Sentenza n. 473 del 1995

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SENTENZA N. 473

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO, Presidente

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 6 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili), promosso con ordinanze emesse: 1) il 10 giugno 1994 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Lecce, sul ricorso proposto dall'Ufficio del Registro di Maglie contro Macculi Pietro ed altra, iscritta al n. 84 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1995; 2) il 10 giugno 1994 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Lecce sul ricorso proposto dall'Ufficio del Registro di Maglie contro Tondi Daniele ed altra, iscritta al n. 85 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1995; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 4 ottobre 1995 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto in fatto

1.Nel corso di due giudizi aventi ad oggetto la determinazione del valore finale del bene ai fini dell'INVIM, la Commissione tributaria di secondo grado di Lecce, con due ordinanze di identico contenuto emesse in data 10 giugno 1994, ma pervenute alla Corte costituzionale il 7 febbraio 1995, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili), nella parte in cui non prevede che l'impugnazione proposta dal solo acquirente dell'immobile ai fini dell'imposta di registro e la conseguente decisione dell'autorità giudiziaria ad esso favorevole, possano essere estese alla determinazione del valore finale del bene ai fini dell'INVIM. Premette in fatto il giudice a quo che nei casi di specie solo gli acquirenti, e non anche i venditori di un bene immobile, avevano impugnato l'avviso di accertamento di valore ai fini dell'imposta di registro ottenendo dalla Commissione tributaria adita una decisione che, in accoglimento al ricorso, determinava il valore del bene ai fini dell'imposta di registro. Successivamente, a fronte del mancato paga mento dell'INVIM da parte dei venditori, l'Ufficio del Registro notificava agli acquirenti atto di pignoramento immobiliare al quale gli interessati si opponevano eccependo, tra l'altro, che la decisione della Commissione tributaria dagli stessi adita e a loro favorevole precludeva all'Ufficio di chiedere il pagamento dell'INVIM rapportata al diverso valore finale resosi definitivo nei confronti dei venditori per la mancata impugnazione da parte di questi ultimi. La Commissione tributaria di primo grado accoglieva il ricorso e avverso tale decisione proponeva appello l'Ufficio assumendo che, non essendovi nell'INVIM solidarietà tributaria tra acquirente e venditore, ai fini di tale imposta deve farsi riferimento al valore finale del bene divenuto definitivo nei confronti dei venditori con riguardo all'imposta di registro. La Commissione tributaria di secondo grado, investita dell'appello, nel dubitare della legittimità costituzionale dell'art. 6 del d.P.R. n. 643 del 1972, ha ritenuto che la mancata previsione legislativa della estensibilità all'INVIM dell'impugnazione proposta dall'acquirente avverso l'accertamento di valore del bene ai fini dell'imposta di registro, verrebbe a porsi in contrasto con il principio di ragionevolezza in quanto all'acquirente viene preclusa la possibilità di giovarsi della riduzione di valore già ottenuta a seguito del ricorso da esso proposto; con l'art. 53 della Costituzione, in quanto imporrebbe agli acquirenti di corrispondere una somma da essi non dovuta per aver esperito i mezzi posti a tutela dei loro diritti ottenendo anche risultati favorevoli; ed infine con l'art. 97 della Costituzione che impone alla pubblica amministrazione il dovere di imparzialità. Conclude pertanto il giudice a quo che la norma impugnata determina la violazione degli invocati parametri costituzionali apparendo "stridente con il più elementare senso di giusti zia che un medesimo bene, in un medesimo momento e contesto (costituito dall'identico atto di trasferimento su cui si fondano entrambe le imposte di cui qui si tratta), possa avere, agli effetti fiscali, due valori diversi a seconda del contribuente dal quale ciascuna imposta è dovuta".

2.Nel giudizio avanti alla Corte costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la inammissibilità ovvero per la non fondatezza della prospettata questione. In particolare, la difesa erariale ha osservato che la questione di diritto tributario sollevata è stata più volte esaminata dalla Corte di cassazione la quale ha reso pronunce discordanti sottolineando, da un lato, che in materia di INVIM non sussiste una vera e propria solidarietà tributaria in quanto l'acquirente garantisce solo l'adempimento dell'obbligo tributario come accertato nei confronti del venditore quale unico debitore d'imposta, d'altro lato, si è ritenuto che "il collegamento oggettivo tra imponibile per il tributo di registro e il valore finale per l'INVIM vanificherebbe la decadenza e in genere le preclusioni formatesi nei riguardi dell'anzidetto obbligato". Conclude pertanto l'Avvocatura genera le che si è in presenza di una questione di mera interpretazione, stante l'assenza sul punto di un "diritto vivente", insuscettibile di una prospettazione in termini di legittimità costituzionale.

3.In prossimità della camera di consiglio, l'Avvocatura generale dello Stato ha presentato memoria insistendo per la infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata. A parere della difesa erariale, insussistente sarebbe la violazione dell'art. 53 della Costituzione, in quanto l'imposta conseguente al valore legittimamente accertato dall'Amministrazione è giuridicamente dovuta ancorchè superiore a quella che sarebbe derivata da un minor imponibile. Nè potrebbe invocarsi una lesione del principio di uguaglianza dal momento che diverse sono le situazioni poste a raffronto, essendo del tutto differenti i crediti che si vorrebbero comparare, come autonome appaiono le rispettive controversie di valutazione. Non pertinente sarebbe, infine, il riferimento all'art. 97 della Costituzione, in quanto non può parlarsi di "parzialità" della pubblica amministrazione per il solo fatto che essa ottempera al giudicato formatosi limitatamente al caso deciso.

Considerato in diritto

1. La questione che la Commissione tributa ria di secondo grado di Lecce sottopone all'esame di questa Corte è se l'art. 6 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili), nella parte in cui non prevede, ai fini della determinazione del valore finale del bene con riguardo all'INVIM, che l'acquirente possa giovarsi degli effetti favorevoli conseguenti alla impugnazione da esso solo proposta avverso l'avviso di accertamento relativo all'imposta di registro, sia in contrasto: con l'art. 3 della Costituzione in quanto viene irragionevolmente precluso all'acquirente di giovarsi della riduzione di valore del bene già ottenuta ai fini dell'imposta di registro; con l'art. 53 della Costituzione, imponendosi agli acquirenti di pagare un'imposta in misura da essi non dovuta in quanto riferentesi ad un valore finale del bene divenuto definitivo nei confronti dei venditori per mancata impugnazione da parte di questi ultimi; con l'art. 97 della Costituzione in quanto appare collidere con il più elementare senso di giustizia che un medesimo bene possa avere, agli effetti fiscali, due valori diversi a seconda del contribuente dal quale è dovuta l'imposta.

2. Data l'identicità delle questioni sollevate, i giudizi devono essere riuniti per essere decisi con una sola pronuncia.

3. Nel suo atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, deduce anzitutto l'inammissibilità della questione per carenza di motivazione dell'ordinanza di rimessione sulla rilevanza, riservandosi di argomentare in memoria, nella quale osserva che l'inammissibilità sarebbe ravvisabile sotto due profili: da un lato, lo stesso giudice a quo riconosce che il dedotto effetto estensivo, ai sensi dell'art. 1306 del codice civile, della sentenza pronunziata nei confronti di uno dei condebitori solidali della imposta di registro non potrebbe realizzarsi nei confronti dell'acquirente essendo questi estraneo al rapporto obbligatorio intercorrente tra il Fisco ed il venditore; dall'altro, il remittente ipotizza una pronuncia additiva, senza soffermarsi sui noti limiti individuati da questa Corte in ordine ai propri interventi. Entrambe le deduzioni sono strettamente connesse col merito della questione di costituzionalità, e quindi occorre passare all'esame della stessa.

4. La questione è infondata nei sensi che saranno ora precisati. Va premesso che questa Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi sul problema, parzialmente attinente a quello in esame, dell'applicabilità dei principi di cui all'art. 1306 del codice civile all'obbligazione solidale tributaria, dando ad esso una soluzione affermativa (ordinanze n. 870 del 1988 e 544 del 1987). Lo stesso orientamento veniva seguito nel 1991 dalle Sezioni unite della Corte di cassazione. Ma nei citati casi si trattava semplicemente di estendere i predetti principi civilistici all'obbligazione solidale fra più debitori della stessa imposta di registro.

5. Anche riguardo alla diversa ipotesi della estensione degli effetti di un giudicato formatosi nei confronti del debitore dell'imposta di registro all'acquirente dell'immobile su cui grava a garanzia del pagamento dell'INVIM il privilegio previsto dall'art. 28 del d.P.R. n. 643 del 1972, la Corte di cassazione si è pronunciata più volte, ma con soluzioni contrastanti. Secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, pur riconoscendosi che in detta seconda ipotesi non si tratta di più debitori della stessa imposta in quanto l'acquirente dell'immobile su cui grava il privilegio per l'INVIM non è debitore di questa imposta nella regola prevista dall'art. 1306 si ravvisa un principio di più ampia portata, applicabile alla presente fattispecie, sia per realizzare il meccanismo contemplato dall'art. 6 della legge sull'INVIM (circa l'identità di valori dell'immobile sia ai fini del registro che dell'INVIM), sia per il rispetto dei principi costituzionali contenuti negli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione.

6. Ed invero, essendo indubbio che il legislatore ha voluto che l'accertamento del valore del bene trasferito sia lo stesso per entrambe le imposte, nel caso in cui si verifichi il conflitto fra due titoli definitivi che nello stesso tempo danno al medesimo bene valori differenti, quello risultante dal giudicato deve prevalere sul valore maggiore riportato nell'atto amministrativo. Questa interpretazione risulta conforme ai principi di cui agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione. Il principio di uguaglianza impone, infatti, che se il valore dello stesso immobile viene riconosciuto per ragioni obiettive nei confronti di un debitore d'imposta, esso non può essere diverso ove si tratti del contribuente di un'altra imposta connessa e nello stesso contesto, che pur si riferisce al trasferimento dello stesso bene. Il principio della capacità contributiva esige che la medesima situazione di fatto non può che essere rilevatrice della stessa capacità contributiva e quindi dell'analogo prelievo fiscale. Infine, quello della imparzialità della pubblica amministrazione sancisce il dovere per essa di conformarsi al giudicato che ha riconosciuto la illegittimità oggettiva del valore dato dall'atto amministrativo ad un immobile.

7. Questa Corte ha più volte affermato (sentenze n. 18 del 1995 e 526 del 1990) che l'estensione della norma ad un caso non compreso nella lettera legislativa risulta giustificata da un giudizio di meritevolezza del medesimo trattamento, fondato sulla ratio legis indipendentemente dalla identità o dalla somiglianza al caso previsto. Dal che deriva che la regola contenuta nell'art. 1306 del codice civile può estendersi ad altri casi, come quello in esame, in cui sia ravvisabile la stessa ratio. La Corte ha pure ritenuto costantemente che il giudice rimettente, nell'operare la ricognizione del contenuto normativo della disposizione, deve sempre e costantemente essere guidato dall'esigenza di rispetto dei precetti costituzionali e quindi, ove un'interpretazione appaia confliggente con alcuno di essi, è tenuto soprattutto in mancanza di diritto vivente ad adottare letture alternative maggiormente aderenti al parametro costituzionale altrimenti vulnerato (sentenza n. 149 del 1994; ordinanze nn. 226 e 121 del 1994). I giudici rimettenti avrebbero dovuto, per tanto, seguire quella interpretazione data dalla citata giurisprudenza della Corte di cassazione che risulta conforme ai principi costituzionali.

                                                                                                       PER QUESTI MOTIVI    

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili) sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di secondo grado di Lecce con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19/10/95.

Vincenzo CAIANIELLO, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 31/10/95.