Sentenza n. 74 del 1996

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SENTENZA N.74

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 971, ultimo comma, codice civile, promosso con ordinanza emessa il 13 luglio 1994 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Rinaldi Vincenzo contro Barone Elvira ed altri, iscritta al n. 601 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di costituzione di Barone Giovannina ed altri, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 20 febbraio 1996 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

udito l'Avvocato dello Stato Giuseppe Orazio Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso del giudizio di cassazione, promosso da Vincenzo Rinaldi, concedente, contro Elvira Barone e altri, enfiteuti, per l'annullamento della sentenza della Corte d'appello di Salerno che aveva rigettato l'opposizione del ricorrente avverso l'ordinanza pretorile di determinazione del capitale di affranco di un fondo concesso in enfiteusi in base a un rapporto costituito in data posteriore al 28 ottobre 1941, la Corte di cassazione, con ordinanza del 13 luglio 1994, pervenuta alla Corte costituzionale il 30 agosto 1995, ha sollevato, in riferimento all'art. 42 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 971, ultimo comma, cod.civ., in quanto - nel disporre che l'affrancazione si opera mediante il pagamento di una somma di denaro risultante dalla capitalizzazione del canone annuo sulla base dell'interesse legale - non prevede l'aggiornamento periodico del canone enfiteutico, e quindi del capitale di affranco, mediante l'applicazione di coefficienti di maggiorazione idonei a mantenerne adeguata, con ragionevole approssimazione, la corrispondenza con la realtà economica effettiva.

Sul presupposto che la determinazione del capitale di affranco deve essere fatta con riguardo alla data della domanda di affrancazione, nella specie proposta il 2 novembre 1972, la corte del merito aveva ritenuto esatto il calcolo effettuato dal consulente tecnico di ufficio sulla base del canone determinato ai sensi dell'art. 2 della legge 18 dicembre 1970, n. 1138, modificato dall'art. 1 della legge 14 giugno 1974, n. 270, e rivalutato con l'applicazione dei coefficienti di aggiornamento dei redditi dominicali stabiliti dalla commissione censuaria centrale per l'anno 1972, a norma della legge 20 ottobre 1954, n. 1044.

Ad avviso del giudice rimettente, la premessa assunta dalla corte d'appello non è più sostenibile dopo l'entrata in vigore della legge 22 luglio 1966, n. 607, che nell'art. 5, quarto comma, collega l'effetto estintivo dell'enfiteusi non più al momento della domanda, ma al momento della notifica dell'ordinanza pretorile di affrancazione prevista dall'art. 4, quarto comma. Nella specie l'ordinanza è intervenuta soltanto nel 1986, quando il detto meccanismo di aggiornamento annuale dei canoni enfiteutici era da tempo cessato in seguito all'abrogazione della legge citata n. 1044 del 1954, disposta dall'art. 58 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637. Venuto meno il meccanismo di rivalutazione che integrava il criterio di calcolo del prezzo di affrancazione previsto dall'art. 1 della legge n. 270 del 1974, questa norma è stata dichiarata incostituzionale in parte qua dalla sentenza n. 406 del 1988.

La Corte di cassazione ritiene che la dichiarazione di illegittimità costituzionale abbia determinato la reviviscenza dell'art. 971, ultimo comma, cod.civ., che era stato abrogato - anche in relazione alle enfiteusi costituite dopo il 28 ottobre 1941 - dalla legge colpita dalla sentenza ora citata. Senonchè la disposizione del codice è a sua volta affetta dal medesimo vizio di costituzionalità perché non prevede alcun sistema di aggiornamento del canone enfiteutico, base di calcolo del capitale di affranco, ai mutati valori monetari.

2. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si sono costituiti gli enfiteuti chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e infondata.

Il primo motivo ha carattere assorbente, in quanto contesta l'esistenza dell'oggetto della sollevata questione di costituzionalità. Si obietta che la sentenza n. 406 del 1988 non ha annullato sic et simpliciter la norma impugnata, ma l'ha censurata, con una pronuncia additiva di principio, nella parte in cui non prevede un meccanismo di aggiornamento periodico del valore di riferimento prescelto dalla legge del 1974 per la determinazione del canone enfiteutico. La legge è rimasta intatta nella parte in cui sostituisce un diverso sistema di affranco a quello previsto dall'art. 971, ultimo comma, cod.civ., del quale pertanto resta ferma l'abrogazione.

Ad abundantiam è contestata anche la premessa da cui muove la Corte di cassazione nel sollevare la questione, cioè l'interpretazione dell'art. 5, terzo e quarto comma, della legge n. 607 del 1966 nel senso di uno spostamento del termine di riferimento dell'effetto estintivo dell'enfiteusi dalla data di presentazione della domanda alla data della notifica dell'ordinanza pretorile di affrancazione. Si obietta che il citato art. 5 riguarda soltanto l'opponibilità dell'affrancazione ai terzi, non i rapporti tra le parti, come si argomenta, in linea di interpretazione storica, dalla disposizione corrispondente dell'art. 15, terzo comma, della legge 11 giugno 1925, n. 998; in linea di interpretazione letterale, dal terzo comma del citato art. 4, il quale dispone la sospensione del rapporto di enfiteusi dalla data del deposito della somma determinata dal pretore quale capitale di affranco; infine, in linea di interpretazione logico-sistematica, dai principî dell'ordinamento in materia di retroattività processuale delle sentenze e di esercizio dei diritti potestativi.

3. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e infondata.

L'interveniente osserva che l'art. 971, ultimo comma, cod.civ., è stato abrogato non tanto dall'art. 1 della legge del 1974, concernente la determinazione del canone per le enfiteusi costituite dopo il 28 ottobre 1941, quanto dall'art. 9 della legge n. 1138 del 1970, secondo cui "l'affrancazione si opera in ogni caso mediante il pagamento di una somma pari a quindici volte l'ammontare del canone": norma che dalla sentenza più volte citata non è stata minimamente incisa.

Questa è la norma applicabile, come in effetti è stata applicata, nella specie. Invero, dovendo il capitale di affranco essere determinato con riguardo alla data di presentazione della domanda di affrancazione, a quella data era ancora possibile integrare - in conformità del precetto successivamente statuito dalla sentenza n. 406 del 1988 - l'art. 2 della legge n. 1138 del 1970, modificato dall'art. 1 della legge n. 270 del 1974, con i coefficienti di rivalutazione del canone stabiliti dalla commissione censuaria centrale secondo la legge n. 1044 del 1954.

Considerato in diritto

 

1. - La Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento all'art. 42 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 971, ultimo comma, cod.civ., in quanto - nel disporre che l'affrancazione si opera mediante il pagamento di una somma di denaro risultante dalla capitalizzazione del canone annuo sulla base dell'interesse legale - non prevede l'aggiornamento periodico del canone enfiteutico, e quindi del capitale di affranco, mediante l'applicazione di coefficienti di maggiorazione idonei a mantenerne adeguata, con ragionevole approssimazione, la corrispondenza con la realtà economica effettiva.

2. - La questione è inammissibile.

Il giudice rimettente ritiene che, per le enfiteusi costituite dopo il 28 ottobre 1941, in conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 14 giugno 1974, n. 270 (aggiunto come terzo comma all'art. 2 della legge 18 dicembre 1970, n. 1138), pronunciata con sentenza n. 406 del 1988, sia ritornata in vigore la norma citata del codice civile, di guisa che si sarebbe riprodotto nell'ordinamento lo stato di diritto censurato dalla sentenza citata perché mancante di un meccanismo di aggiornamento del canone enfiteutico, e quindi del capitale di affranco, ai mutamenti del potere di acquisto della moneta.

Impregiudicata ogni questione circa la possibilità di reviviscenza di norme abrogate da disposizioni dichiarate incostituzionali, importa qui osservare che la sentenza n. 406 del 1988 ha colpito la norma impugnata non per ciò che dispone, ma per ciò che omette di disporre. L'art. 1 della legge n. 270 del 1974 è rimasto intatto nella parte in cui determina, in relazione a una regola di calcolo diversa da quella del codice civile, l'ammontare minimo del canone enfiteutico, sulla base del quale si computa il capitale di affrancazione ai sensi dell'art. 9 della legge n. 1138 del 1970, non toccato né dalla sentenza n. 145 del 1973, né dalla sentenza n. 406 del 1988. In forza di quest'ultima norma, applicabile "in ogni caso", l'art. 971, ultimo comma, cod.civ., è stato definitivamente abrogato, fin dal 1970, per tutti i rapporti di enfiteusi.

Né varrebbe replicare che la mancata integrazione legislativa dell'art. 1 della legge n. 270 del 1974 in conformità della sentenza n. 406 del 1988 ha reso inapplicabile l'art. 9 della legge n. 1138 del 1970. Anzitutto, tale situazione (provvisoria) di inapplicabilità della norma per difetto di un presupposto applicativo (aggiornamento del canone enfiteutico), anche se fosse vera, non potrebbe comportare l'asserita reviviscenza dell'art. 971, ultimo comma, cod.civ. In secondo luogo si deve rammentare che "la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una omissione legislativa - com'è quella ravvisata nell'ipotesi di mancata previsione, da parte della norma di legge regolatrice di un diritto costituzionalmente garantito, di un meccanismo idoneo ad assicurare l'effettività di questo - mentre lascia al legislatore, riconoscendone l'innegabile competenza, di introdurre e di disciplinare anche retroattivamente tale meccanismo in via di normazione astratta, somministra essa stessa un principio cui il giudice comune è abilitato a fare riferimento per porre frattanto rimedio all'omissione in via di individuazione della regola del caso concreto" (sentenza n. 295 del 1991; ordinanza n. 272 del 1993).

Pertanto la questione va dichiarata inammissibile per inesistenza dell'oggetto del sollevato incidente di costituzionalità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 971, ultimo comma, codice civile, sollevata, in riferimento all'art. 42 della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 15 marzo 1996.