Ordinanza n. 231 del 1996

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ORDINANZA N. 231

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 10 marzo 1955, n. 96 (Provvidenze a favore dei perseguitati politici antifascisti o razziali e dei loro familiari superstiti) e successive modificazioni, promosso con ordinanza emessa il 6 marzo 1995 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, sul ricorso proposto da Rosenfeld Maria, iscritta al n. 679 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 maggio 1996 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

RITENUTO che, con ordinanza del 6 marzo 1995, la Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione Lazio ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 10 marzo 1955, n. 96 (Provvidenze a favore dei perseguitati politici antifascisti o razziali e dei loro familiari superstiti), quale risultante da successive modifiche e integrazioni, in particolare dall'art. 1 della legge 22 dicembre 1980, n. 932;

che la questione è stata sollevata nel corso di un giudizio promosso dalla Sig.ra Maria Rosenfeld avverso il provvedimento con il quale la Commissione per le provvidenze ai perseguitati politici antifascisti o razziali le aveva negato la concessione dell'assegno vitalizio richiesto in relazione alla morte del genitore Sig. Maurizio Rosenfeld, cittadino italiano di origine ebraica, soggetto alle restrizioni previste dalle leggi razziali del 1938, poi deportato nel campo di concentramento di Auschwitz e qui deceduto;

che la richiesta di provvidenza economica era stata respinta, con il provvedimento impugnato nel giudizio a quo, per difetto delle condizioni stabilite dall'art. 1 della legge n. 96 del 1955, sul rilievo sia del mancato svolgimento di attività politica antifascista anteriormente all'8 settembre 1943 sia della insussistenza di taluna delle altre condizioni obiettive richieste dalla norma;

che, nel prospettare la questione, il giudice rimettente osserva che l'art. 1 della legge n. 96 del 1955, quale applicato dalla citata Commissione, mentre sembra riconoscere in via astratta l'assegno di benemerenza tanto a coloro che siano stati perseguitati a causa della loro attività politica antifascista quanto a coloro che siano stati perseguitati per ragioni esclusivamente razziali, in armonia con il titolo della legge che menziona entrambe le categorie, subordina il beneficio a specifiche condizioni - indicate nelle lettere da a) a e) di detta norma - pertinenti ai soli perseguitati appartenenti alla prima categoria;

che, in particolare, la lettera e) concerne il caso dell'internamento in campo di concentramento ma pur sempre in relazione causale con l'attività antifascista svolta all'estero, così non potendo ricomprendere coloro che hanno subìto l'internamento per motivi esclusivamente razziali;

che la delimitazione in tal modo operata induce il sospetto di incostituzionalità della norma, per ingiustificata e irragionevole discriminazione tra i perseguitati politici antifascisti e quelli razziali - e i loro aventi causa a titolo ereditario - circa il riconoscimento dei benefici previsti dalla legge;

che la questione così delineata, osserva il giudice a quo, è rilevante nel caso di specie, poiché la ricorrente non potrebbe altrimenti conseguire una riparazione economica per il pregiudizio subìto: non in base alla legislazione sulle pensioni di guerra in dipendenza di fatto bellico, data la consumazione dei termini per le correlative domande, e non in base alla teorica alternativa offerta dalla legge 18 novembre 1980, n. 791, recante l'istituzione di un assegno vitalizio a favore di quanti furono deportati nei campi di sterminio nazista K. Z. (Konzentrazion-Zone), poiché tale normativa non include, tra i beneficiari, gli eredi dei prigionieri;

che pertanto, restando affidata all'applicazione della legge n. 96 del 1955 l'unica possibilità per la ricorrente di vedersi riconoscere una forma di riparazione, la Corte dei conti rimettente solleva il quesito di costituzionalità dell'art. 1 della citata legge, nella parte in cui non include i perseguitati per motivi esclusivamente razziali tra i destinatari dell'assegno, in quanto richiede per costoro che si verifichino le "identiche ipotesi" stabilite per i perseguitati politici antifascisti; ipotesi dalle quali invece, conclude il giudice a quo, dovrebbe prescindersi, riconoscendo quale condizione sufficiente la persecuzione razziale, in sé considerata;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata, perché involgente determinazioni legislative di carattere discrezionale e comunque non irragionevoli.

CONSIDERATO che l'ordinanza di rimessione mira a una pronuncia di carattere additivo che introduca nella norma la previsione dell'attribuzione dell'assegno di benemerenza ivi menzionato anche in favore dei perseguitati razziali - e quindi dei loro eredi - che abbiano subìto l'internamento in un campo di concentramento;

che la richiesta integrazione è configurata attraverso il venir meno del riferimento alle "identiche ipotesi" elencate nelle lettere da a) a e) del secondo comma della stessa norma, le quali sono previste, in relazione di causa ed effetto, in collegamento alla perdita della capacità lavorativa non inferiore al trenta per cento (art. 1, primo comma) ovvero alla morte del cittadino perseguitato (art. 2 della legge), quali elementi costitutivi anche ai fini del beneficio riconosciuto dalla legge ai perseguitati razziali, dato il richiamo che a quelle "ipotesi" viene fatto nel terzo comma dell'art. 1 impugnato;

che l'anzidetta prospettazione del giudice rimettente si basa sul presupposto secondo il quale non è individuabile una diversa soluzione sulla base dei dati di diritto positivo;

che, a tale riguardo, si deve osservare che la norma impugnata si inserisce in un filone legislativo - originato proprio dalla legge n. 96 del 1955 e poi ulteriormente precisato e sviluppato (leggi 3 aprile 1961, n. 284; 15 dicembre 1965, n. 1424; 24 aprile 1967, n. 261; 28 marzo 1968, n. 361; 2 dicembre 1969, n. 997; 22 dicembre 1980, n. 932) - di delimitato ambito applicativo;

che l'anzidetta legislazione, infatti, secondo quanto emerge con chiarezza dai relativi dati testuali, dai lavori preparatori e dall'interpretazione della giurisprudenza, concerne le "benemerenze" da riconoscersi in favore di cittadini italiani che abbiano subìto fatti di persecuzione ad opera del fascismo e fino all'8 settembre 1943;

che con tale normativa, quindi, lo Stato italiano si impegna a una riparazione nei riguardi di coloro che, per aver svolto attività in vario modo contrarie al regime fascista, siano stati vittime di restrizioni e violenze imputabili a quest'ultimo;

che il caso dedotto nel giudizio a quo, riguardante persecuzioni successive alla caduta del fascismo e per opera del regime nazionalsocialista, è palesemente estraneo all'accennata disciplina;

che è nel distinto filone legislativo orientato a riconoscere talune provvidenze a chi sia stato colpito da misure persecutorie nazionalsocialiste che deve quindi essere ricercata la regola di cui viene richiesta l'introduzione a questa Corte;

che in detto sistema, alla cui origine sta la legge 6 febbraio 1963, n. 404, di ratifica dell'accordo tra l'Italia e la Repubblica federale di Germania per gli indennizzi ai cittadini italiani deportati per ragioni di razza, fede o ideologia, e che si sviluppa in seguito con il d.P.R. 6 ottobre 1963, n. 2043, con la legge 6 agosto 1966, n. 646, e con la legge 18 novembre 1980, n. 791 menzionata dal giudice rimettente, assume puntuale rilievo, ai fini della presente questione, la legge 29 gennaio 1994, n. 94;

che l'art. 1 della legge da ultimo citata, oltre a rendere reversibile ai familiari superstiti l'assegno vitalizio per gli ex deportati nei campi di sterminio nazista di cui all'art. 1 della legge n. 791 del 1980, ha altresì disposto che lo stesso assegno "... compete anche ai familiari di quanti sono stati deportati nelle circostanze di cui all'art. 1 della legge 18 novembre 1980, n. 791, e non hanno potuto fruire del beneficio perché deceduti in deportazione...";

che, inoltre, l'art. 2 della legge 18 novembre 1980, n. 791 (della quale la legge n. 94 del 1994 reca, come si è visto, una estensione soggettiva), consente la formulazione in ogni tempo della domanda per ottenere i benefici ivi previsti;

che questa normativa, anteriore alla proposizione dell'incidente di costituzionalità, risulta quindi essere quella idonea a regolare il caso dedotto nel giudizio a quo, attraverso una disciplina che riconosce direttamente il beneficio;

che, per quanto detto, l'individuazione della norma effettivamente applicabile in relazione al caso oggetto del giudizio principale concerne una disposizione diversa da quella oggetto di impugnativa di incostituzionalità;

che le osservazioni che precedono determinano la manifesta inammissibilità della questione, in quanto indirizzata verso una norma, regolatrice di diversa fattispecie, che non risulta pertinente rispetto alla situazione che è stata portata alla valutazione giudiziale, la motivazione circa la rilevanza del quesito fornita dal giudice a quo basandosi del resto, come si è accennato, sull'affermazione della impossibilità di riconoscere, altrimenti, una provvidenza economica a favore della parte e in particolare sull'asserita - inesattamente, come si è visto - mancanza di una pretesa per i parenti dei deportati nei campi di concentramento nazisti.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 10 marzo 1955, n. 96 (Provvidenze a favore dei perseguitati politici antifascisti o razziali e dei loro familiari superstiti), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria il 3 luglio 1996.