Sentenza n. 98 del 1996

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SENTENZA N.98

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 79 e 519 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 25 ottobre 1994 dal Pretore di Lucca, sezione distaccata di Viareggio, nel procedimento penale a carico di Orvieto Lorenzo, iscritta al n. 505 del registro ordinanze del 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 marzo 1996 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto in fatto

1.-- Nel corso di un procedimento penale instaurato per falso in cambiali e appropriazione indebita, il Pretore di Lucca, sezione distaccata di Viareggio, ha sollevato, con ordinanza del 25 ottobre 1994, pervenuta alla Corte il 26 luglio 1995, questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, primo e secondo comma, della Costituzione, degli artt. 79 e 519 del codice di procedura penale "nella parte in cui non prevedono che, a seguito di contestazione suppletiva relativa ad un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale, alla persona offesa citata ex art. 519 cod. proc. pen. sia consentita la costituzione di parte civile anche oltre il termine fissato dall'art. 79 cod. proc. pen.".

Risulta dagli atti che, dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, il pubblico ministero formulava nei confronti dell'imputato la contestazione suppletiva (oltre che del reato di sostituzione di persona) del reato di truffa commesso a danno di persona offesa diversa da quella già citata in relazione alla contestazione originaria: reato connesso, ai sensi dell'art. 517 in relazione all'art. 12, comma 1, lettera b) cod. proc. pen., a quelli per cui già si procedeva, in quanto l'imputato era accusato di avere utilizzato i titoli cambiari falsificati offrendoli in pagamento per l'acquisto di un'autovettura. Il Pretore disponeva, ai sensi dell'art. 520 cod. proc. pen., la notifica del verbale contenente la contestazione suppletiva all'imputato, rimasto contumace, e la citazione in giudizio della persona offesa dal nuovo reato. In apertura della nuova udienza la persona offesa avanzava istanza di costituzione di parte civile per il reato di truffa, per il quale era stata presentata in precedenza tempestiva querela, risultante dagli atti del pubblico ministero. Il Pretore riteneva in un primo tempo inammissibile tale costituzione in quanto avvenuta dopo la scadenza del termine di cui all'art. 79 cod. proc. pen., e cioè dopo la conclusione della fase di controllo sulla costituzione delle parti ai sensi dell'art. 484 dello stesso codice; ma successivamente, pronunciandosi sulla eccezione di legittimità costituzionale subito sollevata dal difensore di detta persona offesa, rimetteva la questione a questa Corte ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Il giudice remittente osserva che il termine per la costituzione di parte civile è fissato dall'art. 79 cod. proc. pen. a pena di decadenza, e che nessuna norma ne autorizza la proroga. Tuttavia, nell'ipotesi di contestazione suppletiva di un reato connesso perpetrato in danno di una persona offesa non costituita, si configura, secondo il remittente, una nuova situazione giuridica, in relazione alla quale la medesima persona offesa deve essere messa in condizione di poter adeguatamente tutelare i suoi interessi in sede penale; e del resto la stessa previsione, nell'art. 519, comma 3, cod. proc. pen., della citazione della persona offesa dal reato contestato in via suppletiva trova, secondo il remittente, la sua ragion d'essere in tale tutela.

Prescrivendo da un lato la citazione della persona offesa, dall'altro lato precludendo la facoltà di costituirsi parte civile, stante il termine a quel punto necessariamente scaduto, l'ordinamento processuale entrerebbe in contraddizione con se stesso, violando il principio costituzionale di uguaglianza inteso come "generale canone di coerenza dell'ordinamento normativo". In secondo luogo l'art. 3 della Costituzione sarebbe violato anche sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento, in ordine alla facoltà di costituirsi parte civile, fra la persona offesa citata con l'atto di rinvio a giudizio e quella citata a seguito di contestazione suppletiva in relazione ad un fatto già risultante dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale. In ciò sarebbe altresì insita, ad avviso del remittente, una evidente lesione del diritto alla tutela giurisdizionale di cui all'art. 24 della Costituzione, non giustificata da altre norme o principi desumibili dal sistema costituzionale.

2.-- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri con atto del 7 ottobre 1995, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata infondata.

L'Avvocatura, ipotizzando che nella specie la contestazione suppletiva riguardasse un reato in concorso formale con quello per cui si procedeva, e dunque assumendo l'insussistenza di fatti storici diversi da quelli già contestati, sostiene che la contestazione suppletiva non ha comportato alcuna modificazione della realtà processuale, ma solo una diversa qualificazione giuridica del fatto, inidonea come tale a modificare i presupposti di fatto e di diritto dell'azione civile e i contenuti della domanda che con essa può essere proposta. Pertanto il soggetto passivo del reato non potrebbe fondatamente invocare simili vicende del processo per esercitare a dibattimento iniziato l'azione civile, che avrebbe potuto esercitare sin dall'inizio.

Secondo l'Avvocatura peraltro la situazione non sarebbe sostanzialmente diversa se si versasse in una ipotesi di contestazione in via suppletiva di un fatto diverso, ai sensi dell'art. 516 cod. proc. pen., o di un fatto nuovo, ai sensi dell'art. 518. Infatti la statuizione del termine di decadenza per la costituzione di parte civile sarebbe razionalmente giustificata dai principi fondamentali della stabilità dei rapporti giuridici processuali e della accessorietà del ruolo della parte civile, combinati con l'esigenza della speditezza del processo, in quanto la tardiva ammissione della parte civile comporterebbe ingiustificati ritardi nel raggiungimento del primario fine di accertare la responsabilità penale dell'imputato. Per converso questa regola non potrebbe limitare i concorrenti principi cui si ispirano le norme sulla contestazione suppletiva, i quali rifletterebbero altre fondamentali esigenze del processo, vale a dire l'esigenza che la prova si formi nel corso del dibattimento e che l'emersione di fatti oggetto di contestazione suppletiva non comporti, ove possibile, la retrocessione del processo a fasi antecedenti: con la conseguenza che il processo medesimo può subire "una forma di affinamento e perfino di sviluppo", nel superiore interesse della giustizia, alla sola condizione che siano rispettati i diritti dell'imputato.

Pur ammettendo che in certi casi di contestazione suppletiva di fatti nuovi o diversi può risultare di fatto impedito l'esercizio dell'azione civile in sede penale, l'Avvocatura, ribadendo l'accessorietà del ruolo della parte civile, sostiene che tale eventualità non configurerebbe alcuna lesione di diritti costituzionalmente garantiti: non si avrebbe violazione dell'art. 3 della Costituzione perché le norme in questione si limiterebbero a regolare diversamente, per esigenze razionali, le situazioni obiettivamente differenziate derivanti dalla formulazione della contestazione in via originaria e in via suppletiva. Non sarebbe poi violato l'art. 24 perché la Costituzione rimette al legislatore ordinario l'individua-zione degli strumenti processuali accordati alle parti e non eleva a dignità costituzionale la facoltà di esercitare l'azione civile in sede penale: tanto più che è stata eliminata l'efficacia del giudicato penale in sede civile nei confronti delle parti che non siano intervenute nel processo penale.

Considerato in diritto

1.-- La questione all'esame di questa Corte concerne la legittimità costituzionale della preclusione, che discenderebbe dalle norme denunciate, alla costituzione di parte civile della persona offesa da un reato contestato in via suppletiva, e che per questo sia stata citata in giudizio solo dopo l'apertura del dibattimento. Tale evenienza può verificarsi sia nel caso di contestazione suppletiva di un fatto "diverso" da quello originariamente contestato, ai sensi dell'art. 516 del codice di procedura penale, o di un fatto "nuovo", ai sensi dell'art. 518, comma 2, sia nel caso -- in concreto verificatosi nel giudizio a quo -- di contestazione suppletiva di un reato connesso a quello per cui si procede perché in concorso formale col medesimo o ad esso legato dal vincolo della continuazione (art. 517, in relazione all'art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen.).

2.-- La questione è infondata nei sensi di seguito precisati.

Il giudice remittente muove dalla premessa interpretativa secondo cui sarebbe preclusa in ogni caso la costituzione di parte civile dopo la scadenza del termine di cui all'art. 79 del codice di procedura penale, e cioè dopo l'inizio del dibattimento, anche da parte della persona offesa citata per la prima volta in giudizio dopo quel momento, a seguito di contestazione suppletiva. Ma l'interpretazione delle norme denunciate fatta propria dal giudice remittente, ancorché aderente alla lettera della disposizione di cui all'art. 79, non è l'unica possibile.

Come ha ritenuto, sulla scorta di una non isolata dottrina, la Corte di cassazione (sezione III penale, sent. n. 1722 del 27 settembre 1995), il termine stabilito per la costituzione di parte civile, a pena di decadenza, dall'art. 79 del codice di rito può essere inteso come vincolante solo in relazione alle imputazioni contestate, così che, se nel procedimento penale si introduce la contestazione di un nuovo fatto-reato, in relazione ad essa la parte offesa deve essere messa in grado di valutare se esercitare l'azione civile nella sede penale, prima che sullo stesso fatto-reato si apra l'istruzione dibattimentale; onde non è da considerarsi tardiva la costituzione di parte civile in relazione al reato contestato in via suppletiva, effettuata in apertura della nuova udienza. Ciò non può non valere, a maggior ragione, quando a seguito della contestazione suppletiva venga individuata per la prima volta, e venga citata in giudizio, una persona offesa fino a quel momento assente dal giudizio medesimo.

3.-- Così interpretate, le norme denunciate sfuggono evidentemente alle censure mosse nell'ordinanza del giudice remittente; mentre, al contrario, l'interpretazione da questi accolta conduce ad attribuire alle stesse norme un significato che sarebbe in contrasto con la Costituzione.

E' vero infatti che, di per sé, il diritto per il danneggiato dal reato di esperire l'azione civile in sede penale non è oggetto di garanzia costituzionale. Tuttavia in un sistema, come quello accolto nel vigente codice di procedura penale, in cui alla persona offesa è accordata in via generale tale possibilità, in vista dell'unicità del fatto storico valutabile sotto entrambi i profili di illiceità, e al fine di tutelare l'interesse del danneggiato a partecipare all'accertamento in sede penale del fatto medesimo (v. sentenze n. 532 del 1995; n. 60 del 1996), sarebbe irragionevole, e pertanto lesivo del diritto costituzionalmente garantito di agire in giudizio in condizioni di uguaglianza, impedire alla persona offesa di esercitare detta facoltà in dipendenza della circostanza meramente casuale che il reato da cui discende l'offesa sia contestato, anziché in via originaria, in via suppletiva, e dunque che la medesima persona offesa sia citata in giudizio solo dopo l'apertura del dibattimento. Ciò tanto più che nella fase dibattimentale la facoltà di costituirsi parte civile, con i diritti e con i poteri che ne conseguono, rappresenta la principale e più significativa delle facoltà accordate dalla legge alla persona offesa dal reato: onde non può ritenersi che la citazione della persona offesa dal reato contestato in via suppletiva -- richiesta, a pena di nullità, dall'art. 519 cod. proc. pen. -- assolva, come suggerito da una recente dottrina, alla sola funzione di consentire ad essa l'attività di supporto e di controllo rispetto all'esercizio dell'azione penale del pubblico ministero.

L'accennata preclusione, d'altra parte, non avrebbe adeguata giustificazione, una volta che lo stesso ordinamento processuale contempla la possibilità che dopo l'apertura del dibattimento i fatti di reato per cui si procede vengano integrati o ridefiniti, e dunque che il processo conosca nuovi sviluppi, rispetto ai quali sarebbe illogico e contraddittorio impedire ai soggetti coinvolti l'esercizio dei loro fondamentali diritti di ordine processuale: come questa Corte ha riconosciuto non solo con riguardo alla facoltà dell'imputato di richiedere il "patteggiamento" (sentenza n. 265 del 1994) e di proporre domanda di oblazione (sentenza n. 530 del 1995), ma anche con riguardo alla facoltà del pubblico ministero e delle parti private diverse dall'imputato di chiedere l'ammissione di nuove prove in relazione alle contestazioni introdotte in via suppletiva (sentenze n. 241 del 1992 e n. 50 del 1995).

Nemmeno infine potrebbe farsi valere in contrario l'esigenza di speditezza dei procedimenti, posto che comunque la norma processuale obbliga, in caso di contestazione suppletiva, sia a concedere termine per la difesa e a sospendere il dibattimento se l'imputato ne faccia richiesta (art. 519, comma 1 e 2, cod. proc. pen.), e a notificare il verbale con la nuova contestazione all'imputato contumace o assente, fissando una nuova udienza (art. 520 cod. proc. pen.); sia a citare la persona offesa osservando un termine non inferiore a cinque giorni (art. 519, comma 3, dello stesso codice).

4.-- Deve dunque accogliersi, in virtù del canone per cui fra più interpretazioni possibili va preferita quella che consente di attribuire alla norma un significato conforme alla Costituzione (cfr., ex plurimis, sentenze n. 19 del 1995 e n. 121 del 1994), l'interpretazione delle norme denunciate che esclude la preclusione alla costituzione di parte civile della persona offesa dal reato contestato in via suppletiva.

Tale conclusione, si può aggiungere, deve valere a prescindere dalla circostanza che la contestazione suppletiva riguardi un fatto-reato già risultante dagli atti prima dell'inizio del dibattimento o al momento dell'esercizio dell'azione penale, ovvero un fatto emerso successivamente, nel corso dell'istruzione dibattimentale. Infatti in entrambi i casi occorre consentire ai soggetti presenti o che vengono evocati nel giudizio di esercitare i loro diritti in relazione ai fatti contestati.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli articoli 79 e 519 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, primo e secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Lucca, sezione distaccata di Viareggio, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in cancelleria il 3 aprile 1996.