Sentenza n. 145 del 1996

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 145

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5, primo comma, lettera a), della legge 8 marzo 1968, n. 152 (Nuove norme in materia previdenziale per il personale degli Enti locali), promosso con ordinanza emessa l'8 aprile 1994 dalla Corte dei conti, sezione III giurisdizionale, sul ricorso proposto da Sanna Filippa contro l'INADEL, iscritta al n. 738 del registro ordinanze 1995, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di costituzione di Sanna Filippa nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 marzo 1996 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

udito l'avv. Franco Agostini per Sanna Filippa e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.-- La Corte dei conti, sezione III giurisdizionale, con ordinanza emessa l'8 aprile 1994 e pervenuta alla Corte il 6 ottobre 1995, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, primo comma, lettera a), della legge 8 marzo 1968, n. 152 (Nuove norme in materia previdenziale per il personale degli Enti locali), nella parte in cui limita il riconoscimento del diritto all'assegno vitalizio dell'INADEL ai soli dipendenti cessati dal servizio in età superiore ad anni sessanta, o in quella minore prevista dal regolamento organico, oppure per sopraggiunta inabilità assoluta e permanente comprovata con visita medico-collegiale da richiedersi nel termine perentorio di un anno dalla data di cessazione.

Il giudice rimettente, dopo aver premesso in fatto che motivo della controversia è una deliberazione dell'INADEL con la quale è stata negata alla ricorrente, Filippa Sanna, già infermiera professionale cessata dal servizio per dimissioni volontarie dopo 4 anni e 9 mesi di iscrizione, l'assegno vitalizio di cui alla legge n. 152 del 1968 per assenza del requisito di cui all'art. 5 di tale legge, richiama, in diritto, la sentenza n. 204 del 1972 di questa Corte, con la quale era stata dichiarata l'illegittimità costituzionale di una disposizione (regolatrice della materia degli assegni vitalizi dell'INADEL prima della legge n. 152 del 1968), nella parte in cui escludeva la concessione di detto assegno qualora il dipendente fosse cessato dal servizio per motivi dipendenti dalla sua volontà, ovvero fosse in godimento di pensione ad altro titolo. La Corte ravvisò in quella circostanza il contrasto con l'art. 36 della Costituzione, dovendosi ritenere l'assegno vitalizio parte della retribuzione differita.

Le stesse ragioni poste a fondamento di quella decisione rendono evidente, a giudizio del giudice rimettente, il contrasto della norma impugnata in questa sede con l'art. 36 della Costituzione.

2.-- Nel giudizio davanti a questa Corte si è costituita Filippa Sanna, concludendo per l'accoglimento della questione per le stesse ragioni già esposte dal giudice rimettente nell'ordinanza di rimessione.

3.-- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di costituzionalità sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.

Rileva la difesa erariale che, a differenza della norma dichiarata costituzionalmente illegittima, la disposizione in esame non riguarda la perdita di un diritto di cui era prevista la maturazione e che di fatto era già maturato, quanto invece un trattamento eccezionale per il quale, più che al concetto di retribuzione differita, occorre fare ricorso a quello di assistenza sociale, in ragione dell'età o dello stato di salute del beneficiario. In virtù di tali differenti ragioni, la corresponsione dell'assegno non troverebbe valida giustificazione, non potendosi essa ricondurre al regime pensionistico, al quale attiene il concetto di retribuzione differita.

Si ritiene pertanto che al legislatore correva l'obbligo di stabilire le condizioni minime per dar luogo a retribuzione differita ovvero ad intervento assistenziale: condizioni delle quali il dipendente era o doveva comunque essere a conoscenza.

4.-- In prossimità dell'udienza ha presentato memoria la difesa della parte privata insistendo per le già formulate conclusioni.

Considerato in diritto

1.-- Il giudice a quo ritiene che la disposizione di cui all'art. 5, primo comma, lettera a), della legge 8 marzo 1968, n. 152 (Nuove norme in materia previdenziale per il personale degli Enti locali), relativa alle condizioni per la concessione dell'assegno vitalizio, sia in contrasto con l'art. 36 della Costituzione per le stesse ragioni che giustificarono la pronuncia n. 204 del 1972, con la quale questa Corte dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'art. 11, primo e terzo comma, della legge 13 marzo 1950, n. 120, che regolava la stessa materia prima della disciplina che forma oggetto del presente giudizio.

In particolare, l'ordinanza di rimessione rileva che la citata sentenza n. 204 pronunciò l'incostituzionalità di quella precedente disposizione nella parte in cui veniva esclusa la concessione di detto assegno qualora il dipendente fosse cessato dal servizio per motivi dipendenti dalla sua volontà, in quanto l'assegno vitalizio era da ritenere parte della retribuzione differita e non poteva quindi essere negato al lavoratore, senza violare il principio della giusta retribuzione previsto dall'art. 36 della Costituzione.

2.-- La questione non è fondata.

Va premesso che nel caso di specie (dimissioni, 8 ottobre 1973) è ancora applicabile la citata disposizione del 1968 sulla concessione degli assegni vitalizi a carico dell'INADEL, dal momento che solo con la legge 29 aprile 1976, n. 177, dette disposizioni sono state abrogate.

Il precedente giurisprudenziale di questa Corte (sentenza n. 204 del 1972), sul quale fa leva l'ordinanza di rimessione, non è pertinente, dato che in quel caso fu dichiarata l'illegittimità costituzionale della disposizione del 1950, allora impugnata, nella parte in cui essa subordinava "la concessione dell'assegno vitalizio alla condizione che il collocamento a riposo abbia luogo per motivi indipendenti dalla sua volontà". Ed invero, nella successiva legge n. 152 del 1968, che forma oggetto del presente giudizio, tale condizione non fu ripetuta.

L'ordinanza di rimessione implicitamente riconosce che l'INADEL ha negato l'assegno non in quanto la cessazione dal servizio è avvenuta per dimissioni volontarie, bensì per l'assenza di altri requisiti: essa infatti rileva che il rifiuto dell'assegno è avvenuto "in applicazione del disposto dell'art. 5, lettera a), che limita il riconoscimento di tale diritto al caso che il dipendente sia cessato dopo il compimento dell'età di anni 60, ovvero sia divenuto inabile al lavoro in modo assoluto e permanente".

3.-- Può dedursi dall'ordinanza che il giudice a quo ravvisi la non conformità ai principi costituzionali per il fatto che la norma pone non consentite condizioni alla spettanza dell'assegno vitalizio; e ciò per il solo motivo che questo assegno avrebbe natura di retribuzione differita.

Ma anche tale prospettazione è destituita di fondamento.

Ed invero, a parte l'orientamento della Corte di cassazione circa la natura assistenziale di detto assegno vitalizio, e pur ammettendo che tale assegno abbia natura previdenziale o una concorrente natura di retribuzione differita, ciò non è in ogni caso sufficiente a far ritenere illegittima qualsiasi condizione che la legge ponga alla sua concessione, dal momento che i contributi versati dal lavoratore o trattenuti dal datore di lavoro ai fini di detto trattamento si innestano in un meccanismo di tipo assicurativo, la cui fruibilità non può prescindere dalla contemporanea sussistenza di altri fattori (di età, di lavoro o economici) ritenuti necessari.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, primo comma, lettera a), della legge 8 marzo 1968, n. 152 (Nuove norme in materia previdenziale per il personale degli Enti locali), sollevata, in riferimento all'art. 36 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione III giurisdizionale, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 maggio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 7 maggio 1996.