Sentenza n. 59 del 1996

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SENTENZA N.59

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Calabria riapprovata l'8 marzo 1995, recante: <<Integrazione all'art. 11 della legge regionale n. 15 del 5 aprile 1985 - Norme per l'inquadramento del personale assunto nei gruppi consiliari>>, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 4 aprile 1995, depositato in cancelleria il 13 aprile successivo ed iscritto al n. 26 del registro ricorsi 1995.

Visto l'atto di costituzione della Regione Calabria;

udito nell'udienza pubblica del 12 dicembre 1995 il Giudice relatore Massimo Vari;

uditi l'Avvocato dello Stato Franco Favara, per il ricorrente, e l'avv. Claudio Rossano per la Regione.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso regolarmente notificato e depositato il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Calabria riapprovata l'8 marzo 1995, recante "Integrazione all'art. 11 della legge regionale n. 15 del 5 aprile 1985 - Norme per l'inquadramento del personale assunto nei gruppi consiliari".

Il ricorrente, riferendosi agli artt. 1 e 2 della normativa impugnata, lamenta che la legge disponga il riconoscimento, con effetto retroattivo, del servizio prestato dal personale dei gruppi consiliari, anteriormente all'inquadramento nel ruolo regionale, ponendosi in contrasto con i principi in materia di impiego presso le pubbliche amministrazioni che non consentirebbero una siffatta valutazione del servizio non di ruolo: servizio svolto, per di più, nel caso di specie, sulla base di un rapporto di lavoro instaurato per chiamata, a tempo determinato.

Ne risulterebbe disattesa la legge n. 93 del 1983 (Legge quadro sul pubblico impiego), le cui disposizioni costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, ed in particolare l'art. 4, secondo il quale gli atti in materia di personale "devono ispirarsi ai principi della omogeneizzazione delle posizioni giuridiche, della perequazione e trasparenza dei trattamenti economici e dell'efficienza amministrativa".

Oltre a violare l'art. 117 della Costituzione, il provvedimento impugnato, nel consentire al personale interessato di usufruire indebitamente degli avanzamenti e benefici contrattuali "previsti per i dipendenti regionali c.d. storici", contrasterebbe, altresì, con il principio di buona amministrazione recato dall'art. 97, nonché con quello di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, per la situazione di particolare favore di cui godrebbero gli interessati rispetto agli altri dipendenti regionali.

2.- Nel giudizio di fronte alla Corte costituzionale si è costituita la Regione Calabria, sostenendo la infondatezza della questione.

Secondo la difesa della resistente la legge impugnata avrebbe finalità perequative, volte a valorizzare il servizio preruolo svolto da personale già alle dipendenze della Regione, sia pure con un rapporto avente caratteristiche peculiari. Una volta riconosciuto al personale dei gruppi consiliari lo status di dipendenti regionali, ai fini dell'inquadramento nei ruoli regionali (v. anche la sentenza n. 187 del 1990) e, quindi, ai fini previdenziali e di quiescenza, non si potrebbe non dare allo stesso status completa rilevanza anche ai fini del riconoscimento dell'anzianità di carriera e degli aumenti periodici di stipendio. Tanto più che la norma impugnata riproduce esattamente la disciplina adottata dalla Regione Abruzzo (legge regionale n. 27 del 1988), avverso la quale nessuna eccezione è stata avanzata dal Governo.

Il ricorso sarebbe, oltretutto, contraddittorio, venendo impugnato il solo comma 1 dell'art. 2, pur in presenza di una disciplina unitaria, che non consentirebbe impugnative parziali.

Inoltre, secondo la Regione, non verrebbe chiarito quale specifico principio desumibile dalla legislazione statale impedirebbe al legislatore regionale l'adozione della disciplina in questione, tranne il generico riferimento al principio di omogeneizzazione di posizioni giuridiche e a quelli di buona amministrazione e di eguaglianza. Rammentato che, secondo la giurisprudenza costituzionale, la regolamentazione del personale assegnato ai gruppi consiliari rientra nel discrezionale apprezzamento dei consigli regionali stessi e può essere sindacata solo sotto il principio della irragionevolezza e dell'arbitrarietà, si rileva che, nella specie, si tratta di adeguare ed omogeneizzare la disciplina sull'in- quadramento di personale ab origine regionale, rispondendo, anzi, la normativa adottata al principio di tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni (art. 36 della Costituzione) e a quello del riconoscimento del diritto al lavoro (art. 4 della Costituzione).

Quanto alla violazione del principio di eguaglianza, non solo non emergerebbe dal ricorso quali sarebbero i dipendenti regionali "meno favoriti", ma, al contrario, si potrebbe sostenere che proprio dalla declaratoria di illegittimità della normativa impugnata deriverebbe una disparità di trattamento tra i dipendenti della Regione Calabria e quelli di altre regioni, come la Regione Abruzzo.

Considerato in diritto

1.-- Con il ricorso in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la legge della Regione Calabria riapprovata l'8 marzo 1995, recante "Integrazione all'art. 11 della legge regionale n. 15 del 5 aprile 1985 - Norme per l'inquadramento del personale assunto nei gruppi consiliari".

Secondo il ricorrente il provvedimento censurato, nel riconoscere, "agli effetti dell'anzianità e degli aumenti periodici di stipendio", il servizio prestato dal personale dei gruppi consiliari inquadrato nel ruolo unico regionale ai sensi dell'art. 11 della legge regionale n. 15 del 1985, con effetto dall'entrata in vigore della legge regionale n. 4 del 1979, contrasterebbe con:

- l'art. 117 della Costituzione, perché disattenderebbe i principi della omogeneizzazione delle posizioni giuridiche, della perequazione e della trasparenza dei trattamenti economici e dell'efficienza amministrativa, posti dall'art. 4 della legge 29 marzo 1983, n. 93, i quali non consentirebbero il riconoscimento dell'anzianità maturata nel periodo preruolo;

- l'art. 97 della Costituzione, perché, violando il principio di buon andamento, darebbe modo al personale interessato di "usufuire indebitamente degli avanzamenti e benefici contrattuali previsti per i dipendenti regionali c.d. storici";

- l'art. 3 della Costituzione, perché determinerebbe, in spregio al principio di eguaglianza, una situazione di favore per il personale in questione, rispetto agli altri dipendenti regionali.

La Regione resistente, nel sostenere l'infondatezza della questione, deduce preliminarmente che il ricorso sarebbe "contraddittorio venendo impugnato il solo comma 1 dell'art. 2 pur in presenza di una disciplina unitaria che non consente impugnative parziali".

2.-- Per inquadrare nella sua più esatta portata la problematica sottoposta al vaglio della Corte, va rammentato che l'antecedente normativo della legge impugnata è rappresentato dall'art. 2 della legge regionale della Calabria n. 4 del 1979 modificato dalla legge regionale 6 agosto 1981, n. 14, che conferì ai gruppi consiliari la facoltà di avvalersi di personale di fiducia esterno all'amministrazione regionale, assunto con contratti a tempo determinato. Intervenne successivamente la legge regionale n. 15 del 1985 la quale stabilì, all'art. 11, primo comma, che il personale assunto presso i gruppi entro il 31 agosto 1984 e in servizio continuativo alla data di entrata in vigore della legge stessa fosse inquadrato -- a domanda ed in seguito al superamento di apposito concorso interno riservato -- nelle qualifiche funzionali del ruolo unico regionale, disponendo, al quarto comma dello stesso articolo, che tale inquadramento avesse decorrenza, ai fini giuridici ed economici, dal mese successivo a quello di approvazione della graduatoria degli idonei.

L'art. 1 della legge denunciata espunge dalla disposizione da ultimo menzionata la locuzione "ai fini giuridici ed economici"; mentre l'art. 2 riconosce, "agli effetti dell'anzianità e degli aumenti periodici di stipendio", il servizio prestato dal personale dei gruppi consiliari inquadrato nel ruolo unico regionale, con effetto dall'entrata in vigore della legge regionale n. 4 del 1979.

3.-- Va, anzitutto, evidenziata l'infondatezza dei rilievi avanzati dalla resistente in ordine alla puntuale e completa definizione della questione sollevata nel ricorso. Quest'ultimo investe l'intera legge, della quale viene, infatti, chiesta conclusivamente la declaratoria di illegittimità, sulla scorta di censure che si soffermano in particolare sia sull'art. 1 che sull'art. 2, dal cui combinato disposto discende l'effetto del riconoscimento dell'anzianità pregressa, ritenuto dal ricorrente contrario a Costituzione, mentre gli ulteriori articoli della legge riguardano l'uno (art. 3) la copertura e l'altro (art. 4) l'entrata in vigore.

4.-- Nel merito la questione è fondata.

La Corte ha già avuto occasione di soffermarsi sulla disciplina legislativa di altre regioni che -- dopo aver provveduto a sopprimere la facoltà per i gruppi consiliari di avvalersi di personale estraneo ai ruoli regionali, consentendo in via transitoria a quanti erano già in servizio di essere inquadrati in ruolo -- avevano previsto di far retroagire gli effetti di tale inquadramento alla data della originaria assunzione del servizio (in ultimo, v. sentenza n. 43 del 1993). Avuto riguardo a tali precedenti e alla stregua dei generali orientamenti della giurisprudenza costituzionale in tema di valutazione dei servizi non di ruolo (in ultimo, v. sentenza n. 250 del 1993), va qui ribadito che l'estensione del regime giuridico proprio dell'impiego di ruolo a coloro che erano, precedentemente al loro inquadramento, legati con l'amministrazione da un rapporto di diritto privato, nonché l'equiparazione a tutti gli effetti del servizio prestato in tale veste a quello prestato nell'ambito di un rapporto di pubblico impiego, appaiono in contrasto con il principio del buon andamento recato dall'art. 97 della Costituzione, risolvendosi in un ingiustificato privilegio, suscettibile tra l'altro di compromettere la posizione di coloro che siano stati sin dall'origine assunti a seguito di regolare concorso pubblico.

Quanto all'argomento secondo il quale discipline analoghe a quella di cui alla legge impugnata sono state introdotte con altre leggi regionali di cui il Governo ha consentito il corso, è sufficiente rammentare l'orientamento, già più volte espresso dalla Corte, secondo il quale il fatto che il Governo ometta di rilevare un vizio di legittimità costituzionale nel corso del procedimento di formazione di una legge regionale, ancorché costituisca situazione che lo stesso Governo dovrebbe in ogni caso evitare, non preclude, comunque, che quello stesso vizio possa essere successivamente fatto valere nei modi e nei termini propri del procedimento in via incidentale (sentenze nn. 528 del 1995 e 122 del 1990).

5.-- L'accoglimento della questione per i motivi testé esposti assorbe gli altri profili sotto i quali la questione stessa è stata dedotta.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Calabria, riapprovata l'8 marzo 1995 (Integrazione all'art. 11 della legge regionale n. 15 del 5 aprile 1985 - Norme per l'inquadramento del personale assunto nei gruppi consiliari).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 28 febbraio 1996.