Ordinanza n. 481 del 1995

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ORDINANZA N.481

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 328, comma 1-bis, 22 e 23 del codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 29 novembre 1994 dal Tribunale di Sanremo nei procedimenti penali riuniti a carico di Alberino Antonio ed altri, iscritta al n. 188 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 1995; 2) ordinanza emessa il 16 marzo 1995 dal Tribunale di Sanremo nel procedimento penale a carico di Tagliamento Giovanni ed altri, iscritta al n. 435 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 18 ottobre 1995 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

RITENUTO che con due ordinanze di identico contenuto il Tribunale di Sanremo, dopo aver premesso di essere stato investito da una eccezione di nullità del decreto che ha disposto il giudizio per essere stato tale provvedimento emesso da giudice incompetente, ha osservato che tale eccezione si fonda sull'assunto che la deroga alla competenza ordinaria stabilita dall'art. 328, comma 1-bis, c.p.p., valga solo per le indagini preliminari e non per la fase successiva all'esercizio dell'azione penale, assunto, questo, che il rimettente ritiene di condividere "in linea di principio" in quanto l'art. 328, comma 1-bis, c.p.p., conterrebbe una deroga da interpretare in modo restrittivo, proprio per la diversità delle funzioni che l'ordinamento assegna al giudice per le indagini preliminari e a quello della udienza preliminare; che nella specie osserva il giudice a quo non può profilarsi alcuna eccezione di nullità in quanto il nuovo codice di rito non ha previsto tale sanzione neppure per la violazione delle norme sulla competenza territoriale, sicchè mancherebbe nel sistema una norma che consenta al tribunale sicuramente competente per territorio di valutare la eccepita incompetenza del giudice della udienza preliminare, così come difetterebbero a tal proposito strumenti per il giudice di appello, rendendo in tal modo priva di tutela la parte che ha sollevato questione di incompetenza territoriale del giudice della udienza preliminare; che alla luce dei riferiti rilievi il rimettente solleva questione di legittimità costituzionale: a) dell'art. 328, comma 1bis, c.p.p., in riferimento all'art. 25, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui non indica quale magistrato debba svolgere le funzioni di giudice dell'udienza preliminare per i procedimenti relativi ai delitti indicati nell'art. 51, comma 3-bis, c.p.p.; b) degli artt. 22 e 23 c.p.p., nella parte in cui non prevedono che il giudice del dibattimento possa delibare la questione di incompetenza del giudice della udienza preliminare, già eccepita nell'udienza preliminare e poi riproposta ritualmente in dibattimento, per contrasto con gli artt. 24, secondo comma, 25, primo comma, e 3 della Costituzione, in quanto risulterebbe compromesso "sia il diritto di difesa della parte, sia il principio di precostituzione del giudice, nel senso del diritto costituzionalmente garantito all'imputato di essere giudicato dal giudice competente", sia, infine, il principio di uguaglianza, giacchè l'imputato di reati diversi da quelli previsti dall'art. 51, comma 3-bis, c.p.p., avrebbe, invece, tutte le possibilità di far rilevare l'incompetenza del giudice; che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

CONSIDERATO che, contrariamente a quanto mostra di ritenere il giudice a quo, la disciplina dettata dall'art. 328, comma 1-bis, c.p.p., non legittima affatto una ricostruzione del sistema che consenta di scindere sul piano interpretativo i criteri di attribuzione della competenza nel caso di procedimenti riguardanti i delitti indicati nell'art. 51, comma 3-bis, dello stesso codice, a seconda che il giudice per le indagini preliminari debba essere individuato in rapporto ai provvedimenti che lo stesso è chiamato ad adottare nel corso della fase delle indagini preliminari ovvero in quella della udienza preliminare, dal momento che soltanto da una espressa previsione in tal senso che nella specie difetta potrebbe scaturire una differente distribuzione della competenza per il medesimo organo in dipendenza delle funzioni ontologicamente diverse che l'ordinamento gli attribuisce nelle indagini e nella udienza preliminare, fasi, queste, che, non a caso, il legislatore ha invece inteso correlare sistematica mente nell'ambito dello stesso libro V, con cui esordisce la parte seconda del codice di rito; che a tal proposito, e con specifico riferimento alla portata da annettere alla clausola "salve specifiche disposizioni di legge" che circoscrive la portata derogatoria della disciplina introdotta dalla norma oggetto di impugnativa, la Corte di cassazione ha avuto modo di affermare che quella clausola deve ritenersi senz'altro riferibile al particolare regime che regola la competenza in ordine alla convalida dell'arresto o del fermo, "non essendo dubitabile che questo istituto, per le sue peculiari caratteristiche, sia oggetto di una disposizione di legge (specifica) (perchè derogatoria ai principii di carattere generale), quale quella dell'art. 390 comma 1, c.p.p.", con la conseguenza che la previsione del giudice "competente in relazione al luogo ove l'arresto o il fermo sono stati eseguiti, è regola valida per ogni tipo di reato che abbia determinato il provvedimento restrittivo, per la specificità della normativa che individua tale criterio, in ossequio alle esigenze poste alla base dell'istituto processuale denominato convalida" (Sez. I, 13 aprile 1994, n. 1696); sicchè, non sussistendo per l'udienza preliminare alcun dato normativo sulla cui base configurare elementi di "specificità" che si proiettino sui criteri di competenza per territorio, se ne può agevolmente dedurre che la competenza a celebrare l'udienza preliminare non potrà che essere riconosciuta in capo al giudice per le indagini preliminari del tribuna le del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente; che a conferma di quanto innanzi si è osservato stanno, poi, alcune disposizioni dell'ordinamento giudiziario, come quella che mira a privilegiare, nella assegnazione degli affari, la "concentrazione" in capo allo stesso giudice per le indagini preliminari "di tutti i provvedimenti relativi allo stesso procedimento", senza operare distinzioni di sorta a seconda della natura dei provvedimenti stessi (art. 7-ter); quella che stabilisce tabellarmente una apposita "sezione dei giudici singoli incaricati dei provvedimenti previsti dal codice di procedura penale per la fase delle indagini preliminari", prescindendo da qualsiasi peculiare previsione per il giudice chiamato a celebrare l'udienza preliminare (art. 46); il differente regime che dimostra, dunque, l'opposta regola previsto per il processo minorile, ove sono devolute ad un organo a composizione collegiale e, quindi, funzionalmente diverso, le attribuzioni relative alla fase della udienza preliminare (art. 50bis); la disciplina, infine, dettata dall'art. 238 delle disposizioni di coordinamento del codice di rito, ove, nell'individuare ratione loci il giudice per le indagini preliminari nel caso di procedimenti relativi a reati di competenza della Corte di assise, e pertanto il giudice davanti al quale deve svolgersi anche l'udienza preliminare, viene fatta espressamente salva proprio la previsione derogatoria introdotta, evidentemente non soltanto per le indagini preliminari, dall'art. 328, comma 1-bis, del codice di procedura penale; che alla luce dei rilievi dianzi svolti si rivela pertanto del tutto priva di fondamento la premessa interpretativa da cui il giudice a quo desume l'asserito contrasto dell'art. 328, comma 1-bis, c.p.p., con il principio sancito dall'art. 25, primo comma, della Costituzione; che la delineata ricostruzione del quadro normativo desumibile dal sistema determina il venir meno di qualunque profilo di rilevanza in ordine alla questione di legittimità costituzionale degli artt. 22 e 23 del codice di procedura penale, sicchè la questione medesima deve essere dichiarata manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara a) la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 328, comma 1-bis, del codice di procedura penale, sollevata in riferimento all'art. 25, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Sanremo con le ordinanze in epigrafe; b) la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 22 e 23 dello stesso codice, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione, dal medesimo Tribunale con le ordinanze suddette.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il .23/10/95.

Mauro FERRI, Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 2/11/95.