Ordinanza n. 191 del 1996

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ORDINANZA N. 191

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Luigi MENGONI Presidente

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 324, comma 6, e 309, comma 10, del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 13 maggio 1995 dal Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Angelo Micozzi, iscritta al n. 482 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 maggio 1996 il Giudice relatore Enzo Cheli.

RITENUTO che il Tribunale di Roma, giudice di rinvio nel procedimento di riesame del sequestro probatorio di un immobile in danno di Angelo Micozzi, indagato per violazioni edilizie, con ordinanza del 13 maggio 1995, ha sollevato questione di costituzionalità dell'art. 324, comma 6, del codice di procedura penale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, interpretato dalla Cassazione nel senso che non è consentito al tribunale, in sede di riesame, integrare mediante ulteriore termine quello inferiore a tre giorni liberi dalla notifica dell'avviso, nonché, dell'art. 309, comma 10, del codice di procedura penale, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede che la Corte di cassazione dichiari la perdita di efficacia della misura coercitiva quando annulla, perché emanata all'esito di giudizio affetto da nullità, l'ordinanza di conferma della stessa misura da parte del tribunale in sede di riesame;

che, rispetto all'art. 324, comma 6, il giudice rimettente premette che la Cassazione ha annullato, con rinvio, l'ordinanza confermativa del sequestro per violazione del termine libero di tre giorni e che, secondo il principio di diritto cui è vincolato, è necessaria la decorrenza ex novo del termine libero ed è insufficiente la sua integrazione;

che, secondo il giudice a quo, l'interpretazione vincolante fornita dalla Cassazione, diversa da quella prevalente, contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della ragionevolezza, apparendo irrazionale che un termine effettivo superiore a tre giorni, per effetto della proroga, sia ritenuto lesivo del diritto di difesa;

che, rispetto all'art. 309, comma 10, il giudice rimettente, premesso che - secondo le Sezioni Unite della Cassazione - la perdita di efficacia della misura coercitiva si verifica solo in caso di mancata decisione e non anche in caso di decisione affetta da nullità, osserva che, potendosi evitare la decadenza mediante l'emanazione di un provvedimento nullo, sarebbero lesi i diritti della difesa garantiti dall'art. 24 della Costituzione;

che nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità di entrambe le questioni.

CONSIDERATO, con riferimento alla prima questione, che la norma impugnata prevede che l'avviso della data fissata per l'udienza in camera di consiglio è comunicato al pubblico ministero e notificato al difensore e a chi ha proposto la richiesta almeno tre giorni prima;

che il giudice, in esito all'udienza camerale, dubita della costituzionalità dell'interpretazione adottata dalla Cassazione, nonostante che, come emerge dagli atti, la prescrizione di cui all'art. 324, comma 6, sia stata di fatto rispettata, essendo stato assicurato il termine di tre giorni tra la notifica dell'avviso e la data dell'udienza, mentre non si sono verificate le condizioni per l'applicazione del principio di diritto affermato dalla Cassazione;

che, pertanto, la questione sollevata non appare rilevante nel giudizio a quo, e, di conseguenza, va dichiarata manifestamente inammissibile;

che, inoltre, con riferimento all'art. 309, comma 10, la norma impugnata prevede la perdita di efficacia della misura coercitiva ove la decisione del tribunale sulla richiesta di riesame non intervenga entro il termine di dieci giorni prescritto dal comma 9 dello stesso articolo;

che la norma censurata non attribuisce al tribunale del riesame alcuna cognizione sulla perdita di efficacia della misura coercitiva, competente a verificare la quale è il giudice che procede e non il giudice del riesame dei provvedimenti applicativi delle misure coercitive;

che, pertanto, anche la seconda questione sollevata deve essere dichiarata manifestamente inammissibile, in quanto priva del requisito della rilevanza nel giudizio a quo.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 324, comma 6, del codice di procedura penale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, e dell'art. 309, comma 10, del codice di procedura penale, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, sollevate dal Tribunale di Roma, sezione per il riesame, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 maggio 1996.

Luigi MENGONI, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 7 giugno 1996.