Ordinanza n. 276 del 1996

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ORDINANZA N. 276

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 179 del codice penale (Condizioni per la riabilitazione), promossi con due ordinanze emesse il 18 aprile 1995 e il 21 marzo 1995 dal Tribunale di sorveglianza di Lecce nei procedimenti attivati da Schiavone Raffaele e Mastromarini Giovanni, iscritte ai nn. 686 e 687 del registro ordinanze 1995 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 giugno 1996 il Giudice relatore Valerio Onida.

RITENUTO che, con due ordinanze emesse rispettivamente il 21 marzo 1995 (R.O. n. 687 del 1995) e il 18 aprile 1995 (R.O. n. 686 del 1995), il Tribunale di sorveglianza di Lecce ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 179 del codice penale (Condizioni per la riabilitazione) "nella parte in cui prevede che il termine per proporre istanza di riabilitazione decorra dal giorno in cui la pena è stata eseguita senza distinguere tra pena detentiva e pena pecuniaria e senza dare rilevanza ai motivi per cui la pena non è stata tempestivamente eseguita";

che secondo il remittente le stesse considerazioni, che hanno a suo tempo condotto alla dichiarazione di incostituzionalità della norma che prevedeva la conversione della pena pecuniaria non pagata in pena detentiva (art. 136 cod. pen.), condurrebbero anche a dubitare della legittimità costituzionale della norma che fissa il termine per proporre istanza di riabilitazione con riferimento al giorno "in cui la pena principale sia stata eseguita", senza distinguere tra pena detentiva e pena pecuniaria e senza consentire la valutazione dei motivi della ritardata o mancata esecuzione;

che -- osserva il remittente -- a seguito della conversione delle pene pecuniarie non pagate in sanzioni sostitutive, e soprattutto dopo che l'art. 660, comma 3, del codice di procedura penale ha previsto la possibilità di rateizzare il pagamento della pena pecuniaria e di differirne la conversione, la completa esecuzione delle pene pecuniarie può verificarsi a notevole distanza di tempo dal momento in cui la sentenza di condanna è divenuta irrevocabile o il condannato ha finito di scontare la pena detentiva; e che per le pene eseguibili nel periodo intermedio fra la intervenuta dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 136 cod.pen. e l'entrata in vigore della legge 24 novembre 1981, n. 689 -- come accade nel caso cui si riferisce l'ordinanza n. 686 del 1995 -- l'esecuzione della pena pecuniaria e conseguentemente anche il termine per chiedere la riabilitazione potrebbero, secondo il remittente, essere ritardati all'infinito;

che, sempre secondo il remittente, la disparità di trattamento che deriverebbe dalle diverse condizioni economiche dei condannati non sarebbe giustificata né conforme all'art. 3 della Costituzione;

che nel giudizio promosso con l'ordinanza n. 687 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, manifestamente infondata;

che, in particolare, la questione sollevata sarebbe, a parere dell'interveniente, inammissibile per irrilevanza, in quanto, avendo la seconda delle due condanne applicato la norma sulla recidiva specifica, sarebbe applicabile, ai fini dell'istanza di riabilitazione, non già il termine ordinario quinquennale, bensì quello decennale previsto nei casi di recidiva specifica (art. 179, secondo comma, cod. pen.), termine nella specie non ancora decorso dalla data di irrevocabilità della seconda sentenza di condanna; sarebbe altresì inammissibile perché si chiederebbe, ai fini della individuazione del dies a quo, una pronuncia additiva in un ambito rimesso alla discrezionalità legislativa;

che la questione, sempre secondo l'interveniente, sarebbe comunque infondata poiché l'ordinamento tiene già conto delle condizioni economiche del condannato, sia ai fini della quantificazione della pena pecuniaria sia nella fase del pagamento, agevolandolo nella espiazione della pena, sicché il riconoscimento al condannato di ulteriori vantaggi non sarebbe giustificato né conforme al canone della ragionevolezza.

CONSIDERATO, preliminarmente, che i due giudizi, aventi identico oggetto, possono essere riuniti e decisi con unica pronuncia;

che la questione sollevata con l'ordinanza n. 687 deve dichiararsi manifestamente inammissibile per irrilevanza: infatti risulta dalla stessa ordinanza che il condannato era gravato da una seconda condanna con applicazione della norma sulla recidiva specifica (art. 99, secondo comma, cod. pen), dal cui passaggio in giudicato non era ancora decorso il termine decennale previsto dall'art. 179, secondo comma, cod. pen. per la proposizione dell'istanza di riabilitazione;

che la questione sollevata con l'ordinanza n. 686, relativa ad un caso di pena pecuniaria non soggetta a conversione perché applicata ad un reato commesso dopo la pronuncia di incostituzionalità dell'art. 136 cod. pen. (sentenza n. 131 del 1979) ma prima dell'entrata in vigore della legge n. 689 del 1981, appare manifestamente infondata perché è errata la premessa interpretativa da cui muove il giudice remittente: infatti l'art. 111, secondo comma, di tale legge prevede che la pena della multa inflitta per reati commessi prima dell'entrata in vigore della legge medesima si estingua col decorso del termine di dieci anni dalla predetta data o dal passaggio in giudicato della sentenza, se successivo; e dunque non è vero che l'esecuzione della pena -- e conseguentemente il termine per chiedere la riabilitazione -- possa essere ritardata all'infinito;

che, nel caso di mancata esecuzione della pena pecuniaria, la ritardata decorrenza del termine per chiedere la riabilitazione, in relazione al periodo di tempo necessario per l'estinzione della pena, non dà luogo ad una irragionevole disparità di trattamento rispetto al caso in cui la pena pecuniaria sia eseguita, corrispondendo ad una situazione obiettivamente diversa.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integra- tive per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

a) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 179 del codice penale sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Lecce con l'ordinanza R.O. n. 687 del 1995, indicata in epigrafe;

b) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 179 del codice penale sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Lecce con l'ordinanza R.O. n. 686 del 1995, indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 luglio 1996.