Ordinanza n. 101 del 1996

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ORDINANZA N.101

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 309, comma 9, del codice di procedura penale, in quanto richiamato dall'art. 324, comma 7, dello stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 24 novembre 1994 dal Tribunale di Catanzaro sulla richiesta di riesame proposta da Paone Giuseppe, iscritta al n. 128 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 marzo 1996 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

RITENUTO che, chiamato a decidere sulla richiesta di riesame avverso il decreto con il quale il Giudice per le indagini preliminari presso la locale Pretura circondariale aveva disposto il sequestro preventivo di un cantiere edile, richiesta in cui si deduceva, fra l'altro, la nullità dell'atto impugnato per difetto assoluto di motivazione, il Tribunale di Catanzaro ha, con ordinanza del 24 novembre 1994, sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 309, comma 9, del codice di procedura penale, così come richiamato dall'art. 324, comma 7, dello stesso codice, "nella parte in cui prevede che il tribunale del riesame possa confermare il provvedimento impugnato, per ragioni diverse da quelle enunciate nella motivazione dello stesso, anche nell'ipotesi della rilevata nullità per vizio di motivazione del provvedimento riesaminato";

che, in punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che il decreto di sequestro non specifica in alcun modo in che termini ed in qual misura le caratteristiche dell'insediamento edilizio in corso di costruzione ed assoggettato alla cautela contrastino con le vigenti prescrizioni di piano per l'attività di edificazione sui terreni destinati a zona agricola, cosicché, a norma degli artt. 125, comma 3, e 321, comma 1, del codice di procedura penale, il decreto in questione dovrebbe ritenersi affetto da nullità; un vizio che però non potrebbe essere rilevato, con impossibilità della caducazione del provvedimento stesso, perché il combinato disposto, così come denunciato, conferisce al giudice del riesame il potere di confermare il provvedimento cautelare anche per ragioni diverse da quelle in esso indicate: il che, secondo il costante indirizzo giurisprudenziale, equivarrebbe a precludere l'esercizio del potere demolitorio dovendo comunque il tribunale integrare o completare la carente o insufficiente motivazione dell'atto impugnato anche nell'ipotesi in cui la nullità venga eccepita dall'interessato;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata "irrilevante e comunque non fondata";

che, in via principale, l'atto di intervento addebita al giudice a quo di aver avanzato un mero dubbio interpretativo, anche considerando che la giurisprudenza circa i poteri integrativi del giudice del riesame non è così consolidata come assume il rimettente;

che, in via subordinata, l'atto di intervento ritiene comunque non violati gli invocati parametri costituzionali; e ciò perché il nuovo codice prevede un procedimento incidentale in contraddittorio (con una recisa demarcazione tra riesame ed appello); cosicché, pure seguendo l'interpretazione additata dal giudice a quo, il fatto che il tribunale del riesame possa integrare un provvedimento nullo per difetto di motivazione rappresenta una più efficace e concreta garanzia per il diritto di difesa.

CONSIDERATO che, a parte ogni riserva quanto alla effettiva lesione da parte della norma, così come denunciata dal giudice a quo, dei parametri costituzionali invocati, l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato deve essere condivisa;

che l'interpretazione dell'art. 309, comma 9, del codice di procedura penale, richiamato dall'art. 324, comma 7, dello stesso codice, per quanto prevalente, non rappresenta una soluzione ermeneutica costante nella giurisprudenza di legittimità, ove sono individuabili recenti prese di posizione nel senso che il tribunale del riesame può esercitare il potere di riforma o di conferma del provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli indicati dal ricorrente o enunciati in motivazione solo se il provvedimento stesso non risulti radicalmente nullo, perché in tale ipotesi il tribunale deve provvedere esclusivamente all'annullamento dell'atto, non potendosi configurare in suo capo un potere "sostitutivo" quanto all'emissione di un valido provvedimento che potrà, se del caso, essere adottato dal medesimo organo la cui decisione è stata annullata (Cass., Sez. VI, 14 giugno 1994, Vagliani, in relazione ad un'ordinanza assolutamente mancante di motivazione, con la quale era stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere; nonché Cass., Sez. II, 8 marzo 1995, Franchi, in tema di riesame di un decreto di sequestro probatorio, ancorché con riferimento ad una nullità diversa dal difetto totale di motivazione);

che, dunque, contrariamente a quanto affermato dal giudice a quo l'interpretazione dell'art. 309, comma 9, del codice di procedura penale, nel senso indicato dall'ordinanza di rimessione, non può ritenersi giurisprudenza costante;

che, peraltro, l'interpretazione della norma denunciata proposta dalla giurisprudenza prevalente risulta contrastata anche da gran parte della dottrina;

che, dunque, il rimettente si limita a sottoporre un normale dubbio interpretativo la cui soluzione è demandata esclusivamente al giudice a quo, al quale spetta di interpretare la norma denunciata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 309, comma 9, del codice di procedura penale, in quanto richiamato dall'art. 324, comma 7, dello stesso codice, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Catanzaro con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 3 aprile 1996.