Sentenza n. 121 del 1996

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SENTENZA N. 121

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 9, della legge 15 febbraio 1980, n. 25 -- recte: del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 629 (Dilazione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio per gli immobili adibiti ad uso di abitazione e provvedimenti urgenti per l'edilizia), convertito in legge 15 febbraio 1980, n. 25 --, promosso con ordinanza emessa il 28 luglio 1995 dal Pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra lo IACP di Bologna e Vrahulaki Costantia, iscritta al n. 654 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 febbraio 1996 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto in fatto

1.-- Nel corso di un giudizio promosso dallo IACP di Bologna nei confronti di Vrahulaki Costantia avente ad oggetto la convalida dello sfratto per finita locazione relativa ad un alloggio di edilizia residenziale pubblica, il Pretore di Bologna, con ordinanza emessa il 28 luglio 1995, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 9, della legge 15 febbraio 1980, n. 25 -- recte: del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 629 (Dilazione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio per gli immobili adibiti ad uso di abitazione e provvedimenti urgenti per l'edilizia), convertito in legge 15 febbraio 1980, n. 25 --, nella parte in cui consente alla pubblica amministrazione di procedere all'assegnazione di alloggi popolari a mezzo di contratto interamente disciplinato dalla legge 27 luglio 1978, n. 392 con conseguente facoltà per il locatore di far cessare l'assegnazione dell'alloggio ad nutum alla scadenza del contratto senza attribuire alcuna rilevanza ai requisiti che, in base alla stessa legge, devono sussistere ai fini dell'assegnazione.

A parere del giudice a quo non sembrerebbe conciliabile con le finalità pubblicistiche perseguite dalla normativa disciplinante l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica la prevista libertà del locatore di recedere dal contratto alla sua scadenza. Né sarebbe giustificabile, in assenza di qualsiasi mutamento dei requisiti che hanno dato luogo all'assegnazione dell'alloggio, il rifiuto da parte del locatore di rinnovare il contratto e di mantenere così in vita quell'assegnazione operata sulla scorta dei requisiti tuttora ricorrenti.

La norma impugnata, pertanto, creerebbe ingiustificatamente un diverso e più penalizzante regime di assegnazione per determinate categorie di assegnatari; inoltre, la mancata previsione dell'obbligo per la pubblica amministrazione di considerare se alla scadenza del contratto persistano o meno le ragioni che avevano giustificato l'assegnazione dell'alloggio, comporterebbe il venir meno al dovere di solidarietà di cui all'art. 2 della Costituzione nonché al dovere di rimuovere gli ostacoli d'ordine economico che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, di cui all'art. 3 della Costituzione.

Infine, la norma contrasterebbe con i canoni di buon andamento e di "razionalità" imposti alla pubblica amministrazione, in quanto le si consente di sfrattare persone cui l'alloggio popolare era stato assegnato in base alla considerazione, legislativamente prevista, del fatto di essere state sfrattate da un alloggio privato.

2.-- Nel giudizio avanti alla Corte costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato che ha concluso per la infondatezza della questione.

Ha osservato la difesa erariale che la finalità della legge n. 25 del 1980 è quella di assicurare a chi ne abbia urgente bisogno in vista dell'imminente perdita dell'alloggio attualmente goduto, un'abitazione del patrimonio immobiliare comunale, a condizioni diverse a seconda del reddito percepito, senza che a ciò consegua la stabilità nel tempo della assegnazione, rimanendo il Comune libero di gestire gli immobili secondo le generali esigenze di mercato.

Considerato in diritto

1.-- La questione sottoposta all'esame di questa Corte è se l'art. 7, comma 9, della legge 15 dicembre 1980, n. 25 (recte: del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 629, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 15 febbraio 1980, n. 25), nella parte in cui consente alla pubblica amministrazione di procedere all'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica a mezzo di contratto interamente disciplinato dalla legge 27 luglio 1978 n. 392 con conseguente facoltà di far cessare l'assegnazione dell'alloggio alla scadenza del contratto, sia in contrasto: con l'art. 2 della Costituzione per il venir meno al dovere di solidarietà; con l'art. 3 della Costituzione in quanto crea per alcune categorie di assegnatari un diverso e più penalizzante regime di assegnazione; con l'art. 3, secondo comma, della Costituzione per il venir meno al dovere di rimuovere gli ostacoli d'ordine economico che impediscono il pieno sviluppo della persona umana; con l'art. 97 della Costituzione in quanto si consente alla pubblica amministrazione di sfrattare persone cui l'alloggio di proprietà pubblica era stato assegnato perché sfrattate da altro alloggio di proprietà privata.

2.-- La questione non è fondata.

Va premesso che il legislatore, affrontando i vari problemi relativi alla esecuzione degli sfratti con il decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 629 (Dilazioni dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio per gli immobili adibiti ad uso di abitazione e provvedimenti urgenti per l'edilizia), dispose, tra l'altro, finanziamenti ai Comuni per l'acquisto di immobili da assegnare "ai soggetti nei cui confronti sia stato emesso provvedimento esecutivo di rilascio di immobili locati ad uso di abitazione". Si stabiliva anche che l'assegnazione "è effettuata in locazione con contratto interamente disciplinato dalla legge 27 luglio 1978, n. 392", fissandosi una serie di condizioni, tra le quali quella che gli assegnatari avessero un reddito non superiore ad una certa misura e che non avessero già ottenuto l'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica. Ai sensi del comma 11 del citato art. 7 della legge medesima, si prevedeva inoltre che "il Comune, stipulato il contratto di locazione, può cedere gratuitamente la proprietà dell'immobile all'Istituto autonomo case popolari competente per territorio".

3.-- Il giudice a quo, partendo dalla premessa che l'assegnazione degli alloggi operata secondo la precedente legge sarebbe sostanzialmente equiparabile all'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, dubita della legittimità costituzionale della norma impugnata nella parte in cui prevede che il contratto resti interamente assoggettato alle norme sull'equo canone. In particolare, osserva il giudice rimettente che, in assenza del mutamento di alcuni requisiti (in capo all'assegnatario) per ottenere l'assegnazione (reddito non superiore ad un certo livello e impossidenza di altri alloggi), sarebbe del tutto ingiustificato il rifiuto da parte della pubblica amministrazione di rinnovare il contratto.

4.-- Deve verificarsi preliminarmente se sia esatto il presupposto da cui muove l'ordinanza di rimessione, quello cioè della equiparazione dell'assegnazione dell'alloggio in questione a quella degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e quindi del perseguimento delle stesse finalità pubbliche.

Questa Corte ritiene, al contrario, che le due predette situazioni non siano equiparabili. La vera e propria edilizia residenziale pubblica è caratterizzata da particolari condizioni relative ai requisiti degli assegnatari (soprattutto il basso reddito familiare), al sistema del concorso per la selezione degli assegnatari stessi, ai criteri speciali e dettagliatamente previsti per la determinazione del "canone sociale", e quindi alla stabilità del rapporto, svincolato dalle norme sul c.d. equo canone.

Viceversa l'assegnazione di alloggi agli sfrattati risponde alla diversa ratio di fronteggiare una situazione di temporanea emergenza, ovviando alla particolare difficoltà in cui può trovarsi una famiglia che non dispone ancora di un altro alloggio al momento in cui si esegue lo sfratto.

Questa diversa logica di fondo non resta alterata - ma anzi è confermata - dal fatto che la legge preveda anche il requisito che gli interessati abbiano un determinato reddito (che è comunque superiore a quello previsto per l'edilizia pubblica) e che non siano già assegnatari di altri alloggi.

Alla differenza di ratio e di condizioni delle due situazioni razionalmente corrisponde una differenziazione degli effetti: dalla assegnazione degli alloggi agli sfrattati per ragioni di emergenza e dall'assoggettamento del rapporto di locazione alle norme della legge sull'equo canone deriva che questi contratti sono disdettabili alla normale scadenza prevista dalla legge avendo avuto il conduttore un congruo tempo per trovarsi altro alloggio; e ciò anche al fine di destinare gli alloggi ad altre famiglie che si trovino in analoghe difficoltà a seguito dell'esecuzione degli sfratti.

Nella specie, al conduttore fu intimato lo sfratto nel 1989, allo stesso fu dato in locazione l'alloggio di emergenza dal Comune di Bologna, nel quale tuttora si trova nonostante che l'IACP gli abbia notificato la disdetta nel 1994.

Una volta riconosciuta la ragionevolezza della diversificazione di disciplina, per ritenere insussistente l'ulteriore denuncia circa la violazione dell'art. 2 della Costituzione, è sufficiente ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenze nn. 252 del 1989 e 404 del 1988), il diritto all'abitazione tende ad essere realizzato in proporzione delle risorse della collettività; solo il legislatore, infatti, "misurando le effettive disponibilità e gli interessi con esse gradualmente satisfattibili, può razionalmente provvedere a rapportare mezzi a fini, e costruire puntuali fattispecie giustiziabili espressive di tali diritti fondamentali" (sentenza n. 252 del 1989). In particolare, il diritto sociale all'abitazione viene in considerazione quale esigenza di conservare il tetto "fino alla normale consumazione della durata quadriennale del rapporto, come stabilita ex lege."

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 9, del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 629 (Dilazione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio per gli immobili adibiti ad uso di abitazione e provvedimenti urgenti per l'edilizia), convertito in legge 15 febbraio 1980, n. 25, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 97 della Costituzione, dal Pretore di Bologna con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 aprile 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 18 aprile 1996.