Sentenza n. 117 del 1996

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SENTENZA N. 117

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 2, della legge 31 maggio 1990, n. 128 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), promossi con cinque ordinanze emesse il 14 dicembre 1994 dal TAR della Puglia, rispettivamente iscritte ai nn. 375, 376, 377, 378 e 379 del registro ordinanze 1995 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, n. 26 dell'anno 1995.

Visti gli atti di costituzione di Giovanni Gianciotta, Luigi Como, Francesco Paolo Addario, Francesco Lagreca ed altro;

visto l'atto di intervento di Giuseppe Leone ed altri, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 9 gennaio 1996 il Giudice relatore Massimo Vari;

uditi gli avv.ti Pasquale Medina e Franco G. Scoca per Giovanni Gianciotta e per Giuseppe Leone ed altri; Alberto Bagnoli e Franco G. Scoca per Luigi Como, Francesco Paolo Addario, Francesco Lagreca ed altro, nonché l'Avvocato dello Stato Adolfo Mutarelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.-- Con cinque ordinanze di analogo contenuto, tutte emesse il 14 dicembre 1994 (R.O. nn. 375, 376, 377, 378 e 379 del 1995), il Tribunale amministrativo regionale della Puglia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 97 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 2, della legge 31 maggio 1990, n. 128 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), "nella parte in cui dispone che fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti del Governo sono fatti salvi gli inquadramenti stabiliti nei ruoli nominativi regionali approvati e resi esecutivi ai sensi della legislazione vigente alla data del 31 dicembre 1987".

Il giudice rimettente -- premesso che i giudizi a quibus riguardano la legittimità del provvedimento (n. 6903 del 1992) con il quale la Regione Puglia ha annullato d'ufficio una propria precedente delibera (n. 8516 del 1984) e gli altri atti connessi, che avevano consentito inquadramenti del personale più favorevoli di quelli spettanti in applicazione dell'art. 64 del d.P.R. n. 761 del 1979 -- ritiene che, alla luce della "clausola di moratoria o di salvaguardia disposta dal legislatore nel 1990", "gli inquadramenti contestati non potevano essere rimossi".

Tuttavia -- osserva l'ordinanza -- la disposta salvaguardia degli inquadramenti in questione, essendo collegata ad un evento futuro e incerto, consegnerebbe alla volontà meramente potestativa di un organo amministrativo (Governo) la permanenza nell'ordinamento di inquadramenti quanto meno sospetti di illegittimità, sottraendoli non solo ai poteri di autotutela delle amministrazioni interessate, ma anche all'accertamento stesso del giudice.

Secondo il rimettente sarebbe violato:

1) l'art. 97 della Costituzione, sotto il profilo del principio del buon andamento, in quanto si impedirebbe all'amministrazione "non solo di predisporre una definitiva distribuzione del personale per una migliore soddisfazione delle esigenze di lavoro, ma anche di utilizzare il personale in relazione alle qualifiche effettivamente spettanti", considerato che con gli inquadramenti oggetto di contestazioni agli interessati risultano attribuite posizioni funzionali superiori a quelle spettanti in base alla stretta interpretazione dell'art. 64 del d.P.R. n. 761 del 1979, in difetto, cioè, di quei requisiti dai quali deriva beneficio sia per l'utenza che per la stessa amministrazione;

2) lo stesso art. 97 della Costituzione sotto il profilo dell'imparzialità dell'azione amministrativa in quanto -- oltre a risultare fortemente minato il principio della certezza dei rapporti giuridici dalla mancanza per il Governo di un obbligo di adempimento in un tempo stabilito -- potrebbe verificarsi che "il personale proveniente da alcuni enti pubblici ottenga, in qualche regione, 'equiparazione' più favorevole" rispetto a quella riscontrabile in altre regioni per personale con le medesime qualifiche, con effetti di sostanziale disparità anche in occasione di procedure di copertura di posti mediante mobilità interregionale;

3) l'art. 3 della Costituzione, in quanto l'incertezza dei dipendenti circa il proprio status giuridico-economico si risolverebbe "in una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti degli altri appartenenti al servizio sanitario nazionale la cui posizione funzionale è stata definita secondo il regime normativo ordinario" e, specularmente, a svantaggio di questi ultimi, per la circostanza che "a parità di requisiti, per lungo tempo altri dipendenti, a causa dell'inerzia governativa, si trovino a rivestire qualifiche superiori in ipotesi non spettanti", continuando ad occupare posti che diversamente potrebbero essere "disponibili per mobilità o per concorso;

4) infine, l'art. 113 della Costituzione, in quanto la disposizione denunciata, non consentendo né all'amministrazione né ai dipendenti -- per un tempo che solo il Governo ha la potestà di rendere determinato -- "di far definire da un giudice la legittimità o meno degli originari provvedimenti di inquadramento", contrasterebbe sia con il diritto alla tutela giurisdizionale sia con il divieto di esclusioni o limitazioni della medesima.

2.-- Taluni dei ricorrenti nei giudizi che hanno dato luogo alle ordinanze di rimessione, segnatamente quelle di cui al registro ordinanze nn. 375, 376, 377 e 378 -- e cioè Gianciotta Giovanni, Como Luigi, Addario Francesco Paolo, Lagreca Francesco e Rubino Angelo -- si sono costituiti innanzi a questa Corte chiedendo, con atti di analogo contenuto, una declaratoria di inammissibilità o comunque di manifesta irrilevanza e infondatezza della questione proposta.

La questione sollevata sarebbe infatti inammissibile, in ragione della sua astrattezza, dal momento che il vizio denunziato non risulterebbe lesivo degli interessi che la parte processuale intende far valere in sede giurisdizionale. Inoltre, la stessa sarebbe "abnorme", sia perché lo stesso TAR Puglia ha già ritenuto fondato il motivo di censura formulato avverso la delibera regionale impugnata con riferimento al vizio di violazione di legge; sia perché la questione risulta proposta "al solo e dichiarato fine di respingere una domanda" proposta "dall'unica parte titolare di un interesse qualificato fatto valere nel giudizio" a quo.

Nel merito, la difesa delle parti private deduce:

a) che la norma denunciata, proprio in ossequio al principio di buon andamento, intendeva assicurare "il normale funzionamento degli uffici" preposti alla tutela della salute, scongiurando il pericolo del proliferare, fino all'adozione dei provvedimenti governativi, di un inevitabile contenzioso;

b) che le norme di favore, avendo "palese carattere derogatorio", "non sono sindacabili dal giudice della legittimità costituzionale, se non quando esse si appalesano ingiustificate o irrazionali";

c) che la tutela assicurata dall'art. 113 è correlata alla difesa di diritti e interessi legittimi e non "alla possibilità per la p.a. di vedere accertata in giudizio (...) la legittimità dell'esercizio del potere dalla stessa esercitato con l'adozione di atti idonei a conculcare diritti e interessi legittimi di terzi".

3.-- In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo, con atti di identico contenuto, per l'infondatezza della questione.

Premesso che lo stesso TAR Puglia ha riconosciuto (sentenza n. 312 del 1992) nella norma impugnata "evidenti contenuti di sostanziale sanatoria fino a quando il Governo non adotterà i provvedimenti relativi", in riferimento ad inquadramenti "la cui perdurante operatività è espressamente prevista dalla legge" di cui trattasi, la difesa erariale rileva che "la radicale riorganizzazione della sanità pubblica ha comportato, nel primo periodo della riforma, la necessità di una normativa transitoria".

Tanto premesso la questione sarebbe infondata:

1) quanto all'art. 97 della Costituzione, perché la norma impugnata risulterebbe "sufficientemente giustificata dalla particolarità della situazione da disciplinare e dall'obiettivo specifico del legislatore: offrire un primo assetto del personale delle UU.SS.LL. previa utilizzazione di quello degli enti soppressi";

2) quanto all'art. 3 della Costituzione, poiché se "da un lato la lamentata disparità di trattamento non pare sussistere attesa la natura transitoria della normativa, dall'altro lato è proprio la transitorietà della disposizione che giustifica il riconoscimento dei diritti quesiti del personale già inquadrato nei ruoli nominativi regionali alla data del 31 dicembre 1990";

3) quanto all'art. 113 della Costituzione, poiché la censura "non pare rivolgersi ad ipotesi di limitazione o esclusione della tutela giurisdizionale, quanto, piuttosto, alla disciplina delle modalità della tutela stessa", si configurerebbe un'ipotesi di "giurisdizione condizionata", dove la condizione sarebbe rappresentata dall'emanazione dei provvedimenti governativi di cui alla norma in esame.

4.-- Nel giudizio introdotto dall'ordinanza di cui al r. o. n. 378 del 1995, hanno depositato atto di intervento Giuseppe Leone, Vito Lozito, Mauro Buonvino, Donato Ceglie, Vittorio Monaci, Natale Patrone, Attilio Di Turi, Bruno Caldaropoli, Francesco Paccione, Giacinto Felle, Filippo Tota, Giuseppe Sorrenti, Marco Azzolini e Ignazio Damiani, che, pur non essendo parti nel processo a quo, assumono l'esistenza di un interesse ad intervenire, per l'"oggettivo e 'condizionante' collegamento fra i giudizi pendenti avanti al TAR Puglia ed attualmente sospesi ed il giudizio di costituzionalità sollevato dallo stesso TAR Puglia con ordinanza n. 91 del 1995".

Considerato in diritto

1.-- Con le cinque ordinanze di cui in epigrafe, tutte di analogo contenuto, il Tribunale amministrativo regionale della Puglia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 97 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 2, della legge 31 maggio 1990, n. 128 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), "nella parte in cui dispone che fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti del Governo sono fatti salvi gli inquadramenti nei ruoli nominativi regionali approvati e resi esecutivi ai sensi della legislazione vigente alla data del 31 dicembre 1987".

Secondo il giudice rimettente la disposizione si porrebbe in contrasto con:

-- l'art. 97 della Costituzione, in quanto, violando il principio del buon andamento, impedirebbe all'amministrazione "non solo di predisporre una definitiva distribuzione del personale per una migliore soddisfazione delle esigenze di lavoro, ma anche di utilizzare il personale in relazione alle qualifiche effettivamente spettanti", considerato che, con gli inquadramenti oggetto di contestazione, agli interessati risultano attribuite posizioni funzionali superiori a quelle spettanti in base alla stretta interpretazione dell'art. 64 del d.P.R. n. 761 del 1979, in difetto, cioè, di quei requisiti dai quali deriva beneficio sia per l'utenza che per la stessa amministrazione;

-- lo stesso art. 97 della Costituzione, sotto il profilo dell'"imparzialità" dell'azione amministrativa, in quanto -- oltre a risultare fortemente minato il principio della certezza dei rapporti giuridici dalla mancanza per il Governo di un obbligo di adempimento in un tempo stabilito -- potrebbe verificarsi che "il personale proveniente da alcuni enti pubblici abbia ottenuto, in qualche regione, 'equiparazione' più favorevole rispetto a quella effettuata da altre regioni nell'inserire personale con le medesime qualifiche nei propri ruoli nominativi", con effetti di sostanziale disparità, anche in occasione di procedure di copertura di posti mediante mobilità interregionale;

-- l'art. 3 della Costituzione, in quanto l'incertezza dei dipendenti circa il proprio status giuridico-economico e la conseguente precarietà della posizione si risolverebbe "in una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti degli altri appartenenti al Servizio sanitario nazionale la cui posizione funzionale è stata definita secondo il regime normativo ordinario" e, specularmente, a svantaggio di questi ultimi, per la circostanza che "a parità di requisiti, per lungo tempo altri dipendenti, a causa dell'inerzia governativa, si trovino a rivestire qualifiche superiori, in ipotesi non spettanti", continuando ad occupare posti che diversamente potrebbero essere "disponibili per mobilità o per concorso";

-- l'art. 113 della Costituzione, in quanto non si consentirebbe né all'amministrazione né ai dipendenti, per un tempo che è nella potestà del Governo di rendere determinato, di "far definire da un giudice la legittimità o meno degli originari provvedimenti di inquadramento", in contrasto sia con il diritto alla tutela giurisdizionale sia con il divieto di esclusioni o limitazioni della mede- sima, attraverso atti "demandati al potere del Governo".

2.-- Va pregiudizialmente disposta la riunione dei giudizi che, avendo ad oggetto la stessa questione, possono essere decisi con un'unica sentenza.

3.-- Sempre in via pregiudiziale va dichiarato inammissibile l'atto di intervento proposto, nel giudizio di cui al n. 378 del registro ordinanze 1995, da Leone Giuseppe, Lozito Vito, Buonvino Mauro, Ceglie Donato, Monaci Vittorio, Patrone Natale, Di Turi Attilio, Caldaropoli Bruno, Paccione Francesco, Felle Giacinto, Tota Filippo, Sorrenti Giuseppe, Azzolini Marco e Damiani Ignazio, i quali asseriscono, a fondamento dell'interesse all'intervento stesso, la sussistenza di "un oggettivo e 'condizionante' collegamento fra i giudizi pendenti avanti al TAR della Puglia ed attualmente sospesi e il giudizio di costituzionalità sollevato dallo stesso TAR", con riferimento, verosimilmente, a giudizi dei quali i predetti sono parte, ma che sono diversi da quelli che hanno dato luogo al presente incidente di costituzionalità.

La Corte non ritiene qui di discostarsi dal ripetuto orientamento secondo il quale nel giudizio incidentale non è consentita la costituzione, in via di principio, di soggetti che non siano stati parti nel giudizio a quo.

4.-- Ancora in via pregiudiziale, va disattesa l'eccezione proposta dalle parti private regolarmente costituite innanzi alla Corte, le quali assumono l'inammissibilità della questione sollevata perché l'accoglimento della medesima avrebbe l'effetto di far respingere la domanda proposta dai ricorrenti nel giudizio a quo.

L'eccezione si fonda infatti su un assunto che non può essere condiviso e cioè che le questioni incidentali di legittimità costituzionale siano ammissibili solo in quanto preordinate alla tutela o alla soddisfazione dell'interesse fatto valere innanzi al giudice rimettente.

Come la Corte ha già avuto occasione di affermare (v. sentenza n. 415 del 1991), la rilevanza di una determinata questione di costituzionalità prescinde dagli ipotetici effetti di cui potrebbero beneficiare le parti in causa, dovendo essere valutata in relazione alla semplice applicabilità nel giudizio a quo della disposizione di cui si contesta la legittimità costituzionale e quindi all'influenza che sotto tale profilo il giudizio di costituzionalità può esercitare su quello dal quale proviene la questione.

5.-- Nel merito la questione è fondata.

Ai fini della più compiuta valutazione della stessa, la Corte ritiene opportuno prendere le mosse dal contesto normativo nel quale si colloca la disposizione censurata, di cui sono parte integrante, da un lato, l'art. 64 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 e, dall'altro, l'art. 116 del d.P.R. 20 maggio 1987, n. 270. La prima disposizione, e cioè l'art. 64 del d.P.R. n. 761 del 1979 -- nel regolare il passaggio, nei ruoli nominativi regionali, del personale proveniente dagli enti e dalle amministrazioni le cui funzioni erano state trasferite alle Unità sanitarie locali ai sensi della legge 23 dicembre 1978, n. 833 -- ne stabilì l'inquadramento in base alla tabella di equiparazione di cui all'allegato 2 allo stesso d.P.R. La seconda disposizione, e cioè l'art. 116 del d.P.R. 20 maggio 1987, n. 270, nel recepire le norme dell'accordo sindacale, per il triennio 1985-1987, relativo al comparto del Servizio sanitario nazionale, dispose che, ove i provvedimenti in materia di promozioni e inquadramento del personale dipendente -- assunti nel periodo fra la emanazione del predetto decreto presidenziale del 1979 e il 31 dicembre 1985 -- avessero formato oggetto di contestazioni, il Governo avrebbe adottato, "sentite le regioni, l'ANCI, l'UNCEM e le organizzazioni sindacali firmatarie" dell'accordo di categoria, i provvedimenti di sua competenza, entro il 31 dicembre 1987.

L'art. 28, comma 1, della legge 31 maggio 1990, n. 128, ricollegandosi alle disposizioni testé rammentate, ha prorogato fino al 31 dicembre 1990 detto termine, stabilendo al comma 2 -- disposizione sulla quale si appuntano le censure del giudice rimettente -- la salvezza fino alla stessa data, "e comunque fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti del Governo", degli "inquadramenti stabiliti nei ruoli nominativi regionali approvati e resi esecutivi ai sensi della legislazione vigente alla data del 31 dicembre 1987".

6.-- Da quanto riferito emerge che la disposizione censurata, nel prevedere la salvaguardia, ancorché in via provvisoria, di inquadramenti e promozioni che abbiano formato oggetto di contestazione, ha inteso conferire temporanea efficacia ad atti assunti in difformità dai principi fissati dall'art. 64 del d.P.R. n. 761 del 1979, in attesa dell'adozione da parte del Governo dei provvedimenti di sua competenza.

In via generale, va ricordato che la Corte, in numerose sue pronunzie, ha ritenuto competere al legislatore ordinario ampia discrezionalità nel disciplinare l'inquadramento e la carriera del personale dipendente; ma questo non senza evidenziare l'indissolubile rapporto che, sul piano della razionalità degli assetti in chiave di efficienza degli apparati e di tutela delle aspettative degli interessati, deve sussistere fra assegnazione del personale alle varie funzioni e professionalità posseduta dai dipendenti destinatari dell'inquadramento stesso (da ultimo sentenza n. 1 del 1996).

La disposizione denunciata, attraverso il generico richiamo ai "provvedimenti del Governo", comporta -- specie se considerata nella sequenza temporale che la lega ai precedenti testi normativi -- un rinvio sine die di adempimenti di fondamentale rilievo per il corretto inquadramento dei dipendenti del Servizio sanitario nazionale, materia da ritenere affidata precipuamente alle competenze amministrative delle Regioni.

Ne deriva un assetto del tutto precario delle posizioni del personale, a prescindere dal fatto che si tratti di provvedimenti di inquadramento più o meno favorevoli, con ulteriore conseguente paralisi di eventuali iniziative, anche in via di autotutela, da parte delle amministrazioni, sì da non potersi individuare, nel complesso, altra ratio ispiratrice, nella disposizione censurata, che non sia quella diretta al consolidamento di situazioni di illegittimità.

In tal modo la norma appare in contrasto con l'art. 97 della Costituzione, in quanto contraria al principio del buon andamento nonché alle esigenze di una razionale e coerente attività di amministrazione, contribuendo a perpetuare -- specie se si considera il tempo ormai trascorso dagli iniziali inquadramenti operati ai sensi dell'art. 64 del d.P.R. n. 761 del 1979 -- una transitorietà di disciplina che impedisce all'amministrazione di procedere ad una definitiva distribuzione ed utilizzazione del personale in relazione alle qualifiche effettivamente spettanti, con il rischio oltre tutto di situazioni di disparità di trattamento fra i dipendenti, a seconda dell'ente di appartenenza.

L'accoglimento della questione nei termini sopra precisati assorbe ogni altro profilo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, comma 2, della legge 31 maggio 1990, n. 128 (Proroga dei termini previsti da disposizioni legislative), limitatamente alle parole "e comunque fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti del Governo".

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 aprile 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 18 aprile 1996.