Sentenza n. 300 del 1996

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SENTENZA N. 300

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Dott. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 67 e seguenti del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43 (Istituzione del Servizio di riscossione dei tributi e di altre entrate dello Stato e di altri enti pubblici ai sensi dell'art. 1, comma 1, della legge 4 ottobre 1986, n. 657), degli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E (Legge sul contenzioso amministrativo), e dell'art. 700 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 25 luglio 1995 dal Giudice istruttore del Tribunale di Napoli sul ricorso proposto da Cantone Vincenzo contro il Ministero delle Finanze, iscritta al n. 811 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di costituzione di Cantone Vincenzo nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 luglio 1996 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

Ritenuto in fatto

1. -- Nel corso di un giudizio in cui era stata chiesta, ex art. 700 del codice di procedura civile, la sospensione dell'esecuzione di un'ingiunzione fiscale emessa dall'Ufficio doganale di Napoli, il Giudice istruttore del Tribunale di Napoli, con ordinanza emessa il 25 luglio 1995, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale degli artt. 67 e seguenti del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43 (Istituzione del Servizio di riscossione dei tributi e di altre entrate dello Stato e di altri enti pubblici ai sensi dell'art. 1, comma 1, della legge 4 ottobre 1986, n. 657), 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E (Legge sul contenzioso amministrativo), nonché dell'art. 700 del codice di procedura civile, nella parte in cui non consentono che il giudice ordinario, investito dell'opposizione a pretesa tributaria relativa alla riscossione d'imposta doganale, possa sospendere l'esecuzione ove dalla stessa possa derivare un pregiudizio imminente ed irreparabile.

Premette il rimettente che, a seguito dell'abrogazione disposta dall'art. 130 del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, l'ingiunzione relativa all'imposta doganale de qua è stata sostituita dalla riscossione tramite ruoli e che, pertanto, l'ingiunzione notificata al ricorrente nel giudizio a quo, adottata secondo il previgente schema normativo ex r.d. n. 639 del 1910, con il visto di esecutorietà del Pretore, è stata emessa senza alcun fondamento normativo.

In particolare, dall'ingiunzione de qua scaturirebbe "la possibilità giuridica" di dare attuazione all'intimazione ad adempiere secondo un iter procedurale non più legittimo, anche se il Ministero delle finanze e l'Avvocatura dello Stato sostengono, nel processo a quo, che l'ingiunzione stessa non varrebbe più come precetto prodromico dell'esecuzione, bensì solo come atto di accertamento e come titolo esecutivo. Secondo il rimettente, pur seguendo tale opinione, si finirebbe, in sostanza, per riconoscere, la carenza di potere dell'ingiunzione nella parte in cui contiene l'espressa comminatoria dell'esecuzione ai sensi del r.d. n. 639 del 1910: di talché non verrebbe comunque esclusa la possibilità giuridica di dare immediata attuazione all'intimazione ad adempiere secondo i termini e le modalità dell'iter procedurale non più legittimo, preannunciato espressamente nel titolo esecutivo impugnato.

Accertato altresì il presupposto del periculum in mora, in ragione anche dell'entità della somma, il giudice a quo osserva che l'accoglimento dell'istanza cautelare di sospensione risulterebbe impedito dal generale divieto di incidere sull'attività amministrativa posto dagli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248. Tale ostacolo concreterebbe il vulnus agli artt. 24 e 113 Cost., né potrebbe a riguardo richiamarsi la giurisprudenza costituzionale circa il potere di sospensione dell'esazione in passato attribuito all'intendente di finanza, previsto solo con riferimento alla riscossione tramite ruoli.

Peraltro - aggiunge il giudice a quo - anche a voler considerare tale possibilità come esistente (in quanto espressione del generale potere di autotutela della pubblica amministrazione), essa difetterebbe del carattere dell'esclusività, per la mancanza di un'espressa previsione normativa e, soprattutto, della necessaria imparzialità dell'organo decidente, sia quanto a valutazione dei presupposti (poiché l'intendente sarebbe chiamato a privilegiare l'interesse pubblico), sia quanto a discrezionalità nel fissare la durata della sospensione. Anche il controllo del giudice amministrativo, conseguente al rigetto o al silenzio-rifiuto circa la istanza di sospensione, risulterebbe limitato dalla impossibilità di valutare il fumus boni iuris. Siffatta valutazione incontrerebbe l'ostacolo del difetto di giurisdizione, avendo ad oggetto posizioni soggettive per le quali è prevista la giurisdizione esclusiva del giudice ordinario, di modo che - sempre secondo il giudice a quo - il tribunale amministrativo regionale non potrebbe estendere la sua indagine, neppure incidentalmente in via d'urgenza, a controversie la cui cognizione di merito è devoluta ad altra autorità giurisdizionale.

Ulteriore profilo d'illegittimità costituzionale scaturirebbe dalla mancata previsione per l'imposta de qua di una graduazione dell'esecuzione in pendenza di contenzioso, come per altri tributi (in relazione ai quali è altresì previsto il ben più incisivo potere di sospensione da parte delle commissioni tributarie). A riguardo il giudice istruttore richiama la sentenza di questa Corte n. 318 del 1995, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della preclusione per l'autorità giudiziaria ordinaria di sospendere l'esecuzione per i crediti non tributari.

2. -- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso per la non fondatezza della questione.

Osserva l'Avvocatura dello Stato che, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice a quo, il potere di sospensione dell'intendente di finanza permane nel caso in esame, in quanto espressione di un principio generale applicabile alla riscossione di tutti i tributi. La questione sarebbe pertanto riconducibile a quella già esaminata in numerose altre decisioni della Corte.

Quanto all'argomento concernente la non operatività, per l'imposta doganale, della regola della riscossione frazionata in pendenza di giudizio, rileva l'Avvocatura che tale possibilità non vi è per le controversie non connesse all'estimazione del quantum (imposte iscritte a ruolo a titolo definitivo, imposta principale di registro, imposta di successione).

Dopo aver osservato come la sentenza n. 318 del 1995 non sia stata richiamata a proposito, l'Avvocatura rileva che la norma del 1865 non influisce sui rapporti di diritto soggettivo: al giudice non è, in altri termini, precluso di conoscere con pienezza, anche emettendo provvedimenti cautelari, delle controversie patrimoniali, là dove la normativa tributaria si basa invece su esigenze di carattere finanziario.

3. -- La parte privata si è costituita fuori termine, depositando una memoria in cui argomenta in senso sotanzialmente analogo all'ordinanza di rimessione.

Considerato in diritto

1. -- Il giudice a quo dubita - in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost. - della legittimità costituzionale degli artt. 67 e seguenti del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, nonché dell'art. 700 del codice di procedura civile, nella parte in cui non consentirebbero al giudice ordinario di sospendere in via d'urgenza la riscossione d'imposta doganale, pur in presenza dei presupposti della richiesta tutela.

2. -- La questione è inammissibile.

2.1. -- Il rimettente, dopo aver constatato che l'ingiunzione oggetto dell'opposizione proposta davanti a lui, riproducente "lo schema del previgente sistema normativo con la espressa comminatoria dell'esecuzione a termine degli artt. 5 ss. del r.d. n. 639 del 1910 ed il visto di esecutorietà del Pretore, è stata emessa ... in mancanza di un fondamento normativo ..." denuncia, perché non consentirebbero la tutela d'urgenza avverso detta ingiunzione, norme contenenti previsioni del tutto estranee al tema. Norme, cioè, descrittive del sistema di riscossione mediante ruoli (artt. 67 e seguenti del d.P.R. n. 43 del 1988), enunciative dei limiti del potere dell'autorità giudiziaria ordinaria rispetto agli atti amministrativi (artt. 4 e 5 della legge sul contenzioso amministrativo) e, infine, conformative della tutela d'urgenza (art. 700 cod. proc. civ.); dunque non riconducibili al provvedimento oggetto del giudizio a quo.

La questione incidentale viene così sollevata facendo riferimento, non ad un normale schema funzionale - sul quale soltanto, così come occasionalmente concretizzantesi nella fattispecie oggetto del giudizio a quo, si può appuntare lo scrutinio di costituzionalità -, bensì ad una situazione patologica estranea al sistema offerto dalle norme denunciate e per ciò stesso insuscettibile di apprezzamento nella presente sede. Donde l'inammissibilità della questione medesima.

2.2. -- L'inammissibilità, d'altronde, sarebbe ravvisabile anche sotto il profilo del difetto di rilevanza, della quale il giudice a quo - sempre in ragione dello sviamento di prospettiva in cui, come sopra, è incorso - ha finito per dare una motivazione che si pone fuori del quadro normativo oggetto dei prospettati dubbi di costituzionalità e che, quindi, deve ritenersi non plausibile.

Egli, invero, ha individuato il fumus boni iuris necessario per la concessione della tutela richiestagli, con riguardo non già al merito del credito tributario fatto valere attraverso l'opposta ingiunzione, bensì al constatato difetto di presupposto normativo dell'ingiunzione medesima "nella parte in cui contiene l'espressa comminatoria dell'esecuzione ex r.d. n. 639 del 1910". Ed in relazione a ciò ha affermato la rilevanza della questione di costituzionalità, avendo di mira una pronuncia ex art. 700 cod. proc. civ. anticipatoria degli effetti della sentenza definitiva ricadenti su detta comminatoria.

Ma se allora tale pronuncia concerne nella specie soltanto questi ultimi effetti - che investono l'opposta ingiunzione unicamente con riguardo all'esecutorietà impressale dal visto del Pretore, con salvezza del suo valore di mera manifestazione della pretesa tributaria -, appare evidente che il giudice possa emetterla senza con ciò violare il divieto sancito dall'art. 4 della legge n. 2248 del 1865, sul quale fondamentalmente s'incentra il prospettato dubbio di costituzionalità. E, per quanto vale, giova qui rammentare che il potere di intervenire ex art. 700 cod. proc. civ., per l'elasticità del suo contenuto, consente al giudice di emettere il provvedimento che più gli appaia congruo al fine di assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito (v. sentenza n. 122 del 1970).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 67 e seguenti del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43 (Istituzione del Servizio di riscossione dei tributi e di altre entrate dello Stato e di altri enti pubblici ai sensi dell'art. 1, comma 1, della legge 4 ottobre 1986, n. 657), degli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E (Legge sul contenzioso amministrativo), e dell'art. 700 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, dal Giudice istruttore del Tribunale di Napoli, con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 23 luglio 1996.