Ordinanza n. 246 del 1996

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ORDINANZA N. 246

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5, commi 3 e 6, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti) promosso con ordinanza emessa il 10 maggio 1995 dal Pretore di Ancona sull'istanza proposta da Laghfiri Rachid iscritta al n. 805 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministi;

udito nella camera di consiglio del 12 giugno 1996 il Giudice relatore Renato Granata.

RITENUTO che il Pretore di Ancona - in un procedimento di ammissione al gratuito patrocinio promosso da un cittadino del Marocco (nei cui confronti era stata emessa sentenza di applicazione della pena ex art. 444 del codice di procedura penale, poi revocata per sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma incriminatrice) - ha sollevato, con ordinanza del 10 maggio 1995, questione incidentale di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 3 e 6 dell'art. 5 della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), nella parte in cui impone al giudice di revocare il provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio dello straniero, ove manchi l'attestazione dell'autorità consolare sulla veridicità dell'autodichiarazione di non abbienza del richiedente "anche quando tale mancanza sia dovuta all'assenza fisica dell'imputato nel procedimento penale, come nel caso del latitante o dell'irreperibile";

che, in particolare, il giudice a quo ritiene detta normativa in contrasto con l'art. 24 e con l'art. 10 della Costituzione in relazione all'art. 49 della "Convenzione di reciproco aiuto giudiziario fra l'Italia e il Marocco" (conclusa a Roma il 12 febbraio 1971 e ratificata con la legge 12 dicembre 1973, n. 1043);

che, infatti, a suo avviso, mentre la riferita disposizione pattizia prevede che i cittadini di ciascuno dei due paesi contraenti godano, sul territorio dell'altro, il beneficio dell'assistenza in giudizio alla pari di quelli dello Stato ospitante, la normativa nazionale sul gratuito patrocinio, della cui legittimità si dubita, non assicurerebbe viceversa una siffatta parità, in quanto - con il richiedere la menzionata attestazione consolare in ordine alla veridicità della autocertificazione di non abbienza che, per lo straniero, sostituisce le pur più minuziose dichiarazione e certificazioni prescritte per il richiedente italiano - "se semplifica la richiesta di gratuito patrocinio allo straniero e dunque al cittadino marocchino che sia fisicamente presente nel processo, la renderebbe di fatto però improponibile per colui che, come nella specie, dopo aver formulato l'istanza, si renda latitante";

che di detta questione l'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità, sul rilievo che, in conseguenza dell'intervenuta revoca della sentenza di condanna, l'eventuale suo accoglimento non avrebbe alcuna concreta incidenza sulla situazione processuale e sostanziale dell'imputato.

CONSIDERATO che va respinta l'eccezione di irrilevanza, avendo, per tal profilo, il Pretore rimettente congruamente argomentato che la revoca della condanna "non elimina l'interesse alla decisione nella procedura in corso, poiché occorre in ogni caso stabilire se al pagamento del compenso dovuto al difensore per l'opera prestata nel processo, debba o non far fronte lo Stato";

che, nel merito, la questione è manifestamente infondata;

che, infatti, la situazione che il giudice a quo assume discriminatoria nei confronti dello straniero e che vorrebbe, per ciò, emendata, con sottrazione del beneficio all'automatismo della revoca in mancanza della prescritta attestazione, è propriamente quella in cui l'acquisizione (ed il deposito) di quella certificazione resti di fatto impedita dall'allontanamento dell'imputato e dalla conseguente impossibilità per il suo difensore di entrare in contatto con lui e di metterlo in condizione di produrre, anche indirettamente per suo tramite, la fotocopia del passaporto o di altro documento d'identità, come richiesto dall'autorità consolare per il rilascio dell'attestazione in parola secondo quanto riferisce lo stesso giudice remittente;

che analoga situazione impeditiva non dissimilmente può però verificarsi anche nei confronti del cittadino italiano (che si renda, come nella specie, latitante "prima di aver avuto conoscenza del decreto di ammissione al patrocinio gratuito e quindi del termine concesso" per il deposito della ben più complessa documentazione a lui richiesta per la certificazione del suo stato di bisogno), con la conseguenza che, anche in questo caso, il mancato assolvimento dell'onere certificatorio da parte del latitante conduce egualmente alla revoca del beneficio;

che a nessuna disparità di trattamento, sul terreno della difesa, tra cittadino italiano e straniero dà quindi luogo la normativa sub art. 5 della legge n. 217 del 1990 citata, a torto per ciò denunciata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 3 e 6 dell'art. 5 della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), sollevata dal Pretore di Ancona, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 10 e 24 della Costituzione, in relazione all'art. 49 della Convenzione di reciproco aiuto giudiziario fra l'Italia e il Marocco, ratificata con legge 12 dicembre 1973, n. 1043.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 12 luglio 1996.