Sentenza n. 177 del 1996

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SENTENZA N. 177

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 34 o dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale promossi con ordinanze emesse: 1) il 5 ottobre 1995 dal Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria nel procedimento penale a carico di V. C., iscritta al n. 793 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1995; 2) il 5 ottobre 1995 dal Pretore di Savona nel procedimento penale a carico di Rida Massin, iscritta al n. 835 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 marzo 1996 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto in fatto

1. -- Con ordinanza emessa il 5 ottobre 1995 nel corso di un processo penale a carico di un imputato minorenne cui era stato contestato in dibattimento un reato connesso a quello per il quale era stato disposto il rinvio a giudizio e nei cui confronti era stata adottata la misura cautelare della custodia in carcere per il reato oggetto della contestazione suppletiva, il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio il giudice che nel corso del dibattimento si è pronunciato sulla libertà personale dell'imputato per un reato oggetto di contestazione suppletiva.

Il giudice rimettente, ritenendo impossibile ampliare interpretativamente, per analogia, i casi di incompatibilità determinati da atti compiuti nel procedimento, tassativamente previsti dall'art. 34 cod. proc. pen., ricorda che è stata più volte dichiarata l'illegittimità costituzionale di questa disposizione nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice che ha valutato materiali cognitivi del processo in altri casi identici o affini a quello ora considerato, ed afferma che la contestazione in dibattimento di un reato connesso dovrebbe essere considerata equivalente al rinvio a giudizio e la misura cautelare potrebbe essere fondata sulla valutazione del materiale cognitivo non acquisito al dibattimento e formato senza contraddittorio tra le parti.

Il Tribunale per i minorenni, rilevato che la custodia cautelare in carcere presuppone gravi indizi di colpevolezza ed implica una valutazione di merito sulla probabile fondatezza dell'accusa e sull'assenza di condizioni che legittimino il proscioglimento, richiama principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale, in particolare dalla sentenza n. 432 del 1995, e ritiene che l'incompatibilità del giudice è diretta ad impedire che la valutazione conclusiva sulla responsabilità dell'imputato sia, o possa apparire, condizionata dalla forza della prevenzione e dalla naturale tendenza a mantenere un giudizio già espresso o un atteggiamento già assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento. Ad avviso del giudice rimettente, si troverebbe in questa situazione anche il giudice del dibattimento che ha applicato una misura cautelare personale per un reato contestato nel corso dell'istruzione dibattimentale; sicché questa situazione dovrebbe egualmente determinare l'incompatibilità del giudice, anche per evitare una disparità di trattamento tra identiche o analoghe posizioni processuali.

2. -- Con ordinanza emessa il 5 ottobre 1995 nel corso di un procedimento penale a carico di Rida Massin, tratta in arresto in flagranza di reato e condotta davanti al giudice per la convalida dell'arresto ed il contestuale giudizio direttissimo (art. 566 cod. proc. pen.), il Pretore di Savona, dopo aver convalidato l'arresto ed emesso ordinanza di custodia cautelare in carcere, nella fase degli atti preliminari al dibattimento ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 101 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio direttissimo il pretore che abbia, appunto, convalidato l'arresto ed applicato una misura cautelare nei confronti dell'imputato.

Ad avviso del giudice rimettente, i gravi indizi di colpevolezza, che costituiscono il presupposto della custodia cautelare, sono elementi probatori che consentono di ritenere altamente probabile l'esistenza e attribuibilità del reato all'indagato. Anche la convalida dell'arresto, presupponendo la flagranza, richiederebbe un apprezzamento di evidenza della prova. Queste valutazioni implicherebbero un giudizio sulla colpevolezza dell'imputato e dovrebbero, quindi, determinare l'incompatibilità del giudice per il giudizio di merito, ad evitare il rischio che nelle decisioni relative all'istruzione dibattimentale e nelle valutazioni conclusive lo stesso giudice possa apparire condizionato da giudizi precedentemente espressi, con conseguente pericolo per la certezza della sua imparzialità e terzietà.

Il Pretore ritiene che l'attività del giudice deve essere non solo libera da vincoli che possono comportare la sua soggezione formale o sostanziale ad altri organi, ma anche immune da qualsiasi forma di prevenzione od influenza, che possa pregiudicare l'imparzialità o l'obiettività della decisione (art. 101 Cost.). La valutazione di responsabilità dell'imputato potrebbe essere, o apparire, inoltre, in contrasto con i principi che si collegano alla garanzia del giusto processo (artt. 24 e 101 della Costituzione), in quanto condizionata dalla naturale tendenza a mantenere un giudizio ormai espresso o un atteggiamento già assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento.

3. -- Nel solo giudizio promosso dal Pretore di Savona è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

L'Avvocatura ammette che la convalida dell'arresto e la connessa applicazione di una misura cautelare possano integrare un giudizio prognostico sulla colpevolezza dell'imputato, suscettibile, in linea teorica, di incrinare l'imparzialità del giudice. Ma nel giudizio direttissimo convalida dell'arresto e dibattimento sarebbero legati da un nesso particolarmente stretto, al punto da poter essere considerati come sequenze di un'unica fase del procedimento penale. Lo stesso dato normativo (art. 566 cod. proc. pen.) renderebbe evidente la contestualità di questi segmenti in un'unica e breve fase procedimentale, disponendo che si proceda "immediatamente" al giudizio in caso di convalida.

L'Avvocatura sottolinea che, accogliendo la questione di legittimità costituzionale, si giungerebbe al risultato pratico, non ragionevole né conforme alle finalità del giudizio direttissimo, di imporre la presenza in ciascuna udienza dibattimentale dinanzi al pretore di due magistrati, competenti l'uno per la convalida dell'arresto e per l'applicazione della misura cautelare, l'altro per la celebrazione del dibattimento.

Considerato in diritto

1. -- Le due questioni di legittimità costituzionale concernono la disciplina delle cause di incompatibilità del giudice, stabilita dall'art. 34 del codice di procedura penale.

Il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria ritiene che il comma 2 di questa disposizione, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio il giudice che nel dibattimento abbia emanato un provvedimento di custodia cautelare nei confronti dell'imputato per un reato oggetto di contestazione suppletiva, sia in contrasto: a) con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, per irragionevole disparità di trattamento tra l'imputato che non può essere giudicato nel merito da chi ha emesso una misura cautelare personale nei suoi confronti nella fase delle indagini preliminari e l'imputato che sia stato sottoposto a misura coercitiva da parte dello stesso giudice competente per il dibattimento, per il quale l'incompatibilità non opererebbe; b) con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, perché il giudice avrebbe compiuto, ai fini della emissione della misura coercitiva personale, una valutazione anticipata dei materiali cognitivi che saranno oggetto del giudizio di merito.

Il Pretore di Savona ritiene, a sua volta, che l'art. 34 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio direttissimo il pretore che abbia convalidato l'arresto ed applicato una misura cautelare nei confronti dell'imputato, sia in contrasto con gli artt. 24 e 101 della Costituzione, giacché la valutazione sulla responsabilità dell'imputato potrebbe essere condizionata dalle decisioni già assunte dallo stesso giudice, pregiudicandone l'imparzialità e l'obiettività.

2. -- Le due questioni di legittimità costituzionale riguardano, sia pure per aspetti diversi, la medesima disposizione e coinvolgono gli stessi principi. I relativi giudizi possono, quindi, essere riuniti per essere decisi congiuntamente.

3. -- L'istituto dell'incompatibilità del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento penale concorre ad esprimere la garanzia di un giudizio imparziale, che non sia né possa apparire condizionato da precedenti valutazioni sulla responsabilità penale dell'imputato manifestate dallo stesso giudice, tali da poter pregiudicare la neutralità del suo giudizio. Il principio del "giusto processo", difatti, implica e presuppone che il giudizio si formi in base al razionale apprezzamento delle prove legittimamente raccolte ed acquisite e non sia pregiudicato da valutazioni sul merito dell'imputazione e sulla colpevolezza dell'imputato, espresse in fasi del processo anteriori a quella del quale il giudice è investito.

Il processo è per sua natura costituito da una sequenza di atti, ciascuno dei quali può astrattamente implicare apprezzamenti su quanto risulti nel procedimento ed incidere sui suoi esiti. Non può, quindi, essere frammentato, isolando ogni atto che contenga una decisione idonea a manifestare un apprezzamento di merito ma preordinata, accessoria o incidentale rispetto al giudizio del quale il giudice è già investito, per attribuire ogni singola decisione ad un giudice diverso, sino a rompere la necessaria unità del giudizio e la sua intrasferibilità (cfr. sentenze n. 131 del 1996 e n. 124 del 1992; ordinanza n. 24 del 1996).

L'incompatibilità del giudice per atti compiuti nel procedimento è determinata da provvedimenti adottati in base alla valutazione di indizi o prove inerenti alla responsabilità penale dell'imputato in fasi precedenti a quelle delle quali il giudice è investito. Essa non necessariamente deve essere estesa sino a collegarla a tutti i provvedimenti con contenuto valutativo emanati dal giudice competente e senza che vi fosse incompatibilità nel momento in cui lo stesso è stato investito del giudizio di merito; giudice che in ragione e nell'esercizio di questa competenza è successivamente chiamato ad adottare misure e provvedimenti accessori o ad esprimere giudizi incidentali, quali sono quelli di carattere cautelare innestati nel dibattimento. In questi casi il provvedimento non costituisce anticipazione di un giudizio che deve essere instaurato, ma, al contrario, si inserisce nel giudizio del quale il giudice è già correttamente investito senza che ne possa essere spogliato: anzi è la competenza ad adottare il provvedimento dal quale si vorrebbe far derivare l'incompatibilità che presuppone la competenza per il giudizio di merito e si giustifica in ragione di essa.

4. -- La questione di legittimità costituzionale concernente l'omessa previsione dell'incompatibilità per il giudizio di merito del giudice del dibattimento che ha accolto la richiesta del pubblico ministero di applicazione di una misura cautelare personale per un reato concorrente, contestato in dibattimento, non è fondata.

E' ben vero che anche in questo caso l'adozione della misura cautelare personale presuppone la valutazione dell'esistenza di "gravi indizi di colpevolezza" (art. 273, comma 1, cod. proc. pen.) tali da fondare una ragionevole probabilità della responsabilità penale dell'imputato, valutazione questa già ritenuta dalla giurisprudenza costituzionale idonea a determinare l'incompatibilità per il giudizio del giudice per le indagini preliminari che abbia adottato la misura della custodia cautelare o del giudice che su di essa si sia pronunciato in sede di riesame o di appello (sentenze n. 432 del 1995 e n. 131 del 1996). Ma nell'ipotesi ora considerata questa valutazione è effettuata dal giudice che è stato correttamente investito della cognizione del merito, senza che sussistesse nei suoi confronti alcuna causa di incompatibilità, e che non può essere successivamente spogliato di un giudizio già instaurato, nel quale è attratta la decisione cautelare, costituendo essa solo un momento di cognizione incidentale nel contesto del giudizio di merito.

Questa situazione non è dunque assimilabile, come ipotizza il giudice rimettente, a quella che si verifica per il giudice che, nella fase anteriore al rinvio a giudizio, abbia adottato la misura della custodia cautelare e sia successivamente chiamato a giudicare della responsabilità penale dell'imputato. Né si vede come nel caso in esame possa risultare leso il diritto di difesa dell'imputato, che si svolge pienamente nel dibattimento.

5. -- Egualmente non fondata è la questione di legittimità costituzionale concernente l'omessa previsione dell'incompatibilità per il giudizio di merito del pretore che, procedendo con rito direttissimo, ha convalidato l'arresto e disposto una misura cautelare nei confronti dell'imputato.

La convalida dell'arresto implica una valutazione sulla riferibilità del reato all'imputato, condotto in giudizio, ma è attribuita alla cognizione del giudice competente per il merito, cui è devoluta la convalida ed il contestuale giudizio, al quale accede ogni altro provvedimento cautelare. Il giudice del dibattimento, al quale è presentato l'imputato per il giudizio direttissimo, si pronuncia pregiudizialmente, con la convalida dell'arresto, sull'esistenza dei presupposti che gli consentono di procedere immediatamente al giudizio ed è competente ad adottare incidentalmente misure cautelari, attratte nella competenza per la cognizione del merito.

Non può dunque esser configurata una menomazione dell'imparzialità del giudice, che adotta decisioni preordinate al proprio giudizio o incidentali rispetto ad esso.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate:

1) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio il giudice che nel dibattimento abbia emanato un provvedimento di custodia cautelare nei confronti dell'imputato per un reato oggetto di contestazione suppletiva, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria con l'ordinanza indicata in epigrafe;

2) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio direttissimo il pretore che abbia convalidato l'arresto ed applicato una misura cautelare nei confronti dell'imputato, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 101 della Costituzione, dal Pretore di Savona con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 maggio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 31 maggio 1996.