Sentenza n. 490 del 1995

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SENTENZA N. 490

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 371, comma secondo, del codice penale, promosso con ordinanza emessa l'11 gennaio 1995 dalla Corte d'appello di Trieste, nel procedimento penale a carico di Tomada Gianni, iscritta al n. 107 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1995. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 18 ottobre 1995 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso di un giudizio di impugnazione di una sentenza pretorile di condanna per falso giuramento (reso in una causa civile promossa dallo stesso imputato), la Corte d'appello di Trieste, con ordinanza emessa l'11 gennaio 1995, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 371, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui limita l'operatività della causa di non punibilità costituita dalla ritrattazione alla sola ipotesi di giuramento deferito d'ufficio. Osserva il giudice a quo che l'omessa previsione del giuramento deferito dalla parte non troverebbe alcuna giustificazione e concreterebbe un trattamento difforme per due situazioni sostanzialmente omogenee. La norma è infatti concepita, rileva il remittente, con riferimento alla disciplina dettata per il giuramento dal previgente codice civile del 1865.

2. È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilità sotto un duplice motivo: da un lato la norma sarebbe stata tacitamente abrogata a seguito della nuova disciplina del giuramento decisorio contemplata nel codice civile del 1942, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità; dall'altro lato, ove tale tesi dovesse essere disattesa, si verterebbe comunque nel non estensibile campo di applicazione di una norma eccezionale.

Considerato in diritto

1. È sospettato d'illegittimità costituzionale l'art. 371, secondo comma, del codice penale, che per il reato di falso giuramento prevede l'esimente della ritrattazione solo nel caso di giuramento deferito d'ufficio. A parere della Corte d'appello remittente, l'omessa estensione della causa di non punibilità in parola anche all'ipotesi di giuramento deferito dalla parte si risolverebbe in una lesione dell'art. 3 della Costituzione per la diversità del trattamento riservato a due situazioni definite omogenee.

2. La questione non è fondata.

2.1. In conformità a quanto ritiene la Corte di cassazione, la norma impugnata deve considerarsi abrogata per effetto dell'art. 2738 del codice civile. Il legislatore del 1930, infatti, aveva costruito la previsione della speciale causa di non punibilità con riferimento al contesto normativo offerto dal codice civile del 1865, all'epoca vigente. Il giuramento era da questo codice disciplinato in due distinti paragrafi: nel primo era contemplato il giuramento decisorio, deferito (o riferito) dalla parte, per il quale l'art. 1370 esplicitamente escludeva la prova della falsità, una volta prestato; nel secondo paragrafo era poi descritto il giuramento, suppletorio oppure estimatorio, deferito d'ufficio. A tale secondo istituto non era applicabile l'assoluta incontrovertibilità sancita per il primo, sicchè era opinione pacifica che il giuramento d'ufficio, per propria natura, non escludesse necessariamente la deduzione di nuove prove successivamente alla sua prestazione. Il legislatore del 1930 prendeva atto di tale diversità, basandovi la sua scelta di limitare l'esimente al solo caso quello appunto del giuramento d'ufficio in cui la ritrattazione fosse utile ad evitare un giudicato che si fondasse sulla falsità (effetto non configurabile per il giuramento decisorio) e in coerenza con l'interesse dell'amministrazione della giustizia, oggetto della tutela apprestata dalla norma incriminatrice. La diversa rilevanza della ritrattazione sul piano degli effetti scandiva quella differenza sostanziale dell'efficacia processuale dei due istituti, che costituiva a sua volta il presupposto stesso dell'esimente, giustificandone l'esclusione nell'ipotesi di giuramento incontrovertibile.

2.2. Ma il quadro di riferimento è del tutto mutato con l'entrata in vigore del codice civile del 1942, che nell'art. 2738 unifica il regime per entrambe le specie di giuramento, escludendo sempre la prova contraria ed inibendo in ogni caso la revocazione della sentenza qualora il giuramento sia stato dichiarato falso: la ritrattazione del giuramento suppletorio o estimatorio non spiega più alcun effetto impeditivo al formarsi del giudicato. Conseguentemente, la causa di esclusione della punibilità non trova ormai più alcuna giustificazione, e la sua sopravvivenza creerebbe un'evidente incoerenza nel sistema, risultando contraria al principio di ragionevolezza anche perchè chi ha giurato il falso potrebbe trarne vantaggio ottenendo una decisione favorevole nel giudizio civile ma sottraendosi alle conseguenze penali attraverso la ritrattazione. Come parte della dottrina e la richiamata giurisprudenza della Corte di cassazione hanno posto in luce, l'entrata in vigore dell'art. 2738 cod. civ. realizza una delle ipotesi di abrogazione per incompatibilità ai sensi dell'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale. Infatti, la sopravvenuta generale ininfluenza della ritrattazione per via della efficacia probatoria piena attribuita dal nuovo codice civile ad entrambe le specie di giuramento, non consente più di collegare alla ritrattazione stessa, neppure con riguardo al giuramento deferito d'ufficio, la previsione premiale contenuta nell'art. 371, secondo comma, del codice penale in relazione diretta con la normativa dettata dal codice civile del 1865.

2.3. Non essendo dunque più in vigore la norma che prevedeva la speciale causa di non punibilità in esame, ancorata ad una condotta ormai processualmente irrilevante, addirittura non configurabile si palesa l'invocata estensione della stessa all'ipotesi di giuramento decisorio. D'altra parte, la contraria tesi della sopravvivenza della denunciata norma sarebbe seria mente sostenibile solo ove si ritenesse tuttora da escludere un'identità di effetti o comunque si supponesse una perdurante diversità di funzione tra le due specie di giuramento. Ma allora verrebbe a cadere ipso facto l'asserita disparità di trattamento, per l'evidente disomogeneità della situazione oggetto del giudizio a quo rispetto al tertium comparationis indicato dal remittente. Pertanto, la questione va in ogni caso ritenuta priva di fondamento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 371, secondo comma, del codice penale, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Trieste, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 08/11/95.

Mauro FERRI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 20/11/95.