno per oggetto il compimento di atti istruttori o la trasmissione di corpi di reato, di fascicoli o di documenti".

Si versa, pertanto, in materia in cui la scelta degli organi competenti e delle "forme" processuali e' rimessa al diritto interno.

Attese le molteplici utilizzazioni che delle rogatorie possono darsi nei diversi ordinamenti, il legislatore italiano ha disposto, con valutazione che non appare irragionevole ne' contrastante con le garanzie della difesa, che tutte le attività di acquisizione probatoria siano compiute non dal pubblico ministero, che e' istituzionalmente parte nel processo penale italiano, ma dal giudice, che, per la sua posizione di terzietà, conferisce all'attività rogata il livello più elevato di affidamento che lo Stato sia in grado di assicurare.

Anche la scelta del legislatore delegato di attribuire alla Corte d'appello, competente a concedere l'exequatur, il potere di delegare le operazioni esecutive a un suo componente, o al locale giudice per le indagini preliminari, non appare irragionevole, poichè chiaramente ispirata all'esigenza di inquadrare in una competenza funzionale il compimento di atti che possono avere la natura più varia ed attenere a fasi o forme del procedimento estero non sempre agevolmente riconducibili agli schemi propri dell'ordinamento processuale italiano.

Si deve aggiungere che -- a mente dell'art. 725, comma 2, del codice di procedura penale -- l'attività in rogatoria deve essere svolta secondo le norme del nostro codice, e quindi nelle forme e con tutte le garanzie proprie, nel nostro ordinamento processuale, dei diversi atti da compiere.

Quanto all'ultimo profilo di censura, secondo il quale il giudice incaricato della esecuzione della rogatoria sarebbe lo stesso che, nel sistema del codice, sarà poi chiamato a decidere su conseguenti richieste di estradizione e ad applicare eventuali misure cautelari (con una asserita e non consentita sovrapposizione tra organo dell'indagine ed organo della decisione), esso e' irrilevante, non emergendo dagli atti che il rimettente versi nella situazione prospettata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 723, comma 1, e 725, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30/09/96.

Mauro FERRI, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in cancelleria il 08/10/96.