Ordinanza n. 159 del 1996

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ORDINANZA N. 159

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 12 dicembre 1994 dal Tribunale per i minorenni di Bologna nel procedimento penale a carico di Ciavardini Luigi, iscritta al n. 194 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 marzo 1996 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

RITENUTO che con ordinanza del 12 dicembre 1994 emessa nel corso di un giudizio penale il Tribunale per i minorenni di Bologna ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, del codice di procedura penale, in riferimento agli articoli 3, 76, 77, primo comma, e 97 della Costituzione;

che, secondo l'esposizione dell'ordinanza di rinvio, i reati contestati nel giudizio a quo all'imputato, minorenne all'epoca dei fatti, sono gli stessi per i quali si procede, in separato giudizio, nei confronti di altri imputati, maggiorenni anche all'epoca dei fatti addebitati; che, inoltre, alla luce del materiale probatorio dedotto dall'accusa, la condotta dei maggiorenni si configurerebbe quale presupposto di quella contestata al minore, nel senso che la responsabilità di quest'ultimo discenderebbe dalla premessa dell'affermazione di reità dei primi;

che, data questa situazione, il Tribunale rimettente osserva che l'art. 2, comma 1, cod. proc. pen., nello stabilire che "il giudice penale risolve ogni questione da cui dipende la decisione", determina, per lo stesso giudice a quo, l'obbligo di effettuare integralmente l'istruttoria dibattimentale intorno all'ipotesi di reità dei coimputati maggiorenni, e non gli consente di attendere la formazione del giudicato nel separato processo a carico dei concorrenti del minore, sebbene tale ultimo processo si trovi in grado (rinvio dalla Corte di cassazione) maggiormente avanzato;

che questa regola di autonomia dei processi, discendente da una opzione del legislatore delegato ma non esplicitamente dettata in un criterio della legge di delegazione n. 81 del 1987, risulterebbe, secondo la prospettazione del giudice rimettente, incoerente con l'assetto del processo penale conseguente a talune modifiche legislative (decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356), e, in particolare, con la disposizione che ha consentito l'ingresso e l'acquisizione nel giudizio di sentenze irrevocabili rese in altro processo (art. 238-bis cod. proc. pen.);

che questa recuperata utilizzabilità probatoria del giudicato penale esterno, attraverso l'acquisizione della decisione al fascicolo per il dibattimento, verrebbe ad incrinare la regola di totale autonomia dei processi, delineando una contraddizione tra la persistente previsione contenuta nella norma impugnata, da un lato, e la utilizzabilità del giudicato formatosi anteriormente, dall'altro;

che, secondo il giudice a quo, ne emerge - anche in conseguenza di paralleli interventi normativi che hanno accentuato nel rito penale i caratteri del processo scritto (artt. 190-bis e 238 cod. proc. pen.), nonché di decisioni della Corte costituzionale - l'esigenza di verificare la conformità a Costituzione dell'anzidetta regola di autonomia del processo, sotto diversi profili;

che un primo profilo di censura è dedotto con riguardo all'art. 3 della Costituzione, assumendosi in contrasto con il principio di eguaglianza e con quello di ragionevolezza il fatto che la prova venga a dipendere da una variabile casuale ed esterna al processo, secondo il tempo di formazione del giudicato penale nel processo separato e la conseguente possibilità di acquisizione della sentenza irrevocabile ex art. 238-bis cod. proc. pen.;

che un secondo profilo concerne il contrasto con la delega legislativa, la quale poteva, in difetto di criterio espresso, giustificare originariamente la formulazione della norma impugnata, ma rispetto alla quale la coerenza di quest'ultima norma è venuta meno a seguito degli interventi normativi e della Corte costituzionale sopra accennati; mentre permane, cogente, la prima direttiva della legge n. 81 del 1987 che impone la massima semplificazione nello svolgimento del processo;

che un terzo profilo è dedotto in relazione all'art. 97 della Costituzione, risultando lesivo del principio del buon andamento dell'amministrazione della giustizia il "costo" processuale e organizzativo che deriva dalla ripetizione di una attività istruttoria già svolta in diverso e anteriore processo; una diseconomia, questa, di particolare rilievo se incidente sul giudice specializzato minorile, non strutturato per affrontare processi di particolare impegno quanto a raccolta delle prove in giudizio, e comunque compromesso nelle sue ordinarie attività dall'anzidetta ripetizione di istruttoria;

che, in conclusione, il Tribunale rimettente formula il quesito di costituzionalità, rispetto ai parametri sopra indicati, in quanto la norma impugnata "non consente di rinviare o sospendere motivatamente (e magari con garanzia di impugnazione) il processo allorché la decisione in qualche modo dipenda da una questione penale da risolvere in via incidentale mentre in altro processo la medesima è oggetto di un accertamento in fase processuale più avanzata. E, in ispecie, non lo consente al tribunale per i minorenni, pure quando, non essendo l'imputato più minorenne, manca la necessità di non ritardare il trattamento giudiziario specialisticamente diretto al "recupero del minore deviante"";

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

CONSIDERATO che, attraverso la formulazione del quesito che si è riportata sopra, il Tribunale rimettente, come esattamente rilevato dall'Avvocatura dello Stato, richiede a questa Corte una pronuncia che reintroduca, nella disciplina processuale vigente, una regolazione dei rapporti tra processi separati modellata sulla falsariga di quella che, nel codice di rito previgente, riguardava le questioni penali pregiudiziali a un procedimento penale (art. 18 cod. proc. pen. abrogato) e che consentiva al giudice del processo "pregiudicato" di rinviare (recte: sospendere) il processo sino alla formazione del giudicato nel processo "pregiudicante";

che una disciplina così configurata supporrebbe, in primo luogo, una relazione di pregiudizialità in senso proprio tra gli oggetti dei due procedimenti, vale a dire un rapporto per cui l'uno costituisca l'antefatto logico-giuridico dell'altro, mentre, come si desume dalla stessa ordinanza di rinvio, la qualificazione di dipendenza dell'uno dall'altro involge piuttosto un rapporto di connessione dei procedimenti, data la contestazione del reato in concorso tra minorenne e maggiorenni (art. 12, comma 1, lettera a) cod. proc. pen.);

che, ferma restando la sicura ininfluenza di questa come di ogni altra situazione di connessione sulla competenza del giudice specializzato minorile, che è valore preminente rispetto all'esigenza di trattazione cumulativa dei processi (sentenza n. 222 del 1983; art. 2, comma 1, direttiva numero 14) e art. 3, comma 1, lettera a) della legge-delega n. 81 del 1987; art. 14, comma 1, cod. proc. pen.), l'osservazione che precede delinea l'infondatezza della censura riferita al parametro dell'art. 3 della Costituzione, giacché la ipotizzata facoltà di sospensione del giudizio che si trova in fase meno avanzata verrebbe essa a dipendere da elementi casuali ed esterni al rapporto tra i processi, assegnando al processo più celere una priorità logica e un connotato pregiudicante che non avrebbero adeguata giustificazione;

che risulta quindi ragionevole, anche rispetto alle generali finalità di speditezza del processo - le quali informano ogni istituto processuale, trovando fondamento nel diritto dell'imputato ad essere giudicato senza ritardi che non siano necessari, diritto riconosciuto anche in campo internazionale -, la prevista latitudine di cognizione del giudice, corollario della più ampia regola di autonomia di ciascun processo e, specificamente, della autosufficienza del processo penale minorile in ragione delle peculiarità del relativo giudizio;

che pertanto la disposizione impugnata, pur se non riferibile a uno specifico criterio direttivo della legge di delegazione, risulta coerente con quest'ultima, per cui la censura riferita al contrasto con gli artt. 76 e 77 della Costituzione non può trovare ingresso;

che, inoltre, neppure può assegnarsi alle modifiche legislative del 1992 indicate dal rimettente una capacità di alterazione di quel quadro sistematico, poiché esse si muovono nella direzione di un incremento delle possibilità di utilizzazione, in un processo, di elementi probatori acquisiti in altro processo, e dunque presuppongono la persistente validità dell'opzione di trattazione autonoma di ciascuna res iudicanda, introducendo alcune varianti di disciplina in funzione della non-dispersione di elementi di prova;

che, in particolare, la previsione dell'art. 238-bis cod. proc. pen., in vista della cui applicazione il Tribunale rimettente ha sollevato il quesito di costituzionalità, lungi dall'assumere la portata di statuizione idonea a risolvere ogni aspetto del thema devoluto alla cognizione del giudice ricevente, si limita a regolare il modo di valutazione della pronuncia irrevocabile resa in separato giudizio, in una logica di economia nella raccolta del materiale utile alla decisione che non intacca il basilare principio, già operante nel vigore dell'art. 18 del precedente codice, per cui ogni giudice è tenuto a formarsi il proprio convincimento in base alle prove di cui dispone e che sono utilizzabili, senza che ad una di tali prove possa essere attribuita efficacia cogente e risolutiva dell'obbligo di apprezzamento e motivazione da parte del giudicante;

che, relativamente alla censura sollevata in relazione all'art. 97 della Costituzione, deve essere ribadito che il parametro invocato non è riferibile all'esercizio della funzione giurisdizionale, nel suo complesso e in relazione ai diversi provvedimenti che costituiscono espressione di tale esercizio (ex plurimis, sentenza n. 84 del 1996; ordinanza n. 18 del 1996);

che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 76, 77, primo comma, e 97 della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Bologna con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 maggio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 maggio 1996.