Sentenza n. 249 del 1996

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SENTENZA N. 249

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 31-bis, comma 3, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), introdotto dall'art. 9 del decreto-legge 3 aprile 1995, n. 101 (Norme urgenti in materia di lavori pubblici), convertito nella legge 2 giugno 1995, n. 216; dell'art. 1, comma 2, della legge 2 giugno 1995, n. 216 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 aprile 1995, n. 101, recante norme urgenti in materia di lavori pubblici); dell'art. 1, comma 2, della legge 29 marzo 1995, n. 95 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 gennaio 1995, n. 26, recante disposizioni urgenti per la ripresa delle attività imprenditoriali), promossi con ordinanze emesse il 2 agosto 1995 dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, il 29 giugno 1995 dal Tribunale amministrativo regionale della Puglia, II sezione di Lecce, il 16 e il 30 novembre 1995 dal Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna, rispettivamente iscritte ai nn. 779 del registro ordinanze 1995, 255 e 358 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 48, prima serie speciale, dell'anno 1995, 13, prima serie speciale, e 17, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visti gli atti di costituzione della Ambro Elettrica S.p.A. ed altre, e dell'azienda ospedaliera - Istituto Ortopedico "Gaetano Pini", nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 28 maggio 1996 il Giudice relatore Enzo Cheli;

uditi gli avvocati Aldo Bozzi per la Ambro Elettrica S.p.A., Giangaleazzo Bettoni per l'azienda ospedaliera - Istituto ortopedico "Gaetano Pini" e l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di tre giudizi per l'annullamento, previa sospensione, di altrettanti verbali di aggiudicazione di appalti da parte dell'azienda ospedaliera "Gaetano Pini" di Milano, il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia ha sollevato questioni di legittimità costituzionale: 1) dell'art. 9, comma 3, della legge 2 giugno 1995, n. 216 (recte, dell'art. 31-bis, comma 3, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, aggiunto dall'art. 9 del decreto-legge 3 aprile 1995, n. 101, convertito nella legge n. 216 del 1995), in riferimento agli artt. 24 e 113 della Costituzione; 2) dell'art. 1, comma 2, della stessa legge n. 216 del 1995, che fa salvi gli effetti prodotti in base all'art. 5 del decreto-legge 31 gennaio 1995, n. 26, soppresso dalla relativa legge di conversione 29 marzo 1995, n. 95, in riferimento all'art. 77, ultimo comma, della Costituzione; 3) "in via meramente subordinata" rispetto alla seconda questione, dell'art. 1, comma 2, della legge n. 95 del 1995, nella parte in cui, dopo aver disposto la soppressione dell'art. 5 del decreto-legge n. 26 del 1995, non prescrive l'obbligo di una verifica istruttoria delle offerte da ritenersi economicamente incongrue, in riferimento all'art. 97 della Costituzione (R.O. n. 779 del 1995).

La prima delle tre norme impugnate stabilisce che, nei giudizi amministrativi aventi ad oggetto controversie in materia di lavori pubblici in relazione ai quali sia stata presentata domanda di provvedimento d'urgenza, i controinteressati e l'amministrazione resistente possono chiedere che la questione venga decisa nel merito.

L'udienza fissata a tal fine deve avere luogo entro novanta giorni o, nel caso in cui l'istanza sia proposta all'udienza già fissata per la discussione del provvedimento d'urgenza, entro sessanta giorni.

Il Tribunale rimettente espone che in tutti e tre i giudizi l'amministrazione resistente si è costituita, chiedendo la reiezione delle domande dei ricorrenti ed avanzando istanze di immediata fissazione dell'udienza di merito ai sensi della norma impugnata. Il giudice ha accolto temporaneamente le istanze di sospensione dei provvedimenti impugnati, con espressa riserva di riesame dopo la definizione delle questioni di costituzionalità.

Il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia interpreta la norma nel senso che la presentazione dell'istanza di trattazione della causa nel merito preclude al giudice la possibilità di sospendere gli effetti del provvedimento impugnato, restando ogni ulteriore esercizio della funzione giurisdizionale assorbito nella sollecita trattazione nel merito. Ciò, ad avviso del giudice, sarebbe coerente con l'intenzione del legislatore di impedire pronunce cautelari capaci di ritardare indefinitamente la realizzazione dell'opera pubblica, ma comporterebbe dubbi sulla legittimità costituzionale della norma. Infatti, anche nel pieno rispetto dei tempi stabiliti dalla legge, al termine stabilito si aggiungerebbe comunque il tempo necessario per il deposito della sentenza. Potrebbe dunque verificarsi l'eventualità della realizzazione dell'opera prima della conclusione del processo, soprattutto per gli appalti di modesta entità, come quelli oggetto dei giudizi in corso davanti al Tribunale amministrativo regionale rimettente. Di conseguenza l'art. 31-bis in parola, determinando tempi processuali non facilmente gestibili e comunque superiori a quelli ipotizzati dal legislatore, sarebbe in contrasto con gli artt. 24 e 113 della Costituzione, rendendo la tutela "meramente nominale e fittizia", senza che l'eventuale azione di risarcimento davanti al giudice ordinario sia sufficiente ad apprestare un'adeguata garanzia.

La seconda questione riguarda la norma che fa salvi gli effetti prodotti in base all'art. 5 del decreto-legge n. 26 del 1995 - soppresso dalla relativa legge di conversione n. 95 del 1995 -, che conteneva tra l'altro, al comma 8, una disciplina delle offerte anomale negli appalti di lavori pubblici di importo inferiore alla soglia comunitaria, consentendo alle amministrazioni di prevedere nei bandi e negli avvisi di gara l'esclusione automatica delle offerte che presentassero una percentuale di ribasso superiore ad un limite stabilito. La norma impugnata è contenuta nella legge di conversione del successivo decreto-legge n. 101 del 1995, che, tra l'altro, disciplina diversamente, anche in via transitoria, le offerte anormalmente basse.

Il giudice a quo, premesso che motivo dei ricorsi, nei giudizi a quibus, è la mancata applicazione, da parte dell'amministrazione in sede di aggiudicazione, della disciplina delle offerte anomale, dubita della legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, della legge n. 216 del 1995, in riferimento all'art. 77, ultimo comma, della Costituzione, avendo esso fatto salvi gli effetti prodotti da una norma contenuta in un precedente decreto-legge, dopo che questa aveva perduto efficacia fin dall'origine e dopo che era mancata ogni diversa disciplina transitoria da parte del legislatore in sede di conversione.

"In via meramente subordinata" rispetto all'anzidetta questione, il giudice a quo dubita, infine, della legittimità dell'art. 1, comma 2, della legge n. 95 del 1995 (norma che fa salvi gli effetti dei precedenti decreti-legge) nella parte in cui, essendo stata disposta la soppressione dell'art. 5 del decreto-legge n. 26 del 1995, non prescrive l'obbligo di una verifica istruttoria delle offerte da ritenersi economicamente incongrue, in riferimento all'art. 97 della Costituzione.

Alle procedure in itinere al momento della conversione del decreto-legge n. 26 del 1995 (e della soppressione del suddetto art. 5, comma 8) - rileva il giudice - non è applicabile la disciplina delle offerte anormalmente basse ivi contenuta, né quella posta dal successivo decreto-legge n. 101 del 1995: sarebbe, dunque, violato il principio del buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione, mancando ogni possibilità di riscontro della serietà e dell'affidabilità delle offerte più basse presentate.

1.1.- Si sono costituite le parti ricorrenti dei giudizi in corso davanti al Tribunale amministrativo, chiedendo la dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 9, comma 3, del decreto-legge n. 101 del 1995 (recte, dell'art. 31-bis della legge n. 109 del 1994) e di inammissibilità e/o infondatezza delle altre due questioni.

Con riferimento alla prima questione, si osserva che la norma impugnata non dispone nulla per conservare lo status quo e rendere effettiva la tutela offerta dalla successiva pronuncia di merito; essa si limiterebbe a precludere l'esame dell'istanza cautelare a fronte della previsione di un termine meramente acceleratorio, privo di sanzione nelle prevedibili ipotesi di inosservanza.

La seconda questione sarebbe irrilevante per il giudizio a quo perché il rispetto della disciplina dell'esclusione automatica delle offerte anormalmente basse si imponeva all'amministrazione non già in forza della norma impugnata, bensì in forza, per un verso, dell'art. 1, comma 6, del decreto-legge n. 101 del 1995 (che ha posto la regola tempus regit actum), per un altro verso, della nuova disciplina delle offerte anormalmente basse contenuta nell'art. 7, comma 1, lettera b), dello stesso decreto-legge. La questione sarebbe comunque infondata, sia perché una disciplina delle offerte anomale vi è sempre stata, sia perché l'art. 77 della Costituzione non impone al legislatore di regolare i rapporti giuridici sorti in base ai decreti-legge non convertiti contestualmente al rifiuto di conversione, essendo sempre possibile - quando non vietata da altre disposizioni costituzionali - la disciplina retroattiva dei rapporti giuridici sorti in base a decreti non convertiti.

Non essendovi state interruzioni nella disciplina, sarebbe inammissibile e comunque infondata anche la terza questione.

Nell'imminenza dell'udienza, le imprese ricorrenti hanno presentato una memoria, nella quale insistono sulle conclusioni già proposte nell'atto di costituzione.

1.2.- Si è costituita anche l'amministrazione resistente nei giudizi a quibus, per chiedere alla Corte di dichiarare, in via preliminare, inammissibili le questioni di legittimità costituzionale e, nel merito, la infondatezza delle questioni medesime.

La prima questione sarebbe irrilevante per i giudizi a quibus, in quanto si fonderebbe su un'interpretazione errata della norma: questa non escluderebbe la tutela cautelare, ma prevederebbe una riduzione dei tempi per la decisione nel merito. La questione sarebbe comunque infondata, essendo la norma coerente con il diritto comunitario, che richiede la rapidità della tutela giurisdizionale in materia (direttiva 89/665/Cee).

La seconda e la terza questione sarebbero irrilevanti, attinendo alla definizione del processo di merito e non di quello cautelare. Esse sarebbero altresì infondate.

1.3.- E' intervenuto nel giudizio davanti alla Corte il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, per chiedere che le questioni siano dichiarate non fondate.

Per quanto riguarda la questione relativa all'art. 31-bis della legge n. 109 del 1994, si rileva che appare preferibile l'interpretazione secondo la quale la proposizione dell'istanza di trattazione della causa nel merito non elimina la potestas iudicandi sulla domanda cautelare. Da un lato, infatti, seguendo l'interpretazione del Tribunale amministrativo, in tale istanza dovrebbe ravvisarsi una causa di inammissibilità sopravvenuta o di improcedibilità della domanda cautelare: tale, cioè, da produrre effetti che di regola il diritto processuale riserva ai soli casi espressamente previsti da una norma. Dall'altro lato, la diversa lettura proposta sarebbe compatibile con la ratio della norma: la quale mira ad attenuare l'esigenza dell'anticipazione cautelare degli effetti della sentenza e ad evitare una prolungata situazione di stallo derivante dalla sospensione del provvedimento, attraverso la concentrazione della fase cautelare e della fase di merito. Deve peraltro ritenersi, prosegue l'Avvocatura, che - una volta che la legge assegna un termine certo e sufficientemente breve per la conclusione del giudizio di merito - la sospensione del provvedimento dovrà essere accordata solo nei casi in cui il danno grave e irreparabile possa verificarsi prima dell'udienza di merito fissata nei termini stabiliti.

Premessa la difficoltà di individuare un collegamento tra le altre due questioni che possa spiegare la subordinazione prospettata dal giudice rimettente, la difesa dello Stato si sofferma su quella relativa all'art. 1, comma 2, della legge n. 216 del 1995 che, a giudizio dell'Avvocatura, è infondata. Si rileva al riguardo che, in una vicenda normativa così peculiare come quella in esame, ben poteva il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, intervenire con legge per regolare gli effetti prodottisi in base ad una norma soppressa in sede di conversione del relativo decreto-legge.

2.- Nel corso di un giudizio per l'annullamento, previa sospensione, del verbale dell'Amministrazione provinciale di Brindisi di aggiudicazione di un appalto, il Tribunale amministrativo regionale della Puglia, II sezione di Lecce, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 31-bis, comma 3, della legge n. 109 del 1994, in riferimento agli artt. 3, 97, 24 e 113 della Costituzione (R.O. n. 255 del 1996).

Il Tribunale rimettente premette che nel giudizio a quo l'impresa controinteressata ha chiesto, ai sensi dell'art. 31-bis, comma 3, che l'istanza cautelare fosse trattata unitamente al merito, nonché che il Presidente della Sezione ha ritenuto di sottoporre la richiesta al collegio il quale, all'esito della camera di consiglio fissata per la trattazione dell'istanza cautelare, ha sollevato la questione di costituzionalità in oggetto.

Anche il Tribunale amministrativo regionale della Puglia, come il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, ritiene che la norma impugnata attribuisca all'amministrazione resistente ed ai controinteressati un potere inibitorio in ordine alla trattazione dell'istanza cautelare (la quale potrebbe essere conosciuta, forse, solo unitamente al merito). Il giudice a quo, pur apprezzando l'obiettivo di conciliare le esigenze di tutela del ricorrente e di celerità nella realizzazione dei lavori pubblici e nella definizione delle controversie, ritiene incostituzionale l'esclusione della tutela cautelare: soprattutto ove si consideri che, nell'arco di tempo necessario per la trattazione della causa in udienza, la concreta utilità a cui tende il ricorrente potrebbe risultare pregiudicata. Ciò potrebbe avvenire in particolare quando - come nel caso all'esame del rimettente - la controversia riguardi l'aggiudicazione dell'appalto per un'opera da realizzare in tempi brevi, inferiori a quelli occorrenti per la definizione del giudizio nel merito.

Il giudice rimettente è consapevole che la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato, specificamente in materia tributaria, che la tutela cautelare non costituisce una componente essenziale della tutela giurisdizionale e, pertanto, non è imposta dagli artt. 24 e 113 della Costituzione con carattere di generalità. Rileva, peraltro, che in altre occasioni, che ritiene più rilevanti per il caso in esame, la Corte si è pronunciata nel senso della necessaria attribuzione, all'organo titolare del potere di annullamento dell'atto impugnato, del potere di sospenderne l'efficacia, nonché nel senso dell'illegittimità dell'irragionevole esclusione della tutela cautelare con riguardo a determinate categorie di atti amministrativi o al tipo di vizio denunciato.

La norma sarebbe, dunque, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto l'indicata esigenza di accelerazione non sarebbe sufficiente a giustificare una ridotta tutela giurisdizionale, tenuto conto che il connotato dell'urgenza caratterizza, anche al di fuori della materia dei lavori pubblici, una vasta gamma di provvedimenti amministrativi.

In secondo luogo, la norma violerebbe gli artt. 24 e 113 della Costituzione, in quanto l'impossibilità di accedere a provvedimenti cautelari può comportare la definitiva perdita del bene a cui il ricorrente aspira, senza che sia ipotizzabile una reintegrazione della sua posizione giuridica attraverso il risarcimento del danno subito. A quest'ultimo riguardo, il giudice a quo ricorda che l'ordinamento prevede il risarcimento del danno, in materia di appalti pubblici di lavori o di forniture, solo in relazione a lesioni causate da atti compiuti in violazione del diritto comunitario o delle relative norme di recepimento (art. 13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142), mentre l'analoga previsione, contenuta originariamente nell'art. 32 della legge n. 109 del 1994 (e relativa alle lesioni derivanti da atti compiuti in violazione della stessa legge e del relativo regolamento), è stata eliminata ad opera dell'art. 9-bis del decreto-legge n. 101 del 1995.

Infine, la norma sarebbe in contrasto con l'art. 97 della Costituzione, sotto il profilo del buon andamento dell'amministrazione, in quanto la scelta di privilegiare comunque la più celere realizzazione dei lavori pubblici, con esclusione della tutela cautelare, fa venir meno un controllo che potrebbe evitare alle amministrazioni di incorrere in illegittimità immediatamente rilevabili e nelle loro conseguenze economiche negative.

2.1.- Nel giudizio davanti alla Corte ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata non fondata.

L'Avvocatura osserva innanzitutto che, anche accogliendo l'interpretazione della norma data dal giudice a quo, il principio dell'effettività della tutela giurisdizionale sarebbe comunque rispettato, in quanto la norma non esclude una trattazione della misura cautelare unitamente al merito in tempi accelerati. In secondo luogo, l'interpretazione data dal Tribunale amministrativo non sarebbe condivisibile: la disposizione impugnata, infatti, non escluderebbe in alcun modo che, prima dell'udienza fissata per il merito in seguito all'istanza dei controinteressati o dell'amministrazione, venga adottato il provvedimento cautelare.

3.- Nel corso di un giudizio per l'annullamento, previa sospensione, del provvedimento, nonché degli atti connessi, con cui è stata annullata da parte dell'Azienda municipalizzata Gas Acqua di Ravenna l'aggiudicazione provvisoria di un appalto a favore dell'impresa Mortellaro, con conseguente aggiudicazione ad altra impresa, il Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna, sede di Bologna, nella fase del reclamo avverso il decreto presidenziale che aveva dichiarato improcedibile la domanda cautelare - essendo stata presentata dalla parte controinteressata, ai sensi della norma in questione, istanza di decisione nel merito senza anticipato esame della misura cautelare - ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 31-bis, comma 3, della legge n. 109 del 1994, in riferimento agli artt. 3, 97, 24 e 113 della Costituzione (R.O. n. 358 del 1996).

Il Tribunale amministrativo, premesso di fare propria la tesi, secondo la quale l'art. 31-bis deve essere interpretato nel senso di consentire la facoltà di "permutare" la trattazione cautelare con la trattazione del merito a breve, aggiunge che la finalità della norma sarebbe quella di determinare non solo l'accelerazione delle controversie in materia di lavori pubblici, ma anche l'ultimazione dei lavori senza intralci ed interruzioni che non derivino dal sicuro riconoscimento dell'illegittimità dell'operato dell'amministrazione.

D'altra parte - prosegue l'ordinanza di rimessione, richiamando quella del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, di cui si è riferito - la soluzione prescelta può tradursi in una definitiva ed irreversibile lesione degli interessi del ricorrente, consentendo la realizzazione dell'opera nel corso del processo. E se è vero che la tutela cautelare non è di per sé costituzionalizzata, essa deve però ritenersi coessenziale alla giurisdizione amministrativa di annullamento, per la quale non vale il meccanismo, proprio di altre giurisdizioni, della sicura reintegrazione successiva del diritto violato. Né un'adeguata garanzia potrebbe essere prestata dalla possibilità di ottenere il risarcimento del danno: sia perché tale risarcimento è sempre qualcosa di diverso e secondario rispetto al vantaggio auspicato, sia perché - considerando che il risarcimento del danno in materia di appalti di lavori pubblici è previsto per le sole violazioni del diritto comunitario e delle norme interne di recepimento - esso potrebbe anche essere negato per gli appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria. Da questo punto di vista, la norma impugnata sarebbe anche in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, applicandosi ugualmente agli appalti di importo superiore e inferiore a tale soglia, ma con effetti più gravi nel secondo caso.

Infine, la norma impugnata sarebbe in contrasto con l'art. 97 della Costituzione, obbligando l'amministrazione a soggiacere all'iniziativa del controinteressato, anche quando motivi di opportunità indurrebbero a preferire il vaglio del giudice amministrativo piuttosto che prendere comunque un rischio, o dell'esecuzione di un atto sub judice o dell'intervento in autotutela sull'atto stesso.

3.1.- Nel giudizio davanti alla Corte ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato. La difesa statale, rilevato che la questione è analoga a quella già sollevata dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, conferma integralmente le deduzioni e le conclusioni contenute nell'atto di intervento nel relativo giudizio.

Considerato in diritto

1.- Tutte le ordinanze di rimessione sollevano questione di legittimità costituzionale dell'art. 31-bis, comma 3, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, aggiunto dall'art. 9 del decreto-legge 3 aprile 1995, n. 101, convertito con la legge 2 giugno 1995, n. 216: i giudizi vanno pertanto riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

Soltanto l'ordinanza n. 779 del 1995 del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia solleva, anche, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, della legge n. 216 del 1995, nonché, "in via meramente subordinata" rispetto a tale questione, dell'art. 1, comma 2, della legge 29 marzo 1995, n. 95, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 31 gennaio 1995, n. 26.

2.- L'art. 31-bis, comma 3, della legge n. 109 del 1994 prevede che, nei giudizi amministrativi in materia di lavori pubblici nei quali sia stata chiesta la sospensione del provvedimento impugnato, i controinteressati e l'amministrazione resistente possono chiedere che la questione venga decisa nel merito. L'udienza fissata a tal fine deve aver luogo entro novanta giorni o, nel caso in cui l'istanza sia proposta all'udienza già fissata per la discussione del provvedimento d'urgenza, entro sessanta giorni.

Tutte le ordinanze di rimessione muovono dal presupposto che, ai sensi della norma impugnata, la presentazione dell'istanza di decisione della questione nel merito precluda l'esame dell'istanza cautelare, privando il giudice amministrativo del potere di sospendere l'efficacia del provvedimento impugnato, e su tale premessa interpretativa fondano tre diverse censure di costituzionalità.

In primo luogo, l'art. 31-bis, comma 3, sarebbe in contrasto con gli artt. 24 e 113 della Costituzione, perché l'impossibilità di accedere a provvedimenti cautelari, potendo comportare la definitiva perdita del bene a cui il ricorrente aspira, pregiudicherebbe la stessa effettività della tutela giurisdizionale.

In secondo luogo, sarebbe violato l'art. 3 della Costituzione, sotto due distinti profili: a) in quanto l'esigenza di accelerazione dei giudizi, non sufficiente a giustificare una ridotta tutela giurisdizionale, sarebbe presente, anche al di fuori della materia dei lavori pubblici, in una vasta gamma di provvedimenti amministrativi; b) in quanto, applicandosi ugualmente agli appalti di importo superiore e a quelli di importo inferiore alla soglia comunitaria, determinerebbe effetti più gravi nel caso dei secondi, non essendo per essi previsto il risarcimento del danno.

Infine, risulterebbe violato anche l'art. 97 della Costituzione, sotto due distinti profili: a) in quanto la scelta di privilegiare la più celere realizzazione dei lavori pubblici, con esclusione della tutela cautelare, farebbe venir meno un controllo che potrebbe evitare alle amministrazioni di incorrere in illegittimità immediata-mente rilevabili e nelle loro conseguenze economiche negative; b) in quanto l'amministrazione è obbligata a soggiacere all'iniziativa del controinteressato, anche quando motivi di opportunità indurrebbero a preferire il vaglio del giudice amministrativo.

2.1.- La questione non è fondata nei termini di seguito precisati.

L'interpretazione della norma impugnata, che tutte le censure presuppongono, in base alla quale la richiesta che la causa venga decisa nel merito paralizzerebbe il procedimento cautelare, non può essere condivisa.

Innanzitutto, dalle stesse ordinanze di rimessione emerge che la tesi interpretativa prospettata dai giudici a quibus non è, come messo in rilievo dall'Avvocatura dello Stato, l'unica possibile. Si consideri, a questo proposito, la prospettazione - sia pure dubitativa - del Tribunale amministrativo regionale della Puglia, secondo il quale l'istanza cautelare potrebbe essere conosciuta solo unitamente al merito, nonché la circostanza che il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia ha accolto temporaneamente le istanze di sospensione dei provvedimenti impugnati, anche se con espressa riserva di riesame dopo la definizione del giudizio di costituzionalità. Degno di nota è, inoltre, il fatto che, in fase di primissima applicazione, altri Tribunali amministrativi hanno ritenuto che la proposizione dell'istanza di fissazione accelerata del merito non impedisse lo svolgimento del procedimento cautelare e la decisione sulle istanze di sospensione proposte.

E invero, dallo stesso contesto dell'art. 31-bis è agevole trarre l'interpretazione opposta, secondo la quale la presentazione dell'istanza di cui all'art. 31-bis, comma 3, non elimina il potere cautelare del giudice, che può pur sempre sospendere il provvedimento impugnato in presenza dei presupposti di legge.

L'art. 31-bis contiene, infatti, due disposizioni (commi 2 e 3) che attengono al processo amministrativo in materia di lavori pubblici: entrambe individuano termini brevi per la trattazione del merito, ma solo una (comma 2) fa esplicito riferimento all'esito della fase cautelare. Mentre il comma 3 - che riguarda tutti i giudizi amministrativi aventi per oggetto controversie in materia di lavori pubblici, per i quali sia stata proposta istanza cautelare - richiama solo la facoltà per l'amministrazione e per i controinteressati di chiedere l'urgente fissazione del merito e nulla dice sull'esito del procedimento cautelare avviato, il comma 2 - che riguarda specificamente i ricorsi giurisdizionali proposti avverso provvedimenti di esclusione dalle procedure di affidamento di lavori pubblici - prevede che il merito deve essere discusso con urgenza ove, invece, sia stata accolta l'istanza di sospensione.

Il rapporto di specialità che sicuramente intercorre tra le due fattispecie di cui ai commi 3 e 2 - rientrando l'esclusione dalle procedure di affidamento di lavori pubblici nella più ampia categoria delle controversie in materia di lavori pubblici - impone di interpretare i due commi nel senso di rendere compatibile la differente regolamentazione posta tra le due categorie di controversie. Nell'ipotesi regolata dal comma 2, l'abbreviazione dei termini è prevista nel caso di esito positivo dell'istanza cautelare, prescindendo dalla valutazione delle parti. Per il resto, ove sia stata presentata istanza cautelare - così come previsto dal comma 3 - l'amministrazione e i controinteressati hanno facoltà di chiedere la trattazione urgente del merito, ma questo non deve escludere che il giudice sia comunque tenuto a pronunciarsi sulla domanda di sospensione del provvedimento impugnato, e, ove sussistano le condizioni di legge, a concederla. All'interpretazione qui accolta conduce anche la circostanza che sull'istanza di trattazione urgente del merito il Presidente decide, ove si pronunci fuori della Camera di consiglio eventualmente convocata per la sospensiva, inaudita altera parte, senza che sia prevista un'opposizione del ricorrente contro una determinazione che - come ritengono i giudici a quibus - potrebbe pregiudicare irrimediabilmente il suo diritto.

Tale interpretazione - oltre a trovare conforto nei lavori parlamentari, nei quali si parla espressamente di "norme accelerative" - risulta, d'altro canto, pienamente rispettosa di quanto ribadito in più occasioni dalla giurisprudenza di questa Corte: che la disponibilità delle misure cautelari è strumentale all'effettività della tutela giurisdizionale e costituisce espressione del principio per cui la durata del processo non deve andare a danno dell'attore che ha ragione, in attuazione dell'art. 24 della Costituzione (sentenze n. 253 del 1994 e n. 190 del 1985). Si aggiunga che, con riferimento particolare alla giurisdizione amministrativa, basata sull'annullamento degli atti illegittimi, la Corte ha, da tempo, posto in luce il carattere essenziale della procedura cautelare e l'intima compenetrazione della stessa con il processo di merito, dichiarando illegittima l'esclusione o la limitazione del potere cautelare con riguardo a determinate categorie di atti amministrativi o al tipo di vizio denunciato (sentenze n. 227 del 1975 e n. 284 del 1974).

Infine, non va trascurato che l'interpretazione esposta appare rispettosa anche delle norme comunitarie relative alle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici al di sopra della soglia comunitaria. La direttiva del Consiglio n. 665/89, all'art. 2, fa, infatti, carico agli Stati membri di disciplinare i ricorsi in questione attribuendo alle relative autorità il potere di "prendere con la massima sollecitudine e con procedura d'urgenza provvedimenti provvisori intesi a riparare la violazione o impedire che altri danni siano causati agli interessi coinvolti, compresi i provvedimenti intesi a sospendere o a far sospendere la procedura di aggiudicazione pubblica di un appalto o l'esecuzione di qualsiasi decisione presa dalle autorità aggiudicatrici".

Alla luce dell'interpretazione adottata i diversi profili d'illegittimità prospettati vanno, pertanto, dichiarati infondati.

3.- L'art. 1, comma 2, della legge, n. 216 del 1995, di conversione del decreto-legge n. 101 del 1995, prevede la salvezza degli atti e dei provvedimenti adottati, nonché degli effetti prodottisi e dei rapporti giuridici sorti sulla base dell'art. 5 del decreto-legge n. 26 del 1995, soppresso dalla relativa legge di conversione n. 95 del 1995, che conteneva tra l'altro, al comma 8, una disciplina delle offerte anomale negli appalti di lavori pubblici di importo inferiore alla soglia comunitaria, consentendo alle amministrazioni di prevedere nei bandi e negli avvisi di gara l'esclusione automatica delle offerte che presentassero una percentuale di ribasso superiore ad un limite stabilito. Il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, premesso che nei giudizi a quibus si discute intorno all'applicazione della disciplina delle offerte anomale, sostiene che la norma sarebbe in contrasto con l'art. 77, ultimo comma, della Costituzione, avendo fatto salvi gli effetti prodotti da una norma contenuta nel precedente decreto-legge n. 26 del 1995, dopo che questa aveva perduto efficacia fin dall'origine e senza che fosse stata introdotta una diversa disciplina transitoria da parte del legislatore in sede di conversione.

3.1.- Va preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilità sollevata dalle parti ricorrenti secondo la quale la questione sarebbe irrilevante per i giudizi in corso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, in quanto l'illegittimità degli atti impugnati in tali giudizi deriverebbe comunque dalla violazione dell'art. 1, comma 6, del decreto-legge n. 101 del 1995, che ha posto la regola tempus regit actum, e dell'art. 7, comma 1, lettera b), dello stesso decreto-legge, che contiene una nuova disciplina delle offerte anomale.

L'art. 1, comma 6, del decreto-legge n. 101 del 1995, come modificato dalla legge di conversione n. 216 del 1995, stabilisce, in via generale, che ai bandi e agli avvisi pubblicati tra l'entrata in vigore della legge n. 109 del 1994 e l'entrata in vigore della stessa legge n. 216, nonché alle aggiudicazioni ed agli affidamenti intervenuti entro gli stessi termini, si applicano le disposizioni vigenti al momento dell'adozione dei rispettivi provvedimenti. L'effetto di questa disposizione è quello di determinare la reviviscenza delle norme all'epoca vigenti, con riferimento agli atti specificamente indicati. Ai fini del presente giudizio la disposizione in questione fa rivivere l'art. 5 del decreto-legge n. 26 del 1995, della cui mancata applicazione si dibatte nei giudizi a quibus, incontestabilmente vigente al momento della pubblicazione del bando di gara. In sostanza, indipendentemente dalla salvezza degli atti e dei provvedimenti adottati, nonché degli effetti prodottisi e dei rapporti giuridici sorti sulla base dell'art. 5 del decreto-legge n. 26 del 1995, operata dall'art. 1, comma 2, della legge n. 216 del 1995, oggetto della questione di costituzionalità, il citato articolo 5 trova applicazione nei giudizi a quibus, essendo stato fatto rivivere, per determinati atti, dall'art. 1, comma 6, del decreto-legge n. 101 del 1995.

La norma impugnata non può, pertanto, ritenersi rilevante ai fini della decisione del caso all'esame del giudice rimettente e la questione va, di conseguenza, dichiarata inammissibile.

4.- L'art. 1, comma 2, della legge n. 95 del 1995, di conversione del decreto-legge n. 26 del 1995, fa salvi gli effetti prodotti dalla catena dei precedenti decreti-legge. Il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, "in via meramente subordinata" rispetto alla precedente questione di costituzionalità esaminata, dubita, con riferimento all'art. 97 della Costituzione, della legitti-mità costituzionale di tale norma nella parte in cui, essendo stata disposta dalla legge n. 95 del 1995 la soppressione dell'art. 5 del decreto-legge n. 26 del 1995, non prescrive l'obbligo di una verifica istruttoria delle offerte da ritenersi economicamente incongrue.

Tale questione - in quanto collegata da un rapporto di conseguenzialità logica con la precedente - deve ritenersi assorbita dalla dichiarazione di inammissibilità della questione relativa all'art. 1, comma 2, della legge n. 216 del 1995.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 31-bis, comma 3, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), aggiunto dall'art. 9 del decreto-legge 3 aprile 1995, n. 101, convertito con la legge 2 giugno 1995, n. 216, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione, dai Tribunali amministrativi regionali della Lombardia, della Puglia, II sezione di Lecce, e dell'Emilia Romagna con le ordinanze indicate in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, della legge 2 giugno 1995, n. 216 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 aprile 1995, n. 101, recante norme urgenti in materia di lavori pubblici), sollevata, in riferimento all'art. 77, ultimo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1996.