Sentenza n. 182 del 1996

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SENTENZA N. 182

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Dott. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 279, quarto comma, seconda parte, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 28 giugno 1995 dal Giudice istruttore del Tribunale di Casale Monferrato nel procedimento civile vertente tra Gatti Laura e Badarello Anna ed altro, iscritta al n. 583 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Udito nella camera di consiglio del 17 aprile 1996 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

Ritenuto in fatto

Il Tribunale di Casale Monferrato, in un giudizio di divisione ereditaria, dopo aver emesso sentenza non definitiva sui capi di domanda relativi alla titolarità dei diritti sui beni, rimetteva la causa, con separata ordinanza, al giudice istruttore perché procedesse ad ulteriore istruttoria in ordine ad alcuni aspetti, prevalentemente tecnici, della controversia. Avverso la predetta sentenza proponevano appello immediato alcune delle parti, che avanzavano altresì istanza di sospensione dell'istruttoria al giudice istruttore. Quest'ultimo, preso atto dell'opposizione della controparte, rigettava la richiesta, disponendo la nomina di un consulente tecnico.

Dopo una serie di differimenti dell'udienza derivanti dalla difficoltà di acquisire i fascicoli di parte depositati presso la corte di appello, il giudice istruttore, a fronte di una nuova richiesta di sospensione, con ordinanza emessa il 28 giugno 1995, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell'art. 279, quarto comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui subordina il potere del giudice istruttore di sospendere la prosecuzione dell'ulteriore istruttoria della causa sino alla definizione dell'appello avverso sentenza non definitiva, all'istanza concorde delle parti, anziché alla richiesta della (sola) parte interessata.

Il rimettente, dopo aver rilevato che il provvedimento negatorio della sospensione è astrattamente revocabile, premette che tra l'oggetto del contendere in appello e quello della residua lite pendente in primo grado vi è rapporto di dipendenza, ma osserva che la norma impugnata subordina la sospensione della prosecuzione dell'ulteriore istruzione alla concorde istanza delle parti. Così disponendo, la norma stessa evidenzierebbe anzitutto un difetto di ragionevolezza, in quanto equipara una situazione processuale simile a quella posta a base della sospensione necessaria ex art. 295 cod. proc. civ. - in cui il giudice può sospendere, anche d'ufficio, il processo - a quella della sospensione così detta volontaria ex art. 296 cod. proc. civ., che richiede l'istanza di tutte le parti.

Inoltre, se si pone mente al contenuto dell'art. 129-bis disp. att. cod. proc. civ. - che in caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza di riforma di sentenza non definitiva subordina la sospensione dell'istruzione ulteriore, oltre che al vincolo di dipendenza logica delle res judicandae, all'istanza di una sola parte interessata - si rileva come tale regola sia modellata su un regime processuale che configurava come provvisoriamente esecutiva ex lege soltanto la sentenza di secondo grado. Ma in ragione delle modifiche degli artt. 337, primo comma, e 282 cod. proc. civ., potrebbe accadere che in tempi anche ravvicinati si producano due dispositivi entrambi dotati di pari forza esecutiva, uno dei quali, quello cioè definitivo di primo grado, contrastante nei suoi presupposti logici con quanto deciso dal giudice di grado superiore. Rafforzerebbe tale tesi anche la nuova formulazione dell'art. 336, secondo comma, cod. proc. civ., secondo cui gli effetti della riforma si estendono ad atti e provvedimenti dipendenti dalla sentenza riformata indipendentemente dal passaggio in giudicato della sentenza di appello.

Ulteriore tertium comparationis sarebbe poi fornito dal combinato disposto degli artt. 187, secondo e terzo comma, e 189 cod. proc. civ. (cui andrebbe aggiunto l'art. 190-bis per i nuovi processi), che affidano all'apprezzamento del solo giudice istruttore se richiedere una decisione definitiva su questioni pregiudiziali o preliminari per evitare inutili attività istruttorie ulteriori, oppure se correre il rischio di compiere le stesse nella prospettiva di pervenire ad una decisione piena e definitiva nel merito.

La norma impugnata contrasterebbe infine con l'art. 97 della Costituzione, in quanto il vincolo imposto dal giudice istruttore di optare per la sospensione - ove ricorra il citato nesso di dipendenza - solo in presenza di istanza concorde, lo costringerebbe a compiere attività che ex post potrebbero rivelarsi, "oltre che costose, perfettamente improficue ai fini di una decisione definitiva".

Considerato in diritto

1. -- Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale dell'art. 279, quarto comma, seconda parte, cod. proc. civ., là dove richiede l'istanza concorde delle parti, e non già della sola parte interessata, affinché sia sospesa l'ulteriore istruzione disposta dal collegio che abbia emesso sentenza non definitiva, in pendenza di appello avverso quest'ultima.

La norma si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., per irragionevolezza, equiparando "una situazione processuale pressoché simile a quella posta dall'ordinamento alla base della sospensione necessaria di cui all'art. 295 cod. proc. civ. - per la quale il giudice può disporre la sospensione anche d'ufficio ... - viceversa a quella della sospensione così detta volontaria di cui all'art. 296 cod. proc. civ. - che richiede l'istanza di tutte le parti, rimettendo ogni decisione del giudice istruttore a mere ragioni di opportunità - "; nonché con l'art. 97 Cost., imponendo "al giudice istruttore di compiere attività che, come nel caso di specie, potrebbero ex post rivelarsi, oltre che costose, perfettamente improficue ai fini di una decisione definitiva".

2. -- La questione non è fondata.

2.1. -- La sospensione facoltativa prevista dalla norma impugnata consegue direttamente alla possibilità di proporre appello immediato avverso le sentenze non definitive, introdotta nel codice di rito dalla legge 14 luglio 1950, n. 581, la quale ha modificato il testo originario degli artt. 339 e 340 cod. proc. civ., lasciando solo come facoltà della parte soccombente il differimento dell'appello avverso le sentenze parziali, che prima potevano invece essere impugnate soltanto insieme con la sentenza definitiva.

L'innovazione pose l'esigenza di coordinare, nel quadro della formale unità del processo, il giudizio di primo grado con l'esito che l'appello immediato può spiegare sull'ulteriore corso di esso. Il legislatore, onde prevenire la possibile caducazione dell'ulteriore attività compiuta sulla base della sentenza parziale, avrebbe potuto provvedere disponendo la sospensione necessaria del giudizio dipendente, sino alla formazione del giudicato sulla questione pregiudiziale risolta con la sentenza parziale impugnata. In tal modo avrebbe realizzato in pieno il principio di economia processuale, però sacrificando la posizione della parte provvisoriamente vittoriosa. Ma in modo egualmente non irrazionale avrebbe potuto lasciare che comunque il giudizio di primo grado procedesse autonomamente sino alla sentenza definitiva, col rischio che questa potesse rimanere travolta dall'esito finale dell'impugnazione della sentenza parziale.

Il legislatore del 1950 optava per la seconda soluzione, debitamente corretta, introducendo appunto nell'art. 279 cod. proc. civ. la norma ora denunciata (e, simmetricamente, con riguardo al caso di pendenza del ricorso per cassazione avverso la sentenza parziale emessa in grado d'appello, inserendo l'art. 123-bis nelle disposizioni d'attuazione, di egual contenuto). Attraverso poi la novellazione anche dell'art. 336, secondo comma, cod. proc. civ., recuperava pienamente la coerenza del sistema delle impugnazioni - scompaginato nelle sue linee originarie con l'introduzione dell'appello immediato - disponendo che la riforma estendesse i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata, solo dopo il suo passaggio in giudicato, e in tal modo escludendo un costante immediato adeguamento di quei provvedimenti ed atti.

Con la successiva modifica del citato art. 336, secondo comma - che la legge n. 353 del 1990 ha ripristinato nel testo originario, svincolando così dalla necessità del passaggio in giudicato della sentenza di riforma la menzionata estensione dei suoi effetti - è stata bensì incrinata la coerenza di cui s'è detto, ma senza alcun riflesso logico sistematico, ai fini che qui interessano, sulla norma dell'art. 279, quarto comma, poiché immutato è rimasto l'àmbito dell'efficacia caducatoria derivante dalla riforma pronunziata con la sentenza d'appello, essendosene solo anticipati gli effetti al momento della pubblicazione.

2.2. -- La norma denunciata, che non ha subìto ulteriori modificazioni, nel richiedere la concorde istanza delle parti - perché il giudice istruttore, "qualora ritenga che i provvedimenti dell'ordinanza collegiale siano dipendenti da quelli contenuti nella sentenza impugnata", possa "disporre... che l'esecuzione o la prosecuzione dell'ulteriore istruttoria sia sospesa sino alla definizione del giudizio di appello" - salvaguarda la posizione della parte rimasta vincitrice relativamente alla pronuncia di primo grado.

La ratio del meccanismo legislativamente predisposto è quella di escludere che la possibilità d'impugnazione immediata rallenti il corso del processo per il solo fatto della pendenza del gravame. L'eventualità di un accoglimento di questo deve cioè essere tale da indurre a richiedere la sospensione anche la parte che si giova dell'assunzione della prova dipendente dalla (ad essa favorevole) sentenza non definitiva. E il giudice è chiamato solo ad una valutazione del legame tra l'istruttoria che dovrebbe aver corso e l'idoneità della possibile riforma della sentenza appellata a vanificarla del tutto: così descrivendosi una sorta di unanimità dei soggetti del processo, nell'assumersi il rischio di blocco del medesimo.

Per tale via lo strumento della sospensione si adegua alle molteplici possibili articolazioni del rapporto di pregiudizialità-dipendenza, e consente di evitare che il mezzo di immediato gravame si risolva in un ulteriore intralcio processuale: salvi i casi in cui attraverso la sentenza di riforma si determini automaticamente la decisione della causa dipendente, come quando le sentenze che abbiano rigettato eccezioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito siano idonee a definire il giudizio. Proprio il carattere radicale di tali ultime ipotesi - rispetto ad altri casi, in cui il vincolo di dipendenza comporta soltanto diversi criteri decisori per la domanda introdotta in primo grado - può determinare il venir meno della fisiologica contrapposizione degli interessi delle parti, in una prospettiva di attesa analoga a quella posta a base dell'art. 296 cod. proc. civ., con l'operatività correlativa della riassunzione ex art. 125-bis disp. att. cod. proc. civ.

2.3. -- Così individuata la matrice logico-sistematica della norma, è da escludere la prospettata irragionevolezza di questa: irragionevolezza, che costituisce l'unico limite all'ampia discrezionalità del legislatore nel conformare il processo, più volte affermata da questa Corte (v., ex plurimis, sentenza n. 471 del 1992). Il meccanismo predisposto appare come la risultante di un equilibrato bilanciamento tra l'interesse a non compiere un'attività istruttoria che potrebbe alla fine rivelarsi inutile e l'esigenza di proseguire ulteriormente secondo le coordinate espresse dalle decisioni del collegio, ma anche in funzione dell'eventuale sviluppo della sequenza dei gravami.

Alla luce di tali premesse, risulta parimenti l'inconsistenza delle censure espresse dal giudice a quo con specifico riferimento ad altre norme richiamate quali tertia comparationis.

2.3.1. -- Il rimettente richiama anzitutto l'art. 295 cod. proc. civ. e lamenta la diversità di disciplina "per una situazione processuale pressoché simile". Ma, a parte il rilievo circa la non confrontabilità tra quella disciplina, che postula la pendenza di un'altra controversia, e la vicenda processuale de qua, tutta interna al processo, deve osservarsi che proprio la recente riforma della norma citata, nell'attenuare il nesso di pregiudizialità penale in consonanza con l'autonomia voluta dal nuovo codice di procedura penale per le azioni civili restitutorie e risarcitorie, ha espresso, più in generale, il disfavore nei confronti del fenomeno sospensivo in quanto tale. Orientamento, quest'ultimo, che ha condotto altresì la giurisprudenza a limitare le ipotesi di sospensione necessaria ai soli casi di pregiudizialità tecnica ed a quelli in cui sia la legge a prevedere che il giudicato di una causa si imponga sull'altra.

Non può poi trascurarsi di osservare come l'esercizio del potere ex art. 295 cod. proc. civ. trovi un suo strumento di controllo nel regolamento necessario di competenza ora espressamente previsto dall'art. 42 cod. proc. civ., così saldandosi il sistema in una sua propria compiutezza, dalla quale esula del tutto, quanto a presupposti ed esiti, la norma denunciata. E, del resto, lo stesso rimettente non chiede che questa Corte riporti col suo intervento additivo la fattispecie sotto la disciplina del citato articolo.

2.3.2. -- A conclusioni analoghe, in termini di non comparabilità, è agevole pervenire con riguardo all'art. 129-bis disp. att. cod. proc. civ., anch'esso richiamato nell'ordinanza di rimessione: preliminarmente chiarendosi, peraltro, che deve prescindersi - ai fini dello scrutinio costituzionale da operare considerando tale norma quale tertium comparationis - dal quesito se il suo àmbito applicativo sia da ritenere implicitamente modificato a sèguito della recente riforma del processo civile, dalla quale il giudice a quo trae spunto con riguardo alla generalizzata provvisoria esecutività riconosciuta alle sentenze di primo grado ed al nuovo testo dell'art. 336 cod. proc. civ. in tema di effetti espansivi esterni della sentenza di appello.

L'ipotesi di pendenza del gravame, descritta dalla norma denunciata, e il diverso caso previsto dal citato art. 129-bis, in cui la riforma della sentenza parziale di primo grado è già intervenuta, e pende il ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello, sono con tutta evidenza nettamente distinti. La diversa scansione temporale ben giustifica, nell'ipotesi di cui all'art. 279, un'altra ottica in cui valutare la sorte dell'istruttoria di primo grado, affidando la sospensione all'apprezzamento e quindi all'istanza di una sola parte (soccombente in appello), oltre che al giudizio del giudice istruttore sul vincolo di dipendenza.

2.3.3. -- Ancor meno pertinente si appalesa infine il richiamo agli artt. 187, secondo e terzo comma, 189 e 190-bis cod. proc. civ. Questi infatti attribuiscono al giudice istruttore poteri che attengono alla conduzione del processo collocandosi in un momento processuale diverso rispetto a quello in argomento, caratterizzato dalla concomitante presenza di una sentenza non definitiva e di un'ordinanza correlata che conforma l'istruttoria ulteriore, nonché dalla pendenza di un gravame immediato.

2.4. -- Quanto all'ulteriore parametro costituito dall'art. 97 della Costituzione, basti rilevare come questa Corte abbia costantemente affermato che il principio di buon andamento e dell'imparzialità della amministrazione, è bensì riferibile anche agli organi di amministrazione della giustizia, ma riguarda esclusivamente le leggi concernenti l'ordinamento degli uffici giudiziari e il loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo, rimanendo invece del tutto estraneo al tema dell'esercizio della funzione giurisdizionale (v., da ultimo, sentenze nn. 84 del 1996 e 313 del 1995 e ordinanza n. 69 del 1996).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 279, quarto comma, seconda parte, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Giudice istruttore del Tribunale di Casale Monferrato, con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 maggio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 31 maggio 1996.