Ordinanza n. 293 del 1996

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ORDINANZA N. 293

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2059 del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 13 giugno 1995 dal Tribunale di Bologna nel procedimento civile vertente tra Luzzi Flavio ed altra e Piredda Bruna ed altre, iscritta al n. 473 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 1996;

udito nella camera di consiglio del 10 luglio 1996 il Giudice relatore Luigi Mengoni.

RITENUTO che, nel corso di un giudizio civile promosso da Flavio Luzzi ed altra contro Bruna Piredda ed altre per il risarcimento dei danni a cose e alle persone cagionati da un incidente stradale, il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 13 giugno 1995, pervenuta a questa Corte il 29 aprile 1996, ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 32 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 cod.civ. "nella parte in cui esclude la risarcibilità del danno morale al di fuori di accertate ipotesi di reato";

che nel caso di specie, dovendosi applicare la presunzione del concorso di colpa prevista dall'art. 2054, secondo comma, cod.civ., non sussistono le condizioni richieste dall'art. 2059 per la risarcibilità del danno morale soggettivo;

che, ad avviso del giudice rimettente, "il danno morale (definito come "acuta sensazione di sofferenza più psichica che fisica, destinata comunque ad essere riassorbita in un periodo più o meno lungo, senza lasciare strascichi") altro non è che una sottospecie del danno biologico", inteso in senso ampio come alterazione dello standard psico-fisico del soggetto (con la sola esclusione delle attività finalizzate a produrre un reddito) comportante "un radicale peggioramento delle abitudini e delle condizioni di vita";

che pertanto, poiché le due figure di danno - entrambe comprese dalla sentenza n. 88 del 1979 di questa Corte nella categoria del danno non patrimoniale - non sono, nella loro essenza, diverse, anche il danno morale rientra nell'ambito di tutela dell'art. 32 Cost., il quale non consente "limiti e compressioni in base a una scelta discrezionale del legislatore ordinario, quale dal medesimo operata con l'art. 2059 cod.civ. nella parte in cui esclude la risarcibilità del danno morale al di fuori di accertate ipotesi di reato", sicché "l'applicazione dell'art. 2059 deve essere coordinata con l'esigenza di tutela dei diritti fondamentali, e così ampliata ricorrendo, per analogia iuris, alla ratio dell'art. 2043 cod.civ.".

CONSIDERATO che l'inclusione del danno alla salute nella categoria considerata dall'art. 2059 cod.civ. - in ragione della non valutabilità diretta in denaro, riconosciuta dalla sentenza n. 88 del 1979 di questa Corte e ribadita dalla sentenza n. 372 del 1994 - non significa identificazione col danno morale soggettivo, ma soltanto riconducibilità delle due figure, quali specie diverse, al genere del danno non patrimoniale, come intende chiaramente la prima sentenza là dove afferma che "l'ambito di applicazione degli artt. 2059 cod.civ. e 185 cod.pen. si estende (scil. oltre il danno morale) fino a ricomprendere ogni danno non suscettibile direttamente di valutazione economica, compreso quello alla salute";

che la premessa del giudice a quo, secondo cui il danno morale costituisce pur sempre una lesione della salute psico-fisica, è contraddetta da una indicazione costante della giurisprudenza di questa Corte nel senso della differenza di natura delle due specie di danno (cfr. sentenze n. 356 del 1991 e 37 del 1994): pure la sentenza più recente, n. 372 del 1994, non si è allontanata su questo punto dalla sentenza n. 184 del 1986, ma piuttosto vi ha apportato un'aggiunta con riguardo all'ipotesi particolare - già prefigurata nella precedente sentenza n. 37 del 1994 come problema a sé stante di ordine interpretativo - in cui il danno alla salute, sofferto da una persona in conseguenza della morte di un familiare cagionata dal fatto illecito penalmente rilevante di un terzo, è "il momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento dell'equilibrio psichico che sostanzia il danno morale soggettivo, e che in persone predisposte da particolari condizioni (debolezza cardiaca, fragilità nervosa, ecc.), anziché esaurirsi in un patema d'animo o in uno stato di angoscia transeunte, può degenerare in un trauma fisico o psichico permanente". In relazione a questa ipotesi di somatizzazione del danno morale, che delimitava la rilevanza dell'incidente di costituzionalità, la sentenza n. 372 non ha confuso il danno biologico col pretium doloris, ma ne ha parificato il trattamento giuridico sul presupposto della loro distinzione, nel senso (conforme alla sentenza n. 88 del 1979) che le conseguenze risarcibili in base agli elementi costitutivi del fatto-reato sanzionato dall'art. 185 cod.pen. si estendono a tutti i danni non patrimoniali da esso cagionati, compreso il danno alla salute, indipendentemente dal problema generale del coordinamento, in via di interpretazione, dell'art. 2059 cod.civ. con la diversa fattispecie dell'art. 2043 in ordine al danno biologico causato da un fatto illecito non qualificato come reato;

che pertanto il risarcimento del danno morale, non essendo assistito dalla garanzia dell'art. 32 Cost. (sentenza n. 37 del 1994 cit.), può essere discrezionalmente limitato dal legislatore a determinate ipotesi, come quelle sanzionate dall'art. 185 cod.pen., cui rinvia sotto questo aspetto l'art. 2059 cod.civ.;

che, conseguentemente, non è violato nemmeno l'art. 24 Cost., la tutela giurisdizionale dei diritti essendo garantita nei limiti del diritto sostanziale.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 32 della Costituzione, dal Tribunale di Bologna con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 luglio 1996.