Ordinanza n. 186 del 1996

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ORDINANZA N. 186

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 3, e 9-octies, comma 3, del decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397 (Disposizioni urgenti in materia di smaltimento dei rifiuti industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 9 novembre 1988, n. 475, promosso con ordinanza emessa il 7 aprile 1995 dal Pretore di Vicenza nel procedimento penale a carico di Garbin Nereo ed altra, iscritta al n. 425 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 17 aprile 1996 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

RITENUTO che -- nel corso del procedimento penale nei confronti di N. Garbin ed altri, imputati del reato di cui agli artt. 3, comma 3, e 9-octies, comma 3, del decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397 (Disposizioni urgenti in materia di smaltimento dei rifiuti industriali), convertito, con modificazioni nella legge 9 novembre 1988, n. 475 -- il Pretore di Vicenza ha sollevato, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dei succitati artt. 3, comma 3, e 9-octies, comma 3, nella parte in cui "sanzionano penalmente la infedele comunicazione alla Regione o alla Provincia delegata della quantità e qualità dei rifiuti prodotti e smaltiti nell'anno precedente";

che, ad avviso del giudice a quo, le disposizioni denunciate risulterebbero lesive della c.d. "libertà dalle autoincriminazioni" sancita dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione, posto che nel diritto di difesa dell'imputato dovrebbe ritenersi, altresí, compreso "il diritto del cittadino di non fornire le prove della propria eventuale colpevolezza e, più in generale, prove suscettibili di pregiudicare lo svolgimento dei suoi assunti difensivi in un già instaurato o eventuale processo";

che, infatti, le norme censurate porrebbero i soggetti destinatari di fronte all'alternativa di trasmettere dati veritieri, con il rischio di un processo penale per l'irregolare smaltimento dei rifiuti, oppure di evitare di fornire le informazioni richieste o di fornirle incomplete, con il rischio di un processo penale in base alle stesse norme oggetto di contestazione;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in giudizio chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

CONSIDERATO che la ratio delle disposizioni censurate consiste nella necessità di consentire alle autorità preposte un adeguato controllo sulla produzione e sullo smaltimento dei rifiuti (speciali, di origine industriale, assimilabili agli scarichi tossici e nocivi) attraverso un sistema permanente di informazioni analitiche e sintetiche sulla quantità e qualità dei rifiuti stessi preordinate a realizzare il catasto e osservatorio dei rifiuti, istituito con l'art. 3 della stessa legge n. 475 del 1988;

che, pertanto, gli obblighi di comunicazione della quantità e qualità dei rifiuti sopraindicati prodotti o smaltiti, previsti dalle disposizioni censurate, risultano strumentalmente diretti alla tutela dell'ambiente, garantita come diritto fondamentale dall'art. 9 della Costituzione e trovano, altresí, specifico fondamento nell'art. 41, secondo comma, della Costituzione per il quale l'iniziativa economica privata deve svolgersi in modo da garantire "la sicurezza, la libertà e la dignità umana" da ricollegarsi anche alla tutela dell'ambiente;

che, inoltre, i predetti obblighi di comunicazione rientrano nella sfera dei doveri inerenti ai produttori e smaltitori di rifiuti ed, in quanto tali, risultano assunti in base ad una libera scelta dell'individuo di svolgere una attività economica che comporta oneri previsti dalla legge;

che su un piano più generale non può negarsi che la legge possa ragionevolmente (senza aggravare inutilmente la posizione del soggetto interessato) prescrivere, in via generale, a carico di tutti coloro che espletano una determinata attività liberamente scelta, obblighi non legati alla pretesa punitiva (anche se sanzionati in via amministrativa o penale) di comunicazione della stessa attività o delle modalità d'esercizio (come presupposto della legittimità), quando questa sia soggetta a controlli della pubblica amministrazione, tanto più se correlati a una doverosa salvaguardia di interessi fondamentali secondo Costituzione, quali la tutela dell'ambiente e della indissolubile qualità della vita dell'uomo;

che, d'altro canto, il diritto al silenzio dell'imputato, in quanto specificazione del diritto di difesa, garantito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione, opera, per costante giurisprudenza di questa Corte, dal momento della instaurazione del procedimento penale o dal momento in cui l'indizio di reato si soggettivizza nei confronti di una determinata persona (sentenze nn. 198 e 181 del 1994);

che non è ipotizzabile esercizio del diritto di difesa "in relazione a comportamenti che in sé considerati non costituiscono autodenuncia o confessione di reati"; "se manca un rapporto diretto tra incriminazione e le domande della pubblica autorità" ovvero "tra dichiarazioni e gli adempimenti" cui il soggetto è penalmente tenuto da un lato e l'incriminazione eventuale, per uno o più reati, dall'altro, venendo meno in radice ogni possibilità di invocare la garenzia costituzionale dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione (v. sentenze n. 236 del 1984 e n. 32 del 1965);

che, di conseguenza, gli obblighi di cui alle disposizioni censurate, muovendosi in ambito di controllo amministrativo di dichiarazioni di quantità e qualità di rifiuti prodotti o smaltiti che di per sé non riguardano fattispecie criminose, potendo queste verificarsi solo se la formazione e lo svolgimento non avvengono con l'osservanza delle modalità e dei limiti fissati in base a legge, sono assolutamente inconferenti rispetto ai presupposti che governano l'ambito di operatività dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione, mentre la conseguenza ipotizzata dal remittente è una semplice eventualità di fatto e non certo una conseguenza astrattamente necessaria ed inevitabile della circostanza di produrre e smaltire rifiuti e di dover conseguentemente effettuare le dovute comunicazioni alla Regione o alla Provincia;

che tale rapporto di semplice eventualità di fatto, e non di necessaria conseguenzialità, esclude che colui il quale renda la dichiarazione della qualità e quantità del rifiuto imposta dalla norma impugnata, si autodenunci, per ciò solo, di altri comportamenti costituenti illecito penale (v., in fattispecie di omessa dichiarazione di attività o disponibilità all'estero in relazione a eventuali violazioni valutarie, ordinanza n. 655 del 1988 e sentenza n. 236 del 1984; in fattispecie di obbligo di dichiarazione per i cittadini italiani di natanti non iscritti in pubblici registri nazionali, ordinanza n. 258 del 1985);

che in sostanza vi può essere un obbligo di collaborazione (mediante comunicazioni o denunce di attività o questionari, purché non direttamente legati a pretesa punitiva) ai controlli amministrativi, come onere in via generale posto dalla legge a carico di soggetti che abbiano autonomamente scelto di intraprendere una determinata attività, quando questa sia soggetta a poteri di controllo della pubblica amministrazione in base a legge e nel rispetto dei limiti costituzionali;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 3, e 9-octies, comma 3, del decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397 (Disposizioni urgenti in materia di smaltimento dei rifiuti industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 9 novembre 1988, n. 475, sollevata, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Vicenza, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 maggio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 31 maggio 1996.