Sentenza n. 331 del 1996

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SENTENZA N.331

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 23, primo e secondo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319 (Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento), promossi con ordinanze emesse il 17 luglio 1995 (n. 2 ordinanze) dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Udine e l'8 novembre 1995 dal Pretore di Torino, rispettivamente iscritte ai nn. 589 e 590 del registro ordinanze 1995 e al n. 203 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1995 e n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Udito nella camera di consiglio del 12 giugno 1996 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto in fatto

1. -- Nel corso di due procedimenti penali nei confronti dei legali rappresentanti di società commerciali sottoposti ad indagini per avere attivato nuovi scarichi da insediamenti civili dopo avere chiesto l'autorizzazione, ma prima che questa fosse concessa, il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Udine, con due ordinanze di identico contenuto emesse il 17 luglio 1995 (reg. ord. nn. 589 e 590 del 1995), ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 23, primo comma, della legge 10 maggio 1976, n.319 (Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento).

La disposizione denunciata stabilisce che chiunque apre o comunque effettua nuovi scarichi, prima che l'autorizzazione da lui richiesta nelle forme prescritte sia stata concessa, e' punito con l'ammenda fino a lire cinque milioni.

Il giudice rimettente ritiene che la disposizione denunciata preveda come reato l'apertura o l'effettuazione di scarichi, anche se provenienti da insediamenti civili;

ciò determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla più grave ipotesi di apertura o effettuazione del medesimo scarico, ma senza che sia stata neppure chiesta la prescritta autorizzazione, fattispecie questa che costituisce solo illecito amministrativo sanzionato con pena pecuniaria (art. 21, ultimo comma, della stessa legge, aggiunto dall'art. 6, comma 2, del decreto-legge 17 marzo 1995, n. 79, convertito, con modificazioni, nella legge 17 maggio 1995, n. 172).

2. -- Nel corso di un procedimento penale nei confronti del responsabile della gestione di un impianto di depurazione di reflui fognari, sottoposto a giudizio per avere effettuato scarichi senza che l'autorizzazione richiesta fosse stata concessa, il Pretore di Torino, con ordinanza emessa l'8 novembre 1995 (reg. ord. n. 203 del 1996), ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, secondo comma, della legge n. 319 del 1976.

L'ordinanza di rimessione richiama la giurisprudenza costituzionale che considera una ingiustificata disparità di trattamento quella che deriva da un sistema normativo assolutamente squilibrato che, in presenza di condotte lesive di un identico bene, favorisce la posizione di chi ha posto in essere una condotta di maggiore gravità (sentenza n. 249 del 1993).

La disparità di trattamento si manifesterebbe, sotto il profilo sanzionatorio, tra la rilevanza penale attribuita ad un fatto di minore gravità (lo scarico da insediamenti civili o da pubbliche fognature effettuato quando la prescritta autorizzazione e' stata chiesta ma l'autorità amministrativa non si sia ancora pronunciata), e la configurazione come illecito amministrativo di una condotta palesemente più grave (lo stesso scarico effettuato senza che sia stata chiesta l'autorizzazione, o dopo che questa e' stata negata o revocata).

Considerato in diritto

1. -- I dubbi di legittimità costituzionale investono l'art. 23 della legge 10 maggio 1976, n. 319 (Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento), che configura (al primo comma) come reato, sanzionato con l'ammenda (fino a cinque milioni di lire), l'apertura o l'effettuazione di nuovi scarichi prima che l'autorizzazione, già chiesta nelle forme prescritte, sia stata concessa, e che prevede (al secondo comma) l'applicazione del primo (e del terzo) comma dell'art. 21 della stessa legge, quindi le sanzioni stabilite per l'effettuazione di scarichi senza che sia stata richiesta l'autorizzazione, se l'autorizzazione stessa non viene concessa.

I giudici rimettenti ritengono che la disposizione denunciata si applichi anche agli scarichi provenienti da insediamenti civili o da pubbliche fognature, per i quali si determinerebbe una palese disparità di trattamento rispetto all'apertura o all'effettuazione di scarichi dello stesso tipo senza che neppure sia stata chiesta l'autorizzazione.

Difatti, in quest'ultimo caso, a seguito del decreto-legge 17 marzo 1995, n. 79, convertito nella legge 17 maggio 1995, n. 172, il fatto non e' più previsto come reato, bensì come illecito amministrativo, sanzionato con una pena pecuniaria. Se ne deduce la violazione dell'art. 3 della Costituzione, perchè l'apertura di uno scarico, in attesa dell'autorizzazione già richiesta, costituirebbe con tutta evidenza una condotta meno grave, ma sanzionata più gravemente, di quella effettuata senza avere affatto chiesto la prescritta autorizzazione.

2. -- Le questioni investono la stessa disposizione e fanno riferimento al medesimo parametro di valutazione della legittimità costituzionale. I relativi giudizi, evidentemente connessi, vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3. -- Le questioni non sono fondate, nei sensi di seguito precisati.

L'art. 23 della legge n. 319 del 1976, stabilendo che chi apre o effettua nuovi scarichi prima che l'autorizzazione, chiesta nelle prescritte forme, sia stata concessa (con effetti diversi, disciplinati dal primo e dal secondo comma della stessa disposizione, a seconda che poi venga o meno concessa l'autorizzazione), configura un'ipotesi di reato complementare ed integrativa rispetto a quella prevista dall'art. 21, primo comma, della stessa legge, sul quale logicamente si innesta.

Difatti l'art. 21, primo comma, della legge n. 319 del 1976 considera reato l'apertura o l'effettuazione di nuovi scarichi senza avere richiesto la prescritta autorizzazione: fattispecie che non comprende l'effettuazione di scarichi dopo la presentazione della richiesta di autorizzazione. L'art. 23, primo comma, della stessa legge copre quest'ultima ipotesi, che altrimenti rimarrebbe priva di sanzione, colpendola con una sanzione egualmente di natura penale, ma tuttavia più lieve. Il rapporto che lega le due disposizioni e' reso evidente dal secondo comma dello stesso art. 23, che stabilisce l'applicabilità del primo (e terzo) comma dell'art. 21 se l'autorizzazione non viene concessa, facendo così rientrare lo scarico nella disciplina prevista per quelli effettuati senza avere richiesto la prescritta autorizzazione.

La previsione dell'art. 23 della legge n. 319 del 1976 segue pertanto le sorti, quanto alla individuazione dei tipi di scarico cui e' applicabile, di quella dell'art. 21 della stessa legge. Difatti in origine la giurisprudenza, ritenendo che le figure delineate dall'art. 21 si riferissero esclusivamente ai soli scarichi provenienti da insediamenti produttivi, escludeva gli scarichi provenienti da insediamenti civili e da pubbliche fognature anche dall'ambito di applicazione dell'art. 23. Così, dopo che, con le innovazioni normative introdotte con il decreto-legge 17 marzo 1995, n. 79, convertito nella legge 17 maggio 1995, n. 172 -- che ha superato una opposta interpretazione, affermatasi successivamente, nel senso della uniformità della disciplina per tutti gli scarichi --, si e' espressamente escluso che configuri reato l'attivazione o l'effettuazione di scarichi provenienti da insediamenti civili o da pubbliche fognature senza avere chiesto l'autorizzazione (ipotesi ora considerata illecito amministrativo sanzionato con pena pecuniaria), si deve in corrispondenza ritenere che le sanzioni penali previste dall'art. 23 riguardino esclusivamente gli scarichi provenienti da insediamenti produttivi.

E' dunque possibile una interpretazione della disposizione denunciata, coerente con il sistema e con le finalità della legge, che consente di escludere l'ipotizzata disparità di trattamento, giacche' l'art. 23 della legge n. 319 del 1976 non si riferisce agli scarichi provenienti da insediamenti civili o da pubbliche fognature. Questa interpretazione deve essere preferita in aderenza al canone che, in presenza di più letture possibili della disposizione, impone di seguire quella che consente di attribuire ad essa un significato conforme alla Costituzione (cfr., da ultimo, tra le molte, sentenza n. 98 del 1996).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 23, primo e secondo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319 (Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento), sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Udine e dal Pretore di Torino con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/07/96.

Mauro FERRI, Presidente                                      

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 30/07/96.